Arriva dal governo l’invito a sbrigarsi. Ci sono 300 posti,
che vanno a ruba. Il 2 giugno, a Roma, 300 sindaci sfileranno in testa alla
parata per la festa della repubblica. Fasciati. Chi vuole partecipare deve
candidarsi, in fretta. Può essere tra i prescelti a rappresentare l’unità della
nazione. Appunto.
Vorrei chiedere ai
sindaci sardi in procinto d’aderire se si rendono conto che, quasi 160 anni
dopo la nascita del Regno d’Italia, la “nazione italiana” non esiste. Abbiamo uno Stato. Abbiamo un
territorio, un popolo e un governo. Abbiamo gli elementi che definiscono lo
Stato in qualsiasi testo giuridico. Ma non abbiamo la nazione. E non possiamo
averla, perché dentro la penisola italiana, questo gran contenitore geografico,
vivono molti popoli diversi. Il tentativo di ridurli a uno si è rivelato fallimentare.
I sindaci sardi che ci vanno a fare a Roma? Nel nostro caso,
neanche la geografia giustifica l’appartenenza alla presunta “nazione
italiana”. Men che meno la storia o le tradizioni: millenni di diversità non si
cancellano per decreto. La vernice d’italianità che copre noi sardi è fatta in
sostanza di vincoli statuali, imposti e comunque revocabili, e di lingua, la
stessa nella quale scrivo questa nota: anch’essa imposta. La
“non-nazione italiana” è formata da tante nazioni: una è la nostra, ancora da
rivendicare e risvegliare. Quindi: che sfilano a fare, il 2 giugno, i sindaci
sardi a Roma?
Di
Maurizio Onnis
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