mercoledì 2 novembre 2016

Rassegna stampa: - Fu la prima donna ministro: morta a 89 anni Tina Anselmi - Piscedda l'acchiappatutto: Comune, Regione e Cagliari ELMAS. - CENTROSINISTRA. Nel mirino di Sel, Cd e Rossomori anche il “sì” di Pigliaru al referendum.


Unione sarda.

LUTTO. Partigiana, deputata Dc: figura storica della Repubblica italiana Fu la prima donna ministro: morta a 89 anni Tina Anselmi

ROMA Fu la prima donna a ricoprire la carica di ministro della Repubblica: nominata nel luglio del 1976 titolare del dicastero del Lavoro nel governo presieduto da Giulio Andreotti. Ma fu anche partigiana, sindacalista, in prima fila per le pari opportunità e a capo della commissione parlamentare sulla P2: «una figura esemplare della storia repubblicana», come ha ricordato il premier Matteo Renzi.

Tina Anselmi si è spenta la scorsa notte, a 89 anni, nella sua casa di Castelfranco Veneto, il paese dove era nata il 25 marzo del 1927. Una storia politica esemplare la sua, sempre discreta e appassionata, in difesa delle istituzioni, sempre nelle file della Democrazia Cristiana. Veniva da una famiglia cattolica: il padre era un aiuto farmacista di idee socialiste e fu per questo perseguitato dai fascisti, la madre era casalinga. Tina Anselmi frequenta il ginnasio nella città natale, quindi l'istituto magistrale a Bassano del Grappa.

È qui che, il 26 settembre 1944, i nazifascisti costringono lei e altri studenti ad assistere all'impiccagione di 31 prigionieri per rappresaglia: decide così di prender parte attivamente alla Resistenza. Con il nome di battaglia di «Gabriella» diventa staffetta della brigata Cesare Battisti al comando di Gino Sartor, quindi passa al Comando regionale veneto del Corpo volontari della libertà. Intanto, nel dicembre dello stesso 1944, s'iscrive alla Democrazia Cristiana e partecipa attivamente alla vita del partito.

Dopo la guerra si laurea in Lettere all'Università Cattolica di Milano, divenendo insegnante elementare. Nello stesso periodo è impegnata nell'attività sindacale in seno alla Cgil e poi, dalla sua fondazione nel 1950, alla Cisl. Dal 1958 al 1964 è incaricata nazionale dei giovani nella Dc. Nel 1963 è eletta componente del comitato direttivo dell'Unione europea femminile, di cui diventa vicepresidente nello stesso anno. Nel 1959 entra nel consiglio nazionale dello Scudo Crociato, ed è deputata dal 1968 al 1992.

Si occupa molto dei problemi della famiglia e della donna: si deve a lei la legge sulle pari opportunità. Nel 1976 è ministro del Lavoro: la prima donna in Italia. Dopo quest'esperienza è anche ministro della Sanità nei governi Andreotti IV e V, diventando tra i principali autori della riforma che introdusse il Servizio Sanitario Nazionale.

Nel 1981, è presidente della Commissione d'inchiesta sulla loggia massonica P2. Negli anni il suo nome è circolato più volte per la presidenza della Repubblica, soprattutto nel 1992 e nel 2006 quando un gruppo di blogger l'ha sostenuta attraverso una campagna mediatica che prendeva le mosse dal blog «Tina Anselmi al Quirinale». Sarebbe stato il giusto coronamento di una lunga e onesta carriera politica per una madre della democrazia italiana.

Piscedda l'acchiappatutto: Comune, Regione e Cagliari ELMAS. «Ho tre incarichi, per me la politica non è lavoro, semmai vocazione»

«Ho 47 anni e sono in politica da venti. Qualcuno direbbe che sono un giovane vecchio ma io mi definisco un giovane d'esperienza». Valter Piscedda è un divoratore di incarichi: consigliere comunale, metropolitano e regionale: «Ma l'impegno più grande, da poco più di un mese, è quello di fare il padre della mia bambina».

Nel 1997 è stato eletto consigliere comunale a Elmas col Partito popolare, dal 2000 al 2006 è stato presidente del Consiglio comunale e nei dieci anni successivi ha indossato la fascia tricolore. Nel frattempo è stato eletto in Consiglio regionale e, non potendo più fare il sindaco, si è candidato ed è stato eletto consigliere comunale. Questo incarico gli ha spianato la strada verso l'assemblea della città metropolitana dove ha messo a segno la sua tripletta.

È il classico politico di professione?
«Non faccio politica perché non ho un posto di lavoro, sono dipendente di una banca. Sono in aspettativa da quando sono stato eletto sindaco per seguire la vocazione di far politica».

Riesce a conciliare il triplo incarico?
«In Consiglio comunale, dopo dieci anni da sindaco si tratta di dare una mano a mandare avanti quello che ho fatto per anni. In Consiglio regionale sono nel gruppo del principale partito di maggioranza, per me la vera scommessa è la città metropolitana e il fatto che sia anche in Consiglio regionale è un aiuto».

Il cumulo di incarichi non è un problema?
«Tutti gli eletti hanno due incarichi nei rispettivi Comuni e nella città metropolitana, io ne ho uno in più, ma sono in Consiglio regionale e nella commissione Bilancio, il luogo che è la principale interfaccia della città metropolitana».

Questo nuovo ente lo conoscono solo agli addetti ai lavori.
«L'unico ente che viene percepito dalla popolazione è il Comune. Noi abbiamo l'obiettivo di avvicinare la città metropolitana ai cittadini e stiamo predisponendo l'elezione diretta del sindaco metropolitano».

Prima la città metropolitana, poi i cittadini.
«Era un treno da prendere. Ne sono state fatte 14 in tutta Italia, sarebbe stata un'occasione persa per aggredire i finanziamenti europei e obbligare i Comuni a uscire dalla logica del confine. Non ci dobbiamo contrastare ma aiutare per far aumentare il livello della qualità della vita».

La grande Cagliari ormai è una città unica.
«I confini territoriali ce li siamo dati noi amministratori. Se al cittadino garantisci il mantenimento della propria storia e cultura, il resto è un'opportunità. Io il matrimonio selargino lo sento mio patrimonio culturale. E anche Sant'Efisio e Cagliari sono la mia città».

Allora perché ha scelto di candidarsi come semplice consigliere a Elmas?
«Tecnicamente ci ho messo la faccia. Dopo dieci anni da sindaco, potevo chiudere in gloria dicendo “arrivederci e grazie” invece ho scelto di restare a disposizione di chi ha lavorato con me».

Prima di entrare in politica lavorava a Roma. Punta a tornarci da parlamentare?
«Adesso ho da fare qua, se dovesse capitare un'occasione direi di no. Magari è una cosa di domani, non di oggi».

Marcello Zasso

CENTROSINISTRA. Nel mirino di Sel, Cd e Rossomori anche il “sì” di Pigliaru al referendum Verifica politica senza sbocchi, tensione tra il Pd e gli altri partiti

Il 26 settembre scorso, dopo tre ore di vertice, per la coalizione del centrosinistra sembrava essere iniziata la fase del confronto. Il primo atto di una verifica che non ha avuto un seguito: si rinviano rimpasto e confronto. Il corto circuito nel centrosinistra si ripresenta ogni volta che la maggioranza deve portare avanti un'azione collettiva. A pesare è anche il referendum, in grado di catalizzare l'attenzione di tutto il Pd, chiamato alla militanza dal garante Gianni Dal Moro.

IL MALESSERE Non tutti, però, sono disposti a congelare la verifica in attesa del 4 dicembre che sembra ancora troppo lontano. Per il deputato del Centro democratico, Roberto Capelli, l'immobilismo è «figlio dell'impostazione che il presidente Pigliaru ha datto alla Giunta, ossia tirare a campare». Come lui anche il consigliere regionale di Sel, Francesco Agus: «A settembre ci siamo dati un metodo, ma non c'è stato nessun seguito e dunque la verifica non è stata chiusa». Così può succedere che la maggioranza si trovi a «discutere le questioni a compartimenti stagni, in assenza di una visione complessiva», sottolinea Agus, che non nasconde i rischi di «non poter impostare, nella situazione attuale, la prossima finanziaria».

Parole dure anche da parte del presidente dei Rossomori, Gesuino Muledda, «insoddisfatto soprattutto per gli scarsi risultati in materia di lavoro» e che vede una coalizione «inesistente come organo collegiale».

IN ATTESA Di rimpasto non si parla, ma non perché non sia un tema che interessa tutti, anzi, l'imperativo è parlare del referendum. In casa dem la vittoria del sì è l'unico obiettivo sino al 4 dicembre. Così ha detto Dal Moro durante il suo incontro con i consiglieri regionali perché questa è la missione che gli è stata affidata da Roma. Non mancano, infatti, numerose iniziative che coinvolgono consiglieri regionali, parlamentari sardi e iscritti, per tirare la volata alla vittoria della consultazione. Inevitabilmente questo fattore toglie risorse all'attività politica perché anche la macchina organizzativa sembra essere dirottata sulla strada referendaria. «Il referendum pesa su tutta l'attività, a causa di una campagna muscolare che sta dividendo il centrosinistra», spiega Agus, «non possiamo rischiare di mettere in secondo piano i temi urgenti per la Sardegna».

L'ATTACCO Quanto sia fondamentale la riforma lo dimostra il peso delle personalità politiche che ci mettono la faccia. Lo stesso presidente della Regione, Francesco Pigliaru, ha preso una posizione netta, spendendosi per il sì, motivo per cui arriva il monito di Capelli. «In questo periodo tutto è legato al referendum - dice - chi ha assunto posizioni sulla vittoria del sì, dovrà essere conseguente alla sua presa di posizione».

Non ci vuole tanto per tradurre un messaggio, neppure così velato, al presidente che puntando sul sì ha creato un solco: «La politica è coerenza, onestà e assunzione di responsabilità», continua il deputato, «se vincesse il no, il presidente ne dovrà prendere atto». Rincara la dosa anche Muledda: «Per la parte sovranista e indipendentista si pone un problema. La presa di posizione del presidente, e del Pd, mette in pericolo l'alleanza e l'alleabilità».

LE TRAME Le trattative ci sono ma su livelli privati e confidenziali. I recenti movimenti in Consiglio regionale hanno sparigliato gli equilibri della maggioranza e resta da capire in che modo questi avranno un riflesso concreto negli assetti della coalizione.

Matteo Sau


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