E’ difficile
trovare le parole.
Sembrerebbe quasi
una spiritosa parodia dei sequestri di droga, una presa in giro, una goliardata.
Invece è tutta
tragica realtà, ed è terribilmente seria la foto che ritrae due agenti della
polizia municipale di Sassari che mostrano orgogliosi il carico sequestrato ai
poveracci che, nella giornata internazionale della donna, cercavano di
racimolare due soldi vendendo mimose per strada.
E’ tragica e seria, perché porta alla
memoria tutte quelle misure, striscianti, crudeli, progressive, che
quotidianamente vanno prendendo piede un po’ ovunque per rendere la vita
impossibile ai disgraziati arrivati qui, dall’altra parte del mondo, sperando
di fare fortuna.
Gente che, per inciso, non sta rubando, spacciando, facendo traffici, truffando, rapinando…
Gente che cerca solo di sopravvivere,
senza fare del male a nessuno. Se ancora voler sopravvivere può essere
considerato umano e lecito.
Questa grande operazione repressiva è stata messa a punto da pattuglie e reparti di motociclisti che hanno battuto a tappeto la città, dando la caccia a queste persone.
Questa grande operazione repressiva è stata messa a punto da pattuglie e reparti di motociclisti che hanno battuto a tappeto la città, dando la caccia a queste persone.
Io mi chiedo se le persone che si sono
occupate di questa operazione, a partire dall’amministrazione comunale fino
agli stessi agenti, abbiano la percezione della sproporzione e della disumanità
di ciò che hanno fatto.
Nello stesso mondo in cui otto uomini
detengono la ricchezza di tre miliardi di persone, causano la fame e le
malattie di milioni di persone, decidono della felicità o della paura, della
vita o della morte di centinaia di milioni di esseri umani… sono stati capaci
di scatenare la caccia all’uomo, rastrellando nei vicoletti i disperati che
vendevano mimose.
Timidi e prudenti con gli industriali,
che per decenni hanno riversato impunemente milioni di metri cubi di veleni in
territorio comunale; implacabili e crudeli con dei morti di fame.
Che vergogna.
Solo tanta, tanta vergogna.
Di Pier Franco
Devias
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