L’intellighenzia isolana, dal canto suo, se una parte rimane accecata di fronte
agli splendori dell’impero spagnolo e da ascara si prostra servilmente ad esso
ed evita con grande cura lo stesso termine di nazione sarda, penso allo storico
Giovanni Francesco Fara (4) che usa il termine natio (scrive in latino) per
indicare “nascita”, il poeta ecclesiastico Gerolamo Araolla (5) (1545-fine secolo
XVI), alle lingue castigliana e catalana contrappose una lingua sarda che
potesse vantare una sua dignità sul piano letterario.
Non è questa la sede per verificare i risultati del
tentativo di Araolla: certo è che in lui si inizia a delineare un embrionale
coscienza del rapporto fra nazione e lingua.
Che sarà ancor più forte nello scrittore Gian Matteo Garipa, orgolese (?-1640) che scriverà « Totas sas nationes iscrien & istampan libros in sas proprias limbas naturales insoro…disijande eduncas de ponner in platica s’iscrier in sardu pro utile de sos qui non sun platicos in ateras limbas, presento assos sardos compatriotas mios custu libru » (6).
Invito a notare i termini, estremamente chiari e significativi: parla di lingua naturale – oggi diremmo materna – che tutte le nazioni, compresa la sarda, hanno il diritto-dovere di utilizzare per rivolgersi ai “compatrioti”, ovvero ai sardi, abitanti dunque della stessa “patria”.
Riferimenti Bibliografici
4. G. F. Fara, De rebus sardois libri quatuor, Torino 1835
5.G. Araolla, Sa vida, su martiriu et morte de sos gloriosos martires Gavinu, Brothu et Gianuari, Cagliari 1582.
6. Gian Matteo Garipa, Legendariu de santas virgines et martires de Iesu Christu, Ed. Ludovico Grignano, Roma 1627, ora ripubblicata dalla casa editrice Papiros di Nuoro nel 1998 con l’introduzione di Diego Corraine e la presentazione di Heinz Jürgen Wolf e Pasquale Zucca.
Prof. Francesco Casula
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