La
Nuova
Il Pd non
è più capace di far sognare il popolo della sinistra
Disoccupazione
e spopolamento: i due problemi irrisolti
E così
sono crollate le zone rosse del Sulcis e del Nuorese
di Alessandro Pirina
Cento cose fatte e cento da fare.
Alle ultime politiche il Pd si è presentato con un programma ricco, minuzioso,
dettagliato. «Un programma credibile», sottolineava la comunicazione ufficiale
dem, mettendolo a confronto con le «promesse irrealizzabili» di 5 stelle e Lega.
Il popolo però si è lasciato incantare da quell'altro tipo di proposta. Gli
elettori forse sono anche consapevoli che il reddito di cittadinanza e la flat
tax rischiano di rimanere sulla carta, ma hanno preferito scegliere l'azzardo,
o forse il sogno, a un qualcosa di già visto e provato ma senza effetti reali
sulle tasche. Perché alla fine è quello che conta.
Il cittadino vuole arrivare a fine
mese, e nell'urna sceglie chi gli promette che potrà stare meglio. A decidere l'exploit
di Renzi alle Europee sono stati gli 80 euro in più in busta paga. Questa volta
il Pd non è stato in grado di scaldare il cuore degli elettori. Soprattutto dei
suoi, quelli che da sempre votavano a sinistra. I dati elettorali del 4 marzo
sono impietosi.
In Sardegna i dem si sono fermati
sotto la soglia del 15 per cento. Con percentuali ancora più basse nel Nuorese.
Un disastro annunciato, se si pensa che in campagna elettorale nell'isola non
si è visto neanche un big del partito. Né Renzi né nessun altro. Eppure fino a
qualche settimana prima era un via vai di ministri. Minniti, Delrio,
Franceschini, Poletti, De Vincenti, Martina, Fedeli, Calenda. Presenze
liquidate dall'opposizione come passerelle, anche se è innegabile che
nell'isola più di un risultato sia arrivato. Il Patto per la Sardegna ha
portato risorse e investimenti.
Il sogno del metanodotto, salvo
retromarce a 5 stelle, è a un passo dal diventare realtà. La vertenza Alcoa
vede la luce dopo anni di illusioni e rinvii. E anche sulle servitù militari l'isola
è riuscita a riprendersi parti (ancora troppo piccole, a onore del vero) da
decenni nelle mani della Difesa. Risultati concreti, ma solo fumo per i
cittadini che ogni giorno devono fare i conti con il lavoro che non c'è, o al
massimo è stato ulteriormente precarizzato dal jobs act, con tasse alle stelle
e servizi ridotti al minimo.
Il Sulcis Iglesiente è la provincia
più povera d'Italia, il tasso di disoccupazione giovanile supera il 70 per
cento (contro la già alta media regionale del 56). C'è fame, insomma. Il lavoro
prima di ogni cosa, tanto che pur di avere un
reddito garantito si è disposti a ingoiare una fabbrica che produce bombe. E
proprio la necessità di uno stipendio, almeno per garantire la sopravvivenza,
ha tirato la volata ai 5 stelle. Premiati nonostante - mentre il ministro
Calenda chiudeva positivamente la vertenza Alcoa - tutti i suoi candidati si impegnavano
ad archiviare definitivamente l'era dell'industria pesante.
Ma il rigetto verso la sinistra
parte da lontano. Segno che non ha perso di vista il suo elettorato solo in
Italia. In America la classe operaia ha votato Trump, in Inghilterra ha scelto
la Brexit, in Francia ha portato Le Pen al ballottaggio. E da noi ha premiato i
5 stelle, molto più della Lega che ha superato la doppia cifra grazie al patto
col Psd'Az. A regalare le percentuali più alte al Movimento è stato il Nuorese,
l'ex Emilia sarda. In Barbagia il centrosinistra ha sempre viaggiato tra il 50
e il 60 per cento. Il 4 marzo si è fermato al 13, superato anche da Forza
Italia. Per il centro Sardegna la disoccupazione è un tunnel senza uscita.
Piani e contropiani non bastano alle zone interne per rivedere la luce. E nel
frattempo la mannaia statale taglia di tutto e di più: scuole, caserme, uffici postali,
ambulatori. E soprattutto risorse.
Oggi i Comuni sono allacanna del
gas, non riescono a dare risposte ai cittadini, che però continuano a
rivolgersi ai loro sindaci. «Noi siamo dei parafulmini - dice Tito Loi, sindaco
di Osini -. Tutto si scarica su di noi, anche perché la Provincia non c'è più e
Regione e Stato sono lontanissimi». Regione e Stato che in questi ultimi anni
avevano, e nel primo caso hanno ancora, la targa Pd.
«Nel 2011 l'80 per cento dei sindaci
aveva una tessera di partito in tasca. Oggi l'80 non la ha più - racconta il presidente
Anci Emiliano Deiana, tra i pochi che nonostante tutto fa ancora parte della
famiglia Pd -. I partiti hanno smesso di rappresentare le comunità locali». E
le comunità locali, piccole e grandi, li hanno puniti. Il Pd più di tutti.
Conte
incassa il voto di fiducia «Ora fermezza con l'Europa»
Licenziato
protesta sotto casa Di Maio
Operaio
della Fca si versa benzina addosso
Licenziati dalla Fiat nel 2014 per
aver inscenato davanti ai cancelli
dello stabilimento di Pomigliano il
funerale dell'ad Sergio
Marchionne, i cinque operai che
hanno ingaggiato una guerra legale
contro l'azienda - ottenendo anche
una vittoria - perdono ora ogni
speranza di riottenere il proprio
posto di lavoro: la Cassazione ha
accolto il ricorso di Fca e,
cancellando la decisione della Corte
d'appello di Napoli che aveva
disposto il reintegro, ha stabilito che
il licenziamento per giusta causa è
legittimo perché la «macabra
rappresentazione scenica» ha
travalicato i limiti della dialettica
sindacale.
Secondo la Cassazione, infatti,
neppure la satira «può
esorbitare la continenza» e «le
modalità espressive della critica
manifestata dai lavoratori» sono
state tali da «ledere definitivamente
la fiducia che sta alla base del
rapporto di lavoro».E la sentenza ha
rischiato di avere un epilogo
drammatico quando uno dei cinque
lavoratori, Mimmo Mignano, si è
incatenato davanti alla casa della
famiglia del vicepremier Luigi Di
Maio a Pomigliano d'Arco, e in una
forma di protesta eclatante ed
estrema si è cosparso il capo di
benzina. Bloccato dalla forze
dell'ordine che lo hanno soccorso,
l'uomo è stato portato in ospedale
con forte bruciore agli occhi.
Chiede l'intervento del neo ministro
del Lavoro, che tra l'altro oggi
sarà nella sua città per un
appuntamento giàprogrammato e potrebbe
incontrare gli operai licenziati.
La battaglia di Mimmo Mignano, con
alle spalle altre duecause per
licenziamento, assieme a Marco Cusano,
AntonioMontella, Massimo Napolitano
e Roberto Fabbricatore, aveva
avuto una ribalta anche al Festival
di Sanremo di quest'anno, quando
lo Stato Sociale si era presentato
sul palco dell'Ariston con il nome
dei cinque appuntati sul rever della
giacca in segno di solidarietà.
Dopo il reintegro per due anni gli
operai sonostati tenuti fuori
dall'azienda, benché a salario
pieno: «Unavita in vacanza» forzata,
appunto, come cantato dai
ragazzidella band, che gli operai sono
andati a ringraziare.
M5s-Lega,
nodi pensioni e nomine
il punto
di Michele Esposito
ROMA
Un cambiamento prudente che, prima
di partire con i primi
provvedimenti, necessita di uno
studio approfondito dei dossier e
della delicata concertazione tra M5S
e Lega. Il governo , di fatto,
sarà al massimo dell'operatività
solo la settimana prossima quando il
premier tornerà dal G7 del Canada. E
saranno giorni caldissimi perché,
al di là delle misure d'esordio da
mettere in campo, Conte sarà
chiamato a sciogliere
l'intricatissimo rebus sulla squadra di
viceministri e sottosegretari, dove
sia la corsa all'interno di M5S e
Lega sia quella tra i due partiti di
governo è in pieno svolgimento.
Tra i dossier più caldi, al momento,
c'è certamente quello delle
pensioni, tema sul quale,
relativamente alla Fornero, Conte è stato
non a caso molto cauto.
Lo schema è quello della Quota 100
(o quota
41) che però, con il ricalcolo
contenuto nello schema della Lega - con
il contributivo - includerebbe una
leggera flessione nell'assegno
finale. Sul tema, in queste ore si
sono ricorsi dei rumors su un
carteggio tra i due vice premier
Matteo Salvini e Luigi Di Maio anche
se il leader della Lega, smentisce
seccamente. Il nodo, tuttavia, c'è,
anche perché se M5S e Lega hanno lo
stesso obiettivo e la via come
arrivarci a cambiare, con i
pentastellati che insistono sulla pensione
di cittadinanza (per quelle minime)
e sull'opzione donna. Sul tema,
chiaramente, Conte nella sua replica
alla Camera non si è soffermato
ribadendo, in via generica, i
principi di metodo e di contenuti che
guideranno il governo.
Un Esecutivo che, entro il 16
giugno, sarà
chiamato ad occuparsi anche delle
nomine di Cdp. L'idea del M5S resta
quella di trasformare la Cassa
depositi e prestiti in una sorta di
nuova Iri ma non in una Banca
d'investimenti, visto che in
quest'ultimo caso l'ente cadrebbe
sotto l'egida della Bce. Per la
guida di Cdp, tramontato il nome di
Flavio Valeri, in pole, in questi
giorni, c'è Massimo Sarmi, proposto
dalla Lega e sul quale il
Movimento potrebbe convincersi. Il
fine settimana servirà a M5S e Lega
per fare il punto anche sul
«sottogoverno» secondo uno schema studiato
ad hoc per fare in modo che un
partito possa controllare le mosse
dell'altro. Ma la partita è
tutt'altro che chiusa.
La
capogruppo Fi al Senato: Savona ottimo economista ma sbaglia sul no all'euro
Bernini
boccia Conte: Sud dimenticato
di Umberto AimewCAGLIARIIl bersaglio
è lì, davanti a lei. È quel
governo che il centrodestra mai
avrebbe voluto, ma c'è. Capogruppo al
Senato di Forza Italia, Anna Maria
Bernini, è in campagna elettorale
per le amministrative, ma parla
subito di Matteo Salvini, più che del
premier Giuseppe Conte, e molto
anche del Sud. Anzi, prima del
Mezzogiorno: «Nel programma
gialloverde non è citato neanche una
volta. Assurdo. Gli hanno dedicato
un ministero, ma è senza
portafoglio. Non ha soldi da
spendere.
Cosa farà? Purtroppo nulla, se
non un po' di assistenza e
l'assistenza non è né lavoro e neanche
infrastrutture. Mentre il Sud ha
bisogno di un Piano Marshall a lunga
scadenza. Ma di tutto questo non c'è
traccia nel contratto. Non si
parla di Mezzogiorno, figuriamoci
della Sardegna». Subito dopo eccola
affrontare il nodo del momento: la
crisi dell'alleanza di
centrodestra. Forse lo fa per
alimentare, con intelligenza, quello che
dicono da settimane, a Roma: se non
ci fosse stata lei, Berlusconi
avrebbe impedito alla Lega di
firmare con i Cinque stelle. È questa
donna dal passo leggero, ferma nel
parlare, capace di frasi dolci e
pungenti quasi allo stesso tempo,
l'ufficiale di collegamento che
continua a tenere insieme la Lega a
Palazzo Chigi e il Cavaliere fuori
dal portone.Chi è oggi Salvini?«Il
nostro Matteo non è una pecorella
smarrita, continua a essere un
ottimo politico.
Siamo stati noi a non
impedirgli di andare al governo. Lo
abbiamo deciso, per mettere fine
ai surreali traccheggiamenti degli
inaffidabili Cinque stelle».Lo
avete lasciato andare?«Salvini è con
noi dal 1994 e con lui governiamo
diverse Regioni, dall'anno prossimo
spero anche la Sardegna, e tanti
Comuni. Quelle sì che sono alleanze
serie, mentre quest'ultimo
contratto è solo un accordo
d'emergenza. Ma al nostro Matteo
suggerisco di vigilare, ogni giorno,
perché non ci fidiamo del
populismo, del pressappochismo e
dello statalismo altrui».La partenza
di Conte è stata?«Col piede
sbagliato.
Del Sud non puoi dire poco o
nulla, o sostenere, come Di Maio,
che le etichette non servono, perché
bisogna parlare solo dell'Italia nel
suo insieme. No, il Mezzogiorno è
una priorità».La Sardegna anche.«La
battaglia per l'insularità in
Costituzione è esistenziale. È
l'unica strada per ridurre prima e
cancellare poi le disuguaglianze con
la terra ferma».Il solo sostegno
dell'Italia potrebbe non bastare,
serve anche quello
dell'Europa.«Prima di tutto:
l'Unione è come un telefonino. Non puoi
dire a priori se è buono o cattivo,
dipende da come lo usi. In questi
anni, i governi di centrosinistra
hanno subito l'Europa,
dall'immigrazione all'economia, e i
nostri interessi sono rimasti
schiacciati.
Rinegoziamo bene i trattati, ma che
non possono essere
modificati unilateralmente come
fanno credere alcuni».Vuole cominciare
da quelli sugli immigrati
clandestini? «L'ex ministro Minniti ci ha
messo un pezza, dopo i clamorosi
errori commessi dal centrosinistra,
ma non basta. Bruxelles non può
ancora lasciare da sola l'Italia,
dobbiamo gestire insieme un fenomeno
epocale. Anche qui serve un Piano
Marshall ma per l'Africa, con
interventi "a casa loro". Poi d'ora in
poi arrivi e accoglienze vanno
condivisi, con quote reali, fra tutti i
Paesi».Agli Affari europei c'è il
ministro sardo Paolo Savona.«È un
ottimo economista. Ma non sono
d'accordo con lui quando dice che
avremmo solo vantaggi a uscire
dall'euro. No, sarebbe l'inizio della
fine».A proposito di ministri:
quello per la Famiglia, Lorenzo
Fontana, è contro le unioni gay.
«Lo sanno tutti: ero pronta a votare
la Legge Cirinnà, poi il governo ha
messo la fiducia e c'è stato il
mio passo indietro. Sia chiaro: le
famiglie arcobaleno sono un dato di
fatto, occorre prenderne atto. Vado
oltre: Fontana non provare a
imporre il tuo credo al resto del
mondo».Forza Italia ha scelto il
candidato per le Regionali del
2019?«No, dobbiamo parlare ancora con
gli alleati, compreso il nostro
Matteo Salvini». Deciderà
Berlusconi?«Rispondo con una
battuta: se il prescelto dovesse vincere,
come sarà, allora Berlusconi si
prenderà il merito. Se dovesse
perdere, dirà che altri gli hanno
suggerito un nome sbagliato».
Unione
Sarda
Manca (Pd):
superficialità disarmante. Cabras (M5S): Bruxelles ci
rispetta
già di più
I sardi
di FI: «Il premier ha dimenticato il Sud»
Il governo Conte ha già fatto
cambiare l'atteggiamento dell'Europa
verso l'Italia, anche perché il
discorso programmatico del premier ha
spazzato via le «paure artificiali»
alimentate ad arte, dallo spread
al fascismo fino all'attacco ai
diritti civili: lo afferma Pino
Cabras, deputato sardo del M5S, in
occasione della fiducia delle
Camere per il nuovo esecutivo.
Gli oppositori del presidente del
Consiglio, scrive Cabras su
Facebook, «hanno combattuto una
battaglia aspra per imporre nel
discorso pubblico la loro
interpretazione» del governo del
cambiamento: imperniata appunto su
quei timori, spread in testa.
Invece «in nemmeno una settimana si
è totalmente rovesciato il
messaggio dei padroni del discorso
europeo, le personalità che contano
si sono scatenate a fare autocritica
rispetto all'Italia, a
rimangiarsi ogni rigidità», perché
«si è rotto il blocco di interessi
che poteva consentire uno scenario
greco» per l'Italia.
Molto severo invece il giudizio dei
deputati di Forza Italia Ugo
Cappellacci e Pietro Pittalis sulle
dichiarazioni programmatiche: «Nel
passaggio dalla campagna elettorale
al governo il M5S, che esprime il
presidente del Consiglio, dimentica
il Sud e le isole. Chi, come noi,
ha ascoltato le sue parole senza
pregiudizi, è rimasto deluso perché
si è trovato dinanzi a
un'approssimazione e una superficialità
disarmante su tutti i temi toccati,
che possono essere spiegate solo
con una profonda incompetenza».
Tanto da sembrare, aggiungono, «una
creatura a metà tra un marziano e
uno che passa lì per caso».
Anche secondo il deputato del Pd
Gavino Manca Conte ha pronunciato
«tante frasi generiche, una superficialità
disarmante e un'assoluta
mancanza di concretezza. Nessun
elemento utile per capire come attuerà
il suo programma. Come farà
convivere flat tax, reddito di
cittadinanza e riforma delle
pensioni? Dove sono le coperture
finanziarie? Presidente Conte, la
campagna elettorale è finita»,
conclude Manca: «Non lasciateci con
la sensazione che non sappiate da
dove iniziare».
Conte,
arriva il secondo sì«Ora trattiamo con l'Ue» Conflitto
d'interessi,
è caos
ROMA Rispetto al discorso di martedì
al Senato, ha colmato le lacune e
dissipato qualche dubbio.
E con 350 sì contro 236 no, 35
astenuti e 4 voti in più del previsto,
il premier Giuseppe Conte incassa la
fiducia anche a Montecitorio.
«Col voto di oggi parte il governo
del cambiamento, parte la terza
Repubblica, come avevamo promesso ai
cittadini», spiegherà più tardi
ai cronisti Luigi Di Maio, forse
anche per non lasciare al solito,
torrenziale Salvini tutta l'ampia
parte di proscenio lasciata libera
dal premier.
«PUPAZZO» E quest'ultimo, comunque,
rispetto alla performance di
Palazzo Madama sembra metterci più
del suo, nonostante Graziano Delrio
si auguri «che non faccia il pupazzo
in mano ai partiti». Il il
capogruppo del Pd, in realtà, gli
dice anche di peggio, ricordando
all'autocertificato premier
populista che «in nome del popolo in
questo Paese sono stati commessi
delitti orrendi, approvate leggi
razziali, in Europa sono stati
commessi genocidi. Tutti i grandi
dittatori lo fanno in nome del
popolo. Parlo della storia e non di
voi».
«RINSAVISCA» Dall'altro lato
dell'emiciclo ecco Giorgia Meloni,
benevolmente astenuta con i suoi
Fratelli d'Italia: «Ho sentito dire
che lei in passato si è definito un
uomo di sinistra, mi auguro che in
questi anni sia rinsavito perché
l'unica cosa di cui l'Italia non ha
bisogno è un altro governo di
sinistra».
SUD E GIUSTIZIA L'Italia, spiega in
aula il nuovo premier, ha bisogno
«di agricoltura, di promozione del
made in Italy, una serie di profili
di attività che vanno integrati, non
si può agire in compartimenti
stagni». Quanto al Meridione, «avere
un ministro è stato un gesto di
grande attenzione». Sulle
infrastrutture «non ci sottrarremo agli
investimenti», sulle banche «stiamo
valutando se sia opportuno
distinguere tra banche di credito e
banche di investimento». Sulla
giustizia, che oggi «è diventata
censitaria», perché solo chi «ha i
soldi riesce a difendere bene le
proprie ragioni». Conte giudica
«impropria» la divisione tra
giustizialismo e garantismo.
VIVA LA NATO Gli hanno rimproverato
di non aver parlato di pace ma
«non mi pare che nel contratto di
governo ci siano propositi
bellicisti». E spiega: «Siamo nella
Nato e vogliamo rimanerci». Il
reddito di cittadinanza sarà
progettato «modo molto oculato e
articolato», ribadisce, mentre sul
debito «l'obiettivo è una discesa
progressiva» ma «questo governo ha
l'ardire di poter anche promuovere
delle nuove politiche economiche».
Quanto a Bruxelles, «vogliamo
sederci al tavolo con i partner
europei e ci auguriamo di avere la
fermezza e la risolutezza per essere
ascoltati». Come già in Senato,
il premier punta alla correttezza
dei rapporti con le istituzioni e le
opposizioni, ringrazia ancora
Mattarella ed esprime dispiacere per gli
attacchi sui social «a un suo
congiunto» (e Delrio lo rimbecca: «Si
chiamava Piersanti, era il
fratello»), e su un tema come la lotta alle
mafie ribadisce tra gli applausi che
bisogna essere «tutti uniti».
LO SCIVOLONE Ai suoi predecessori
Conte riconosce dei meriti, assicura
che sulla legge sui beni confiscati
«nessuno si permette di
disconoscere quanto fatto sin qui».
Sull'immigrazione «vedo in aula il
ministro Minniti che ha ricevuto
apprezzamenti dalle forze politiche
della maggioranza», e «anche per la
buona scuola, abbiamo dialogato
con tanti stakeholders, ci sono
criticità su cui intendiamo
intervenire». Dai banchi del Pd si
levano comunque sbuffi e grida,
fino a quando il premier non scivola
sul conflitto di interessi
rivolgendosi a «voi che protestate»
perché «queste interruzioni
dimostrano che ciascuno ha il
piccolo conflitto d'interesse da
risolvere».
È bagarre, ma «sono stato frainteso,
non sto accusando nessuno, ma
dico che è negli interstizi della
società a qualsiasi livello». E
comunque «questo esecutivo oltre al
contratto di governo ha presente
la Costituzione». E dunque nessun
pericolo, «iscriveremo tutte le
nostre iniziative sotto la lettura
costituzionale, che è anche la
Carta europea dei diritti
fondamentali, il sistema della Corte europea
dei diritti dell'uomo,
un'architettura sovranazionale e internazionale
in cui siamo comodamente collocati e
ci stiamo confortevolmente».
Il
ministro leghista chiarisce: ci saranno assunzioni e aumenterà il
denaro in
circolo. Salvini: «Chi fattura di più risparmierà e reinvestirà»
ROMA «L'importante è che ci
guadagnino tutti». Il ministro
dell'Interno e vicepremier Matteo
Salvini spinge il piede sulla Flat
tax, perno della riforma fiscale del
governo gialloverde. Il suo
ragionamento è semplice: «Se uno
fattura di più, risparmia di più,
reinveste di più, assume un operaio
in più, acquista una macchina in
più, e crea lavoro in più. Il nostro
obiettivo è che tutti riescano ad
avere qualche lira in più nelle
tasche da spendere», insiste.
ATTACCO A SALVINI Ma le sue parole,
sintetizzate in alcuni titoli con
«è giusto che chi fattura di più
paghi meno tasse» infiammano la
polemica. Il Pd insorge. «Stiamo
giocando con le parole. Se la Flat
tax è per le imprese, c'è già dal
1973 e c'è anche l'Iri per il
reddito di impresa», dice il
deputato Luigi Marattin. «Se volete fare
la Flat tax per le famiglie, dalle
simulazioni si capisce che se si
passa all'Irpef a due aliquote, che
non è una Flat tax, si otterranno
guadagni per i contribuenti da zero
a 20%. Peccato che i più poveri
avranno zero e i più ricchi il 20».
Il presidente dem Matteo Orfini
twitta: «Finalmente hanno detto la
verità. A questo serve la annunciata
rivoluzione fiscale, a far
guadagnare chi è più ricco. A danno
di tutti gli altri». E anche l'ex
ministro dell'Economia Pier Carlo
Padoan è perplesso: «Bisogna tassare
meno i ricchi perché così spendono
di più? Non mi è chiara la logica
economica».
IL CHIARIMENTO Salvini spiega:
«Anche un bimbo di 5 anni arriva a
capire che chi fattura di più
risparmia di più e reinveste di più.
L'obiettivo non è aiutare chi
fattura di più, ma tutti», aggiunge.
Sulla progressività il vicepremier
spiega: «Ci sono le deduzioni che
garantiranno a chi non paga oggi di
continuare a non pagare, ma in
Italia il denaro deve tornare a
circolare», insiste. Sulla
progressività torna anche il premier
Giuseppe Conte: «Abbiamo
declinato un sistema di detrazioni e
ci sarà un sistema di no tax
area, confidiamo quanto prima di
portare avanti un progetto di
riforma».
Polemica
sui tagli alle entrate ma Lega e M5S difendono la riforma
Flat tax,
scontro nell'Isola Erriu: rischiamo il default
«Se sarà attuata la Flat tax, conti
alla mano la Sardegna andrà in
default». Come aveva fatto nei giorni
scorso Gianfranco Congiu,
capogruppo del Pds in Consiglio
regionale, anche l'assessore
all'Urbanistica ed Enti locali
Cristiano Erriu prefigura uno scenario
inquietante. «La Regione avrà una
riduzione del gettito delle entrate
che non ci consentirà neppure di
sostenere i costi della Sanità.
Scordiamoci anche il fondo unico per
gli Enti locali che fa funzionare
i servizi base dell'istruzione e
dell'assistenza sociale nei Comuni
sardi», è il pensiero di Erriu.
LA PROPOSTA DEL GOVERNO Nel
dibattito pubblico che si è sviluppato
sulla proposta di riforma fiscale
contenuta nel contratto di governo -
due aliquote del 15 e 20%, deduzione
di 3000 euro per le famiglie, no
tax area per i redditi bassi - le
critiche si sono concentrate su tre
punti: favorirebbe i ricchi e non
darebbe alcun vantaggio ai poveri e,
dunque, amplierebbe il divario
sociale; non avrebbe copertura
finanziaria e violerebbe l'articolo
53 della Costituzione che prevede
la tassazione progressiva a seconda
del reddito.
«RIFORMA POSITIVA» Guido De Martini
, deputato leghista, invita a non
trarre conclusioni affrettate.
«Bisogna ancora vedere se davvero ci
saranno due aliquote o sarà solo
una, se ci saranno differenze tra
imprese e famiglie. Sono certo,
però, che lo staff economico della
Lega, cioè Borghi, Bagnai e Siri, ha
studiato la cosa giusta e che non
ci sarà il problema delle coperture.
Quanto alla Sardegna, sono sicuro
che non ci saranno problemi».
«NESSUNA VIOLAZIONE» Elvira
Evangelista , senatrice del Movimento
Cinquestelle, entra nel merito.
«Non c'è violazione dell'articolo 53
della Costituzione né verrebbero
meno le imposte trasferite alle
Regioni dallo Stato. E spiego perché:
le due aliquote fisse sarebbero
mitigate dalle deduzioni, e comunque
l'aliquota fissa oggi già prevista
per le imprese (escluse le società
di persone) è più alta. Inoltre
perché l'articolo 8 dello Statuto
sardo, la legge di finanza locale
del 1999 ed infine la riforma
dell'articolo 119 della Costituzione
hanno già drasticamente ridotto i
trasferimenti statali a favore di
una sempre maggiore autonomia
fiscale degli enti locali che devono
reggersi sulla base di imposte
proprie. Ecco perché la riforma
fiscale così come proposta dal governo
Conte non andrebbe a nuocere in
alcun modo sulle finanze locali ed in
particolare regionali e tanto meno
sulla parte della spesa pubblica
destinata alla Sanità, già
alimentata dalle addizionali».
PD ALL'ATTACCO Sul fronte del Pd
tutte le anime hanno idee diverse:
«La Flat tax è un'operazione
demagogica, retrograda e pericolosa
perché accentua le disuguaglianze e
mette a rischio la sostenibilità
della spesa pubblica e dei servizi
ai cittadini», sostieneGiuseppe
Luigi Cucca , senatore dem e
segretario regionale del partito. «La
progressività del nostro sistema fiscale
è un pilastro da
salvaguardare se vogliamo una
società più giusta che garantisca la
parità dei diritti fondamentali,
quali la salute e l'istruzione, e
tuteli le fasce deboli. Lo spettro
della peggiore destra si aggira nel
nostro Paese e lo contrasteremo con
tutte le forze».
FI, MEGLIO L'ALIQUOTA UNICA Ugo
Cappellacci difende l'aliquota unica
da tempo nei programmi del
centrodestra e attacca il Pd: «Dopo aver
smantellato la Sanità e buttato
dalla finestra miliardi di euro delle
Entrate, il Pd è poco credibile come
custode della salute e del
salvadanaio dei sardi. Secondo noi
invece abbassare le tasse significa
aumentare i consumi, le produzioni e
con esse i posti di lavoro. Nel
contratto di governo l'idea della
Flat tax è un po' annacquata, noi
difenderemo la proposta del
centrodestra: un'aliquota unica al 20% e
niente tasse per i redditi sotto i
13 mila euro».
ATTACCI AI PARLAMENTARI SARDI
Andando più a sinistra, il discorso
cambia poco. «La Flat tax è un abito
cucito su misura delle regioni
del nord, dove si concentrano i
redditi più alti e ci sono meno
necessità sociali», spiega Francesco
Agus (Cp). «Mi chiedo se i
parlamentari sardi che hanno votato,
senza fiatare, la fiducia al
Governo Conte abbiano mai letto lo
Statuto Sardo.
Forse ignorano che,
per effetto dell'articolo 8, oltre
1,7 miliardi di euro nel bilancio
regionale derivino dai 7/10
dell'Irpef riscossa in Sardegna e che
quelle entrate siano necessarie per
coprire le spese per sanità e
trasporti. Con l'aliquota unica a
fronte di una minoranza che ci
guadagnerebbe, la Regione sarebbe
costretta a tagliare tutto. Poco
male per chi ha un alto reddito in
grado di permettersi sanità e
scuole private, una catastrofe per
tutti gli altri».
Fabio Manca
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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