Unione
sarda.
LUTTO. Partigiana, deputata Dc: figura
storica della Repubblica italiana Fu la prima donna ministro: morta a 89 anni
Tina Anselmi
ROMA Fu la prima donna a ricoprire la
carica di ministro della Repubblica: nominata nel luglio del 1976 titolare del
dicastero del Lavoro nel governo presieduto da Giulio Andreotti. Ma fu anche partigiana,
sindacalista, in prima fila per le pari opportunità e a capo della commissione
parlamentare sulla P2: «una figura esemplare della storia repubblicana», come
ha ricordato il premier Matteo Renzi.
Tina Anselmi si è spenta la scorsa notte,
a 89 anni, nella sua casa di Castelfranco Veneto, il paese dove era nata il 25
marzo del 1927. Una storia politica esemplare la sua, sempre
discreta e appassionata, in difesa delle istituzioni, sempre nelle file della
Democrazia Cristiana. Veniva da una famiglia cattolica: il padre era un aiuto farmacista
di idee socialiste e fu per questo perseguitato dai fascisti, la madre era
casalinga. Tina Anselmi frequenta il ginnasio nella città natale, quindi
l'istituto magistrale a Bassano del Grappa.
È qui che, il 26 settembre 1944, i
nazifascisti costringono lei e altri studenti ad assistere all'impiccagione di
31 prigionieri per rappresaglia: decide così di prender parte attivamente alla Resistenza.
Con il nome di battaglia di «Gabriella» diventa staffetta della brigata Cesare Battisti al comando
di Gino Sartor, quindi passa al Comando regionale veneto del Corpo
volontari della libertà. Intanto, nel dicembre dello stesso 1944, s'iscrive
alla Democrazia Cristiana e partecipa attivamente alla vita del partito.
Dopo la guerra si laurea in Lettere
all'Università Cattolica di Milano, divenendo insegnante elementare. Nello
stesso periodo è impegnata nell'attività sindacale in seno alla Cgil e poi,
dalla sua fondazione nel 1950, alla Cisl. Dal 1958 al 1964 è incaricata nazionale
dei giovani nella Dc. Nel 1963 è eletta componente del comitato direttivo
dell'Unione europea femminile, di cui diventa vicepresidente nello stesso anno.
Nel 1959 entra nel consiglio nazionale dello Scudo Crociato, ed è deputata dal
1968 al 1992.
Si occupa molto dei problemi della
famiglia e della donna: si deve a lei la legge sulle pari opportunità. Nel 1976
è ministro del Lavoro: la prima donna in Italia. Dopo quest'esperienza è anche
ministro della Sanità nei governi Andreotti IV e V, diventando tra i principali
autori della riforma che introdusse il Servizio Sanitario Nazionale.
Nel 1981, è presidente della Commissione
d'inchiesta sulla loggia massonica P2. Negli anni il suo nome è circolato più
volte per la presidenza della Repubblica, soprattutto nel 1992 e nel 2006
quando un gruppo di blogger l'ha sostenuta attraverso una campagna mediatica
che prendeva le mosse dal blog «Tina Anselmi al Quirinale». Sarebbe stato il
giusto coronamento di una lunga e onesta carriera politica per una madre della
democrazia italiana.
Piscedda l'acchiappatutto: Comune, Regione
e Cagliari ELMAS. «Ho tre incarichi, per me la politica non è lavoro, semmai
vocazione»
«Ho 47 anni e sono in politica da venti.
Qualcuno direbbe che sono un giovane vecchio ma io mi definisco un giovane
d'esperienza». Valter Piscedda è un divoratore di incarichi: consigliere
comunale, metropolitano e regionale: «Ma l'impegno più grande, da poco più di
un mese, è quello di fare il padre della mia bambina».
Nel 1997 è stato eletto consigliere
comunale a Elmas col Partito popolare, dal 2000 al 2006 è stato presidente del
Consiglio comunale e nei dieci anni successivi ha indossato la fascia
tricolore. Nel frattempo è stato eletto in Consiglio regionale e, non potendo
più fare il sindaco, si è candidato ed è stato eletto consigliere comunale.
Questo incarico gli ha spianato la strada verso l'assemblea della città
metropolitana dove ha messo a segno la sua tripletta.
È il classico politico di professione?
«Non faccio politica perché non ho un
posto di lavoro, sono dipendente di una banca. Sono in aspettativa da quando
sono stato eletto sindaco per seguire la vocazione di far politica».
Riesce a conciliare il triplo incarico?
«In Consiglio comunale, dopo dieci anni da
sindaco si tratta di dare una mano a mandare avanti quello che ho fatto per
anni. In Consiglio regionale sono nel gruppo del principale partito di
maggioranza, per me la vera scommessa è la città metropolitana e il fatto che
sia anche in Consiglio regionale è un aiuto».
Il cumulo di incarichi non è un problema?
«Tutti gli eletti hanno due incarichi nei
rispettivi Comuni e nella città metropolitana, io ne ho uno in più, ma sono in
Consiglio regionale e nella commissione Bilancio, il luogo che è la principale interfaccia
della città metropolitana».
Questo nuovo ente lo conoscono solo agli
addetti ai lavori.
«L'unico ente che viene percepito dalla
popolazione è il Comune. Noi abbiamo l'obiettivo di avvicinare la città
metropolitana ai cittadini e stiamo predisponendo l'elezione diretta del
sindaco metropolitano».
Prima la città metropolitana, poi i
cittadini.
«Era un treno da prendere. Ne sono state
fatte 14 in tutta Italia, sarebbe stata un'occasione persa per aggredire i
finanziamenti europei e obbligare i Comuni a uscire dalla logica del confine.
Non ci dobbiamo contrastare ma aiutare per far
aumentare il livello della qualità della vita».
La grande Cagliari ormai è una città
unica.
«I confini territoriali ce li siamo dati
noi amministratori. Se al cittadino garantisci il mantenimento della propria
storia e cultura, il resto è un'opportunità. Io il matrimonio selargino lo
sento mio patrimonio culturale. E anche Sant'Efisio e Cagliari sono la mia città».
Allora perché ha scelto di candidarsi come
semplice consigliere a Elmas?
«Tecnicamente ci ho messo la faccia. Dopo
dieci anni da sindaco, potevo chiudere in gloria dicendo “arrivederci e grazie”
invece ho scelto di restare a disposizione di chi ha lavorato con me».
Prima di entrare in politica lavorava a
Roma. Punta a tornarci da parlamentare?
«Adesso ho da fare qua, se dovesse
capitare un'occasione direi di no. Magari è una cosa di domani, non di oggi».
Marcello Zasso
CENTROSINISTRA. Nel mirino di Sel, Cd e
Rossomori anche il “sì” di Pigliaru al referendum Verifica politica senza
sbocchi, tensione tra il Pd e gli altri partiti
Il 26 settembre scorso, dopo tre ore di
vertice, per la coalizione del centrosinistra sembrava essere iniziata la
fase del confronto. Il primo atto di una verifica che non ha avuto un seguito:
si rinviano rimpasto e confronto. Il corto circuito nel centrosinistra si ripresenta
ogni volta che la maggioranza deve portare avanti un'azione collettiva. A
pesare è anche il referendum, in grado di catalizzare l'attenzione di tutto il
Pd, chiamato alla militanza dal garante Gianni Dal Moro.
IL MALESSERE Non tutti, però, sono
disposti a congelare la verifica in attesa del 4 dicembre che sembra ancora
troppo lontano. Per il deputato del Centro democratico, Roberto Capelli,
l'immobilismo è «figlio dell'impostazione che il presidente Pigliaru ha datto
alla Giunta, ossia tirare a campare». Come lui anche il consigliere regionale
di Sel, Francesco Agus: «A settembre ci siamo dati un metodo, ma non c'è stato
nessun seguito e dunque la verifica non è stata chiusa». Così può succedere che
la maggioranza si trovi a «discutere le questioni a compartimenti stagni, in
assenza di una visione complessiva», sottolinea Agus, che non nasconde i rischi
di «non poter impostare, nella situazione attuale, la prossima finanziaria».
Parole dure anche da parte del presidente
dei Rossomori, Gesuino Muledda, «insoddisfatto soprattutto per gli scarsi
risultati in materia di lavoro» e che vede una coalizione «inesistente come organo
collegiale».
IN ATTESA Di rimpasto non si parla, ma non
perché non sia un tema che interessa tutti, anzi, l'imperativo è parlare del
referendum. In casa dem la vittoria del sì è l'unico obiettivo sino al 4
dicembre. Così ha detto Dal Moro durante il suo incontro con i consiglieri
regionali perché questa è la missione che gli è stata affidata da Roma. Non mancano,
infatti, numerose iniziative che coinvolgono consiglieri regionali,
parlamentari sardi e iscritti, per tirare la volata alla vittoria della
consultazione. Inevitabilmente questo fattore toglie risorse all'attività
politica perché anche la macchina organizzativa sembra essere dirottata sulla
strada referendaria. «Il referendum pesa su tutta l'attività, a causa di una
campagna muscolare che sta dividendo il centrosinistra», spiega Agus, «non
possiamo rischiare di mettere in secondo piano i temi urgenti
per la Sardegna».
L'ATTACCO Quanto sia fondamentale la
riforma lo dimostra il peso delle personalità politiche che ci mettono la
faccia. Lo stesso presidente della Regione, Francesco Pigliaru, ha preso una
posizione netta, spendendosi per il sì, motivo per cui arriva il monito di
Capelli. «In questo periodo tutto è legato al referendum - dice - chi ha
assunto posizioni sulla vittoria del sì, dovrà essere conseguente alla sua presa
di posizione».
Non ci vuole tanto per tradurre un
messaggio, neppure così velato, al presidente che puntando sul sì ha creato un solco:
«La politica è coerenza, onestà e assunzione di responsabilità», continua il
deputato, «se vincesse il no, il presidente ne dovrà prendere atto». Rincara la
dosa anche Muledda: «Per la parte sovranista e indipendentista si pone un
problema. La presa di posizione del presidente, e del Pd, mette in pericolo l'alleanza
e l'alleabilità».
LE TRAME Le trattative ci sono ma su
livelli privati e confidenziali. I recenti movimenti in Consiglio regionale
hanno sparigliato gli equilibri della maggioranza e resta da capire in che modo
questi avranno un riflesso concreto negli assetti della coalizione.
Matteo Sau
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