UNIONE SARDA
Giunta, rimpasto
congelato Il referendum blocca i partiti
La maggioranza in
stallo anche sulle presidenze delle commissioni consiliari
Elenco delle
buone scuse per rinviare un rimpasto: prima era troppo presto, poi non si
poteva fare sotto dettatura di Soru, poi Soru è saltato e col Pd senza il
segretario non si fa. Ora c'è il referendum costituzionale (la prossima volta,
in mancanza di meglio, si evocheranno le cavallette come nel film dei Blues
Brothers). Ma l'ostacolo referendario non è pretestuoso: se in Giunta l'operazione-staffetta
si è di nuovo arenata, è perché sarebbe complicatissimo condurla in porto prima
del voto del 4 dicembre. L'ATTESA Ormai quella data ha assunto quasi il senso
di un giudizio divino sul futuro dell'intera politica italiana, e pure sarda.
Se vince il Sì l'egemonia renziana si consolida, altrimenti la parabola del
Rottamatore rischia di finire. E forse finisce pure il Pd.
Un rimpasto fatto
ora, sulla base degli attuali rapporti di forza tra i democratici,
fotograferebbe una realtà che tra pochi giorni può essere già stravolta. Per
dire: una delle ragioni della staffetta è il rafforzamento dell'area più
puramente renziana, finora poco rappresentata. E infatti da almeno sei mesi si
parla dell'ingresso di Pier Luigi Caria, uno di quelli della prima ora . Ma ha
senso farlo
prima di sapere
se l'astro di Renzi brillerà ancora?
PRUDENZA Per
altro, il leader del Pd è il primo a non volere, in questa fase, tensioni che
interferiscano con la campagna referendaria. E un rimpasto non scivola mai via
senza produrre qualche delusione. Meglio tenere tutti sulla corda e - almeno
nel Pd - lasciar sperare future ricompense dell'impegno per il referendum. Senza
contare che una sconfitta del Sì potrebbe avere ripercussioni sulla Giunta,
visto lo stretto rapporto tra il governatore Francesco Pigliaru e il premier.
Non al punto di spingere Pigliaru medesimo a dimettersi, come auspicavano la
settimana scorsa i Rossomori (che, fino a prova contraria, sostengono il
presidente): la Giunta non è entrata nella campagna referendaria, sono
questioni scollegate. Ma se Renzi va in difficoltà crea problemi anche a
Pigliaru.
ALLEATI Insomma,
non sono tanto le fibrillazioni nella maggioranza a mettere il rimpasto nel
cassetto. L'uscita di Rifondazione comunista dalla coalizione non toglie numeri
in Consiglio al governatore Francesco Pigliaru, visto che Alessandro Unali
resterà leale al presidente anziché al segretario del Prc, Giovannino Deriu,
che ha sancito la rottura. E che ieri ha controreplicato a Pigliaru: «Lui sostiene
che io mi sottraggo al confronto, è vero esattamente il contrario», ha detto
Deriu, «ma ormai i buoi sono scappati dalla stalla ed egli potrà confrontarsi
con i due neo-iscritti al partito del professore» (allusione allo stesso Unali
e all'altro eletto nelle liste di Sinistra sarda, Fabrizio Anedda, che però non
faceva parte del Prc).
«Immagino
confronti di altissimo livello nell'esclusivo interesse delle masse popolari
sarde», ha aggiunto Deriu: «Non voglio pensare che Pigliaru intenda continuare
a tutelare piccole e grandi rendite di posizione e a rafforzare vecchie
oligarchie. Voglio almeno pensare che il presidente metta da parte la sua
supponenza e la smetta di umiliare la politica offendendo la dignità di partiti
che hanno concorso, ahimè, alla sua elezione».
STALLO IN AULA Il
rimpasto rinviato blocca anche il Consiglio regionale, che a metà legislatura
dovrebbe rinnovare le presidenze di commissione. Per prassi, e per logica
politica, si tende a non affidare allo stesso partito un assessorato e la
commissione che si occupa degli stessi temi (anche se si conoscono eccezioni).
Un riassetto immediato delle presidenze porrebbe un'ipoteca sui futuri incarichi
in Giunta, oppure sarebbe un lavoro da rifare a breve. E poi chissà se il Pd
accetterà di perdere un posto, nei vertici dei parlamentini. Oggi ne guida
quattro su sei, ed esprime pure il presidente del Consiglio (Gianfranco Ganau).
Eppure i democratici sono solo la metà della maggioranza: 18 consiglieri su 35,
tenendo Pigliaru fuori dai conteggi. Se a inizio legislatura la maggiore
esperienza degli eletti Pd favorì una soluzione sbilanciata, ora sarebbe difficile
da accettare per gli alleati.
Anche perché, nel
frattempo, i Dem rivendicano il quinto assessorato. Cosa già complicata. È
vero: la nomina di Paolo Sestu alla Sfirs ha tacitato Sel che chiedeva due
assessori anziché uno. E pare che al Partito dei sardi, arrivato a quattro
consiglieri e presto forse a cinque (se sarà confermato l'arrivo di Unali),
basti un solo posto in Giunta. Ma la matematica dice che comunque le ambizioni
del Pd comportano la sottrazione di un assessore agli alleati minori. Un problema
per Pigliaru, o forse no: la prossima buona scusa per frenare sul rimpasto.
Giuseppe Meloni
La sinistra nega
la scissione, ma la crisi è rinviata al referendum
Bersani: «Non
lascio il Pd, l'esercito per cacciarmi»
ROMA Lunedì Pier
Luigi Bersani non è intervenuto in direzione: «Non ha voluto alimentare il
derby» tra Sì-No, spiegavano i suoi. Ma ha parlato ieri, a Montecitorio.
Chiarendo che, se Matteo Renzi «tirerà dritto», lui tirerà dritto con il suo
No, aggiungendo che «una commissione non si nega a nessuno». Il riferimento è
al comitato annunciato dal premier-segretario per modificare l'Italicum (ma
solo dopo il referendum), una delegazione di cui faranno parte uno o più membri
della minoranza.
LE TRUPPE Ma la
sfida politica di Bersani è un'altra: nessuno riuscirà a cacciarlo dal suo
partito. «Invito tutti i commentatori a levarsi dalla testa la scissione. Per
quel che riguarda me, a portarmi fuori dal mio partito ci può riuscire solo la Pinotti
con l'esercito», dice rivolto ai cronisti in Transatlantico. E mentre Pinotti
giura che l'esercito lo schiererebbe solo per impedire a Bersani di andar via,
nei corridoi di
Montecitorio qualche deputato ferma i “ribelli” e, complice, chiede: «Allora, a
quando la scissione?». Ma dalle fila della sinistra dem arriva una netta
smentita: «A prescindere dal risultato finale, io lavorerò fermamente per
tenere unito il Pd e contro ogni scissione», dice il leader di Sinistra
riformista Roberto Speranza.
IL SOSPETTO Il
messaggio è indirizzato al premier-segretario: in molti pensano che farebbe
comodo alla maggioranza liberarsi della sinistra dem. «Vorrei tranquillizzare
elettori e telespettatori: la scissione non esiste», assicura Speranza. E anche
se, incalzato da Faraone, arriva ad affermare che, «se cambiate la legge
elettorale, siamo pronti a dare una mano» per il referendum, il No dei
“ribelli” alla riforma costituzionale sembra ormai scontato.
MANDRAKE
L'eventualità di un cambio di rotta si verificherebbe solo se l'Italicum
venisse cambiato entro il 4 dicembre, data del referendum,
e con le
modifiche volute dalla minoranza. Un'ipotesi impossibile che merita al capo
della fronda Dem l'appellativo di «Roberto Speranza Mandrake», affibbiatogli
dallo stesso Faraone. In caso di vittoria del Sì, però, diversi nella
maggioranza di governo ritengono inevitabile la spaccatura. E mentre Sinistra
italiana aspetta a braccia aperte i transfughi, nell'ala bersaniana il
ragionamento è un altro. «Il No non è un pretesto, se avessimo voluto scinderci
lo avremmo fatto prima, quando il governo ha toccato scuola e lavoro. Noi siamo
interessati al congresso, ad aprire una fase vera in cui il Pd torni a essere
il Pd,
con un altro
segretario». Il nome è quello di Roberto Speranza. Nel
frattempo, «non
ci sarà nessun Aventino», assicurano.
CONSIGLIO.
Illustrate dal sindaco le dichiarazioni programmatiche 2016-2021
Zedda: «Cinque
anni di sfide per migliorare la nostra città»
Una rincorsa
lunga cinque anni, una «sfida da vincere». Nelle dichiarazioni programmatiche
2016-2011 illustrate ieri al Consiglio comunale il sindaco Massimo Zedda ha
inserito progetti e indicazioni («giunte anche dal colloquio-confronto con
parti sociali, cittadini e imprenditori»), auspici e una certezza: «Nonostante
la crisi, la nostra città esprime energie. A noi il compito di coglierle e indirizzarle
per governare al meglio la crescita». Vincendo influenza e mal di gola, il
sindaco ha spiegato la sua idea di sviluppo: «Non ci può essere crescita in una
città chiusa in se stessa».
LE SFIDE Le
dichiarazioni fanno parte di un libro articolato in quindici capitoli che
anticipano, riassumendole, intenzioni e linee di sviluppo. La strategia di
crescita della Città metropolitana è tra i temi-guida più corposi: è il
laboratorio, il luogo-contenitore di un'insieme di sfide, ha sottolineato il
sindaco, «in termini di sostenibilità sociale, ambientale ed economica». Gli
obiettivi: «Promuovere migliori condizioni di vita e di lavoro, favorire la nascita
di un ambiente utile all'innovazione e allo sviluppo delle imprese» ma anche la
«costruzione di relazioni e rapporti di collaborazione complementari con tutti
i territori dell'intera Sardegna».
La Città
metropolitana è il futuro? Zedda: «Con il Governo è stata elaborata una
strategia di azioni coordinate e integrate per garantire adeguate sinergie tra
gli investimenti effettuati attraverso i Fondi strutturali e di investimento
europei». Per il decollo immediato dei progetti sono in arrivo 168 milioni.
Dove investire:
infrastrutture
(«miglioramento della mobilità pubblica urbana ed extraurbana attraverso il
potenziamento del sistema di metropolitana leggera»), ambiente, territorio e
turismo, crescita economica e produttiva, poi cultura, salute e benessere.
I PROGETTI Al
centro del programma i grandi progetti negli ambiti dei lavori pubblici, dei
trasporti e della mobilità («dai mezzi di trasporto ai collegamenti nel centro
storico»), la parte sociale e solidale (dal sostegno ai minori alla terza età e
alla disabilità), le nuove politiche per la casa, il «potenziamento dell'azione
tesa a combattere l'evasione e l'elusione fiscale». Attenzione al verde e all'ecologia,
ai progetti per lo sport e al commercio, l'arte e lo spettacolo, i giovani e
gli studenti, il decoro urbano (imminente «l'aggiudicazione definitiva per
l'affidamento del nuovo appalto di igiene urbana») e le opere («rete pluviale,
strade e marciapiedi a Barracca Manna») riguardanti la Municipalità di Pirri,
rappresentata ieri in Aula dal presidente Paolo Secci e da diversi consiglieri.
Pietro Picciau
La Nuova
La presidenza interpreta alla
lettera la legge Severino e gli riassegna la poltrona
Ma il consigliere di Forza Italia ha
l’obbligo di dimora: deve restare a Sassari Peru viene reintegrato ma non può
andare in aula
di Mauro Lissia
CAGLIARI Antonello Peru può
riprendere il suo posto nel consiglio regionale, sarà regolarmente pagato ma
non potrà muoversi da Sassari: uscito dalla custodia cautelare cui era
costretto dallo scorso 25 luglio dopo 109 giorni di carcere perché indagato per
associazione a delinquere nel procedimento Sindacopoli, l’ex vicepresidente dell’assemblea
sarda ha incassato l’attenuazione della misura cautelare da parte del gip di
Oristano e d’ora in poi dovrà rispettare
solo l’obbligo di dimora nella sua
città di residenza.Per la maggior istituzione dell’isola questo è bastato a
richiamarlo al palazzo di via Roma, con una decisione che al di là degli
aspetti di legittimità non mancherà di sollevare polemiche. Il fatto. La
presidenza del Consiglio ha interpretato alla lettera il testo dell’ex decreto Severino
sull’eleggibilità dei politici nei guai giudiziari, quello
che sospende in caso di divieto ma
non di obbligo di dimora. Con l’effetto di allargare la già affollata schiera
di indagati per reati comuni all’interno del consiglio regionale. In questo
caso il reintegro potrebbe rivelarsi virtuale, perché all’esponente di Forza Italia
sarà comunque vietato, tranne che in rare occasioni autorizzate dal giudice, di
andare a Cagliari e in qualsiasi altra sede al di
fuori di quella stabilita
dall’autorità giudiziaria. Il giro di tangenti. Per una ragione semplicissima:
l’indagine sul giro di tangenti è ancora in corso, Peru è per la Procura
oristanese uno dei riferimenti politici più vicini alla cupola di affaristi che
governava illegalmente gli appalti pubblici. Con l’obbligo di dimora il gip vorrebbe
evitare che l’esponente di Forza Italia circoli per la Sardegna ed entri in
contatto con altri indagati, recandosi a Cagliari il rischio ci sarebbe. Non
per i colleghi della politica, che quel pericolo non lo vedono. L’interdizione.
Non è finita: Peru dovrebbe fare i conti anche con l’interdizione dai pubblici
uffici, contenuta nel provvedimento cautelare firmato dal gip di Oristano. Ma
qui a
soccorrere l’intraprendente
onorevole è il codice di procedura penale, che esclude dall’applicabilità della
misura accessoria i rappresentanti eletti dal popolo. Peru non potrà votare
alle consultazioni elettorali e perderà altri diritti, ma non quello di partecipare
all’attività dell’assemblea legislativa della Sardegna. Il supplente. Brutte
notizie invece per il supplente e collega di partito
Giancarlo Carta, che ha svolto e
poteva svolgere liberamente il suo compito di legislatore: è stato spedito a
casa formalmente lo scorso 3 ottobre con una lettera recapitata una settimana
dopo e confermata ieri in aula dal presidente Gianfranco Ganau. L’indennità.
Se Peru non potrà partecipare ai
lavori del consiglio, incasserà comunque e
puntualmente i 6600 euro lordi
dell’indennità consiliare, cui si aggiungono un rimborso spese forfettario di
3850 euro e la maggiorazione di 650 euro perché la dimora abituale di Peru,
quella obbligata di Sassari, dista più di cento chilometri dalla sede del consiglio
regionale. Ricorso. Non c’è nulla da fare, un eventuale ricorso al tribunale
amministrativo da parte di Carta arriverebbe alla
decisione quando l’inchiesta della
Procura di Oristano sarà conclusa e gli indagati, in un modo o nell’altro,
potranno attendere il giudizio a piede libero. La legge Severino. Ma come nasce
la decisione di riaprire le porte del consiglio a un indagato per reati
gravissimi?
Tutto è legato all’interpretazione
letterale dell’articolo 8 del decreto Severino, dove si stabilisce che la
sospensione scatta se il consigliere regionale è colpito da divieto di dimora.
Il provvedimento del gip di Oristano stabilisce l’obbligo di dimora, ma - come
sostiene l’avvocato Ivano Iai, che tutela Carta, in una nota inviata agli organi
del Consiglio - il secondo «è più afflittivo del primo» perché
mentre l’obbligo costringe a non
muoversi da una città, il divieto lascia l’indagato libero di andare in
qualsiasi altro comune al di fuori di quello indicato dal giudice. In altre
parole l’obbligo contiene un divieto più ampio, ma in via Roma hanno preferito limitarsi
al significato preciso delle parole, applicando una scelta che a giudizio
dell’avvocato Iai «è in innegabile contrasto coi
principi costituzionali di uguaglianza
e del giusto processo, oltre che con quelli del buon andamento e imparzialità
della pubblica amministrazione». Fuori dal linguaggio tecnico: il consiglio
regionale ha preferito pagare un consigliere che non potrà lavorare, piuttosto che
un onorevole presente e attivo.
Slitta l’apertura del dibattimento
per la modifica del collegio
Barracciu, processo a gennaio
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