La nuova Sardegna
Il sindaco di Cagliari divorzia dagli ex
compagni di Sel. Con lui Uras, Firino e Cocco Zedda: resto nel centrosinistra
SASSARI Cronaca di un divorzio annunciato.
Massimo Zedda non segue gli ex compagni di Sel in Sinistra italiana e resta nel
centrosinistra alleato al Pd. Da mesi il sindaco di Cagliari aveva detto di non
essere interessato al nuovo progetto di sinistra autonoma, ma ieri è arrivata
l’ufficialità. «Prendiamo atto della decisione di sciogliere Sel assunta dai
compagni che intendono costituire Sinistra Italiana. Lo facciamo con tristezza.
Abbiamo sempre sostenuto come questa decisione fosse sbagliata tanto nel merito
quanto nel metodo. Per questo non la condividiamo e non faremo parte di Si».
Insieme a Zedda il senatore Luciano Uras, l’assessore Claudia Firino, il
capogruppo in Regione Daniele Cocco, il consigliere Francesco Agus, il sindaco
di Gergei Rossano Zedda, amministratori come Francesca Ghirra (Cagliari), Marco
Manca (Sassari) e Alberto Melinu (San Teodoro).
Nel documento gli ex Sel ribadiscono la
loro intenzione di continuare a fare parte del centrosinistra. «Proseguiremo il
lavoro intrapreso e svolto come Sel in questi anni nei Comuni, nella Città
metropolitana, nell'intera isola. Ritroviamo questo obiettivo in tutti quei
luoghi, da Milano a Genova, in cui si è lavorato per un centrosinistra in grado
di unire e aggregare e, quindi, in grado di governare al servizio dei
cittadini. Lo faremo nell’area democratica e progressista con tutte le forze
del centrosinistra e quelle di ispirazione identitaria e sardista». Sul referendum
gli ex Sel lasciano libertà di voto, ma nei giorni scorsi Zedda – come anche
l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia – ha già detto che non voterà No.
«Il giorno dopo il referendum democratici e
progressisti avranno bisogno, per il bene del popolo, di riscoprire il senso
del loro agire comune contro ogni avventurismo populista o qualunquista».
(al.pi.)
REFERENDUM, SONDAGGI E DOPO-VOTO. di FABIO
BORDIGNON
Il blackout dei sondaggi - che in Italia
ci lascia “al buio” nei 15 giorni precedenti il voto - è scattato con il No in
netto vantaggio. Non tanto, però, da escludere sorprese, il prossimo 4
dicembre. Del resto, dopo il caso Brexit e il caso Trump, in molti ipotizzano L’esistenza
di una maggioranza sì-lenziosa (per usare il gioco di parole di Claudio
Cerasa).
Ma vale comunque la pena di iniziare a immaginare
il corso della politica italiana in caso di bocciatura della Riforma
costituzionale. Che potrebbe portare a esiti inattesi: addirittura contrari
alle aspettative dell’#ItaliaDelNo, che sogna la spallata a Renzi e al
renzismo. Facciamo un po’ di fiction. È la mattina del 5/12. Hanno vinto
Salvini e Grillo. Ma anche Berlusconi e D’Alema. Ha vinto il No: nonostante gli
endorsement internazionali e l’abbattimento di Equitalia. Non è la fine del
mondo.
Le borse cedono un po’: non un crollo. I
cavalieri dell’apocalisse non portano pestilenza, carestia. Renzi mantiene la
promessa: in un tweet annuncia le dimissioni e sale al Colle. I primi a soccorrerlo
sono i nemici del giorno prima: tutti sognano un’anatra zoppa su cui sparare
fino al 2018. Per qualche giorno si parla di un #RenziII. Il rottamatore dimissionario
si fa persino tentare. Ma poi conferma il suo No: l’unica soluzione - tuona da
Pontassieve - è il voto anticipato.
Tuttavia, di fronte alle resistenze di
Mattarella, che spinge per una soluzione “parlamentare” alla crisi, non si
mette di traverso. Accetta che si faccia un nuovo governo di larghe
intese, con il compito di portare avanti le misure più urgenti: il
completamento della manovra economica; la definizione della nuova legge
elettorale. Messa da parte l’anomalia del doppio incarico, il
segretario-non-più-premier fa quello che alcuni gli chiedono da tempo: si
occupa del Pd. Il partito è in subbuglio.
I nemici della minoranza interna puntano a
dare il colpo di grazia all’usurpatore. Ma Renzi rimane in sella. E plasma il partito
a sua immagine e somiglianza. Non c’è alcuna scissione: semmai, qualche
defezione individuale. Nel frattempo, la Corte costituzionale amputa l’altra
gamba della Grande riforma: l’Italicum. Rimane in piedi, per la Camera e per il
redivivo Senato, un sistema puramente proporzionale. Il dibattito sulla legge
elettorale prosegue: ognuno sostiene il proprio progetto di legge, il proprio
modello straniero da imitare. Ma, in realtà, a tutti non dispiace l’idea di andare
a votare con le regole disegnate dalla Consulta. D’altronde, la prossima sarà
una #LegislaturaCostituente!
Il proporzionale: va bene a Grillo, va bene
a Berlusconi, va bene, a questo punto, persino a Renzi. Le riforme sono ormai
in un vicolo cieco. I conti economici confermano la stagnazione. Cresce la
conflittualità politica. Insieme all’insofferenza dei cittadini. Nei sondaggi,
Lega e M5S volano. Mentre gli azionisti di maggioranza fanno a gara a chi si
mostra più lontano dall’esecutivo. La situazione scivola, inesorabilmente,
verso nuove elezioni. Andiamo avanti, nel nostro divertissement fantapolitico.
Il confronto procede a colpi di scandali,
attacchi personali, zuffe in Tv. «È la peggiore campagna elettorale di sempre!».
Non siamo nella prima Repubblica. In uno scenario iper-personalizzato, i
primattori sono sempre loro: Grillo, Berlusconi, Salvini. E naturalmente Renzi.
L’esito delle elezioni, tuttavia, assomiglia molto a quelli dei primi
quarant’anni della storia repubblicana.
M5S e Lega aumentano il proprio bottino di
voti, ma non hanno i numeri per governare. Anche perché gli avversari si chiudono
a riccio, in una rinnovata conventio ad excludendum. Del resto, lo spauracchio
populista è stato il tema centrale della campagna. Grazie al quale, anche il Pd
è tornato a crescere. E si propone, inevitabilmente, come perno di un nuovo (e
ampio) patto centrista. Che torna al governo: senza alternative. È l’inizio di
una lunga egemonia. Anti-renziani di tutto il Paese, unitevi: votate Sì.
Lavori in corso a Monastir per adattare
l’ex scuola di polizia penitenziariam L’accoglienza non si ferma: l’isola
prepara nuovi centri di Claudio Zoccheddu
SASSARI Milano ha raggiunto la sua quota
di migranti e ha chiuso le “frontiere”. L’annuncio è arrivato dal ministro
dell’Interno, Angelino Alfano. Anche la Sardegna ha raggiunto, e
superato, la sua quota ma dal ministero non è arrivano alcun annuncio. Anzi,
nell’ex scuola di polizia penitenziaria di Monastir fervono
i lavori per rendere fruibile la struttura, che secondo il bando di gara della
Prefettura dovrebbe essere sistemata entro domani. Notare una certa disparità
tra i trattamenti riservati alla città di Milano e alla Sardegna non è un impresa
ardua. Nonostante i dubbi e le perplessità, i materassi e i cuscini sono
arrivati nella struttura e sono stati sistemati negli stanzoni che prima
ospitavano le reclute della polizia.
Segno evidente che qualcuno, prima o poi,
guadagnerà il suo spazio in Europa partendo proprio dall’hinterland di
Cagliari, dove i cittadini erano scesi in piazza per manifestare contro la
decisione della Prefettura di Cagliari e dove alcuni balordi avevano pensato
bene di appiccare il fuoco nelle speranza di cancellare quella che allora, era
la notte del 10 ottobre, sembrava solo un’ipotesi. Le conferme. In effetti era
solo una questione di tempo.
L’apertura delle buste che contenevano le offerte
relative alla gestione dell’ex scuola di polizia è avvenuta la scorsa settima
e, sebbene manchi ancora un graduatoria definitiva, i giochi sono comunque
fatti: «Per adesso abbiamo solo una graduatoria provvisoria, quella definitiva
verrà pubblicata nei primi giorni della prossima settimana – spiegano dalla
Prefettura di Cagliari prima di chiarire modi e motivi che hanno portato
all’allestimento delle prime camere da letto – si tratta di lavori realizzati
dalla Prefettura in modo che si possano fronteggiare le emergenze che
potrebbero presentarsi nei prossimi tempi».
Dunque, nonostante se ne parli sotto traccia
e si tenda sempre ad allontanare l’eventualità da “ultima spiaggia per
fronteggiare gli arrivi improvvisi”, le minacce indirizzate al prefetto
Giuliana Perrotta, due proiettili e una lettera minatoria recapitate in busta
chiusa proprio in prefettura, non hanno bloccato i lavori di riconversione
dello stabile che presto sarà pronto a ospitare i primi migranti. Le polemiche.
I toni più accesi sono quelli utilizzati da Mauro Pili, leader di Unidos e deputato
del Gruppo misto: «Trasformare quella scuola di polizia in un centro per
ospitare 300 migranti è una follia – spiega Pili – lo dico da mesi. La
struttura deve passare alla Regione in base alla cessazione della funzione
statale originaria.
E poi il luogo scelto per il centro di
accoglienza non è adatto: i migranti si muoveranno a piedi, protesteranno sulla
strada principale della Sardegna, la sicurezza sarà a rischio ogni giorno.
Dislocare persone che puntano solo ad andar via dalla Sardegna in un crocevia
così delicato come quello di Monastir è da spregiudicati». Secondo Pili, poi, i
costi sarebbero esorbitanti: «317mila euro per 41 giorni. Una cifra che lascia
interdetti, vuol dire quasi 3 milioni di euro all'anno. E non si sa chi ha
vinto l'appalto. Se un qualsiasi Comune, o ente pubblico, affidasse un servizio
per quell'importo e non pubblicasse gli atti nel proprio albo sarebbe
perseguito penalmente».
«Anche la Sardegna ha già fatto la sua
parte. Anzi, abbiamo superato abbondantemente le quote ma il Governo annuncia
uno stop degli arrivi solo a Milano mentre qui prepara nuovi centri di
accoglienza e nuovi sbarchi». Ugo Cappellacci, coordinatore regionale di Forza
Italia, ha commentato le dichiarazioni del ministro Alfano durante il vertice
per la sicurezza a Milano. «È inaccettabile – prosegue l’esponente azzurro –
che il Governo consideri l’isola solo per farne un grande centro di
accoglienza, con la complicità di una giunta regionale imbelle e servile, e
scarichi tutto sulle forze dell’ordine, sui sindaci e sulle comunità. Peraltro –
osserva Cappellacci – è assolutamente illogico portare qui persone che non
vedono l’isola come destinazione, provocando tensioni che ormai sono all’ordine
del giorno. Non accettiamo la logica per cui la sicurezza possa essere una
priorità a Milano e un optional in Sardegna, solo perché lì ci sono più
elettori da “coccolare” in vista mdel referendum. Ribadiamo – conclude
Cappellacci – la necessità di fermare gli sbarchi anche in Sardegna e la netta
contrarietà a una politica che lascia i cittadini a tu per tu con un problema
più grande di loro».
Il responsabile dell’Agricoltura a
Cagliari per un incontro con le associazioni «Nei bandi per gli indigenti ci
sarà spazio anche per il pecorino in eccesso» Il ministro Martina: il Sì farà
crescere l’isola di Alessandra Sallemi
CAGLIARI Una Camera per legiferare e
un’altra per rianimare il rapporto tra Stato e Regioni perché il federalismo in
Italia è rimasto
lettera morta. Chi annuncia il Sì alla
riforma costituzionale al voto il 4 dicembre non è convinto che si sia trovato
il rimedio perfetto al drammatico distacco tra azione politica e bisogni della
popolazione, ma ha la certezza che si possa mettere in moto un sistema dove il
tema del tempo col quale si vara una legge e la si mette in pratica ha la sua
vitale priorità.
I dettagli, poi, sono, tra gli altri, che
si abolisce un apparato come il Cnel e che si spera di eliminare il contenzioso
immenso tra Stato e Regioni sulle materie dalle competenze finora intrecciate.
A Cagliari, nella sala del teatro Massimo gremita di pubblico, ieri si è tenuto
il dibattito sulle ragioni del Sì coordinato dal giornalista Filippo Peretti e
organizzato da Centro studi Aldo Moro, Associazione Rosa Rossa e Sinistra per
il Sì, col ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina a rappresentare le
ragioni di questa scelta politica e istituzionale. Francesca Ticca, segretaria regionale
Uil: «Noi da anni parliamo di riforme, sul Cnel io sindacalista ho sempre detto
che non è possibile salvare un cimitero di elefanti che costa dai 15 ai 20
milioni di euro l’anno e che in 50 anni ha prodotto appena 14 proposte di
legge».
Alberto Sunda, direttore generale di
Confcommercio: «Noi abbiamo chiesto modifiche sostanziali e dal Sì ci si può
aspettare una semplificazione amministrativa e ci aspettiamo la fine del
contrasto Stato-Regioni». Battista Cualbu, Coldiretti: «Ci avete aiutato sulla
tracciabilità del latte e ora si vedono i primi risultati, gli sgravi fiscali
per i giovani funzionano, ma in Sardegna siamo al terzo anno di piano di sviluppo
rurale e non siamo riusciti a far partire un solo bando, c’è una situazione
drammatica per il pecorino romano: al ministro chiediamo che si ritiri il
prodotto in eccesso». Giacomo Spissu, ex presidente del consiglio regionale: «È
bene ripetere che se vince il Sì le regioni a statuto speciale mantengono le
loro prerogative e la Sardegna continuerà ad avere rappresentanza in Senato,
ovviamente in proporzione al diminuito numero di senatori (che da 350 scendono
a 95), quindi ne avrà 3».
Cristiano Erriu, assessore regionale alla Programmazione:
«Si è calcolato che la riforma produrrà un risparmio di 500 milioni di euro».
Pasquale Mistretta, ex rettore dell’ateneo di Cagliari: «La riforma è un passo
indispensabili perché le nuove generazioni possano uscire dall’impossibilità di
confrontarsi col mondo». Alberto Scanu, Confindustria: «Questa riforma non sarà
la migliore possibile ma affronta il nocciolo del problema e rende realizzabile
un nuovo percorso». Il ministro Maurizio Martina: «Quel che succederà il 4
dicembre riguarda ogni cittadino. La riforma ha limiti, è frutto di una
mediazione faticosa, ma è la strada che abbiamo per dotare il paese di
istituzioni più semplici e più veloci, io penso che la velocità delle decisioni
sia fondamentale per l’equità, sono i più deboli che hanno bisogno di decisioni
veloci».
Martina ha illustrato le cose fatte per
l’agricoltura in mille giorni di governo e la prossima: ritirare il pecorino
romano in eccesso, come
ha chiesto Coldiretti, con gli interventi
a favore degli indigenti.
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