(05 Dicembre 2007) Fiamme nell'acciaierie della
ThyssenKrupp, a Torino. 7 operai muoiono investiti da un incendio provocato
dalla fuoriuscita dell'olio bollente che sarebbe servito per raffreddare i
laminati. Prima qualche innocua fiammella, poi un grosso incendio, una potente esplosione,
un'ondata di fuoco, operai trasformati in torce umane. Antonio Schiavone muore
quasi subito. Agli altri - Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco
Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe De Masi - toccano giorni, o settimane, di
straziante agonia.
Per Torino è come un pugno allo stomaco. Impossibile
concepire un incidente tanto grave in una delle sue fabbriche più importanti,
quella della famosa acciaieria tedesca. Sono giornate di lutto, di dolore, di
una rabbia che si scatena già ai funerali, quando i dirigenti vengono insultati
all'ingresso della Chiesa, i fiori delle corone strappati e buttati per terra.
Il sindaco, che all'epoca era Sergio Chiamparino, annulla i festeggiamenti per
il Capodanno. "L'anno finisce davvero male", commenta l'allora
presidente del Consiglio, Romano Prodi, a Torino per i funerali di uno degli
operai morti in quella che definisce la "tragedia sul lavoro più grave
degli ultimi anni".
I giornali e l'opinione pubblica si occupano subito del rogo
della Thyssen: insieme al dolore arrivano le polemiche, legate all'orario di
lavoro (alcuni degli operai morti erano in servizio da 12 ore: otto più quattro
di straordinari) ed all’accertata violazione delle più elementari norme di
sicurezza. Molti lavoratori hanno assistito alla morte dei colleghi, senza la
possibilità di intervenire.
I sindacati denunciano immediatamente l’inadeguatezza delle
misure di sicurezza nello stabilimento. Le testimonianze degli operai accorsi
sul posto dell’incidente parlano di estintori scarichi, telefoni isolati,
idranti mal funzionanti, assenza di personale specializzato che potesse
soccorrere i loro colleghi. Lo stabilimento Thyssen di Torino era in via di
dismissione: emerge che da tempo l’azienda non investiva adeguatamente nelle
misure di sicurezza, soprattutto in quei corsi di formazione necessari a
prevenire stragi come questa.
Durante le sessioni processuali (11 marzo 2009) Giovanni
Pignarosa, delegato Rsu delle acciaierie, rivela che l'impianto si fermava solo
per problemi alla produzione: "Se i problemi intaccavano la qualità del
materiale allora si bloccava l'impianto, altrimenti no e si interveniva a linea
di movimento, con dei rischi altissimi per i lavoratori." E ancora:
"I colleghi subivano pressioni psicologiche dall'azienda per non premere
il pulsante di allarme."
Secondo diverse testimonianze, inoltre, il livello di
manutenzione e pulizia era sensibilmente calato da prima del 2005. Lo stato di
quasi totale trascuratezza viene confermata da un testimone il 17 marzo: gli
incendi sulla linea 5 erano molto frequenti, "anche uno o due al
giorno", e venivano spenti dagli stessi operai.
Dopo otto anni e mezzo la storia giudiziaria del rogo si
chiude. La Cassazione ha confermato la sentenza di condanna emessa dalla Corte
d’Appello di Torino un annoprima. L’ex Amministratore Delegato Harald Espenhahn
è stato condannato a nove anni e otto mesi; i dirigenti Marco Pucci e Gerald
Priegnitz a sei anni e dieci mesi, il membro del comitato esecutivo
dell’azienda Daniele Moroni a sette anni e sei mesi, l’ex direttore dello
stabilimento Raffaele Salerno a otto anni e sei mesi mentre il responsabile
della sicurezza Cosimo Cafuer a sei anni e otto mesi.
Vincenzo
Maria D’Ascanio
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