Ormai li
conoscevo, uno per uno. Ora erano su quel palazzo abbandonato, incappucciati,
come avevo ordinato nella lettera. Ne avevo scelto cinquanta, ma soltanto venti
avevano accettato, avevano “scelto” di accettare. Perché sapevano
perfettamente, che stavano andando incontro a qualcosa che avrebbe cambiato per
sempre le loro disperate esistenze.
Li avevo
tallonati per quasi due anni. Non so esattamente quanti ragazzi ho seguito,
pedinato, intercettato, ma quei cinquanta erano perfetti. Avevo una personale
scala di valori, su cui basare la mia preferenza. Per prima cosa dovevo sapere
qual’era il loro grado di rabbia, perché mi serviva gente arrabbiata,
preferibilmente frustrata. Secondo elemento: dovevano essere persone che non
avevano nulla da perdere, dovevano odiare il loro lavoro, la loro vita, non
dovevano avere legami sentimentali, quasi degli emarginati. Terzo, dovevano
essere persone istruite, preferibilmente laureate. Quarto: dovevano essere
estremamente bravi in qualcosa, in qualsiasi cosa. Infine li valutavo
fisicamente, non mi servivano delle persone alte, mi servivano delle persone
forti.
Per
raggiungerli ho partecipato ad un migliaio di riunioni in tutta la Sardegna.
Quando c’era una protesta, io ero là, fabbriche chiuse, comitati cittadini, assemblee
di circoli senza speranza e senso. Naturalmente dovevano essere riunioni con un
certo numero di persone, per nascondermi tra la folla. Mi travestivo, il più
delle volte da persona anziana, qualche volta da donna, due volte persino da
prete. Mi sedevo o stavo in piedi anche per ore, ascoltando avidamente i loro
discorsi. Cercavo d’individuare i più nervosi, quelli che stavano per perdere
le staffe, quelli che non ne potevano più. Quando un uomo urla e sbraita perché
vogliono tagliare un albero in una piazza dimenticata: ecco, quell’individuo
entrava di diritto nella lista dei papabili. Mi appuntavo il suo nome e
cognome, con aria assolutamente indifferente gli porgevo un volantino, su un
imminente ed inesistente sit in a Cagliari. Loro, ancora stralunati dalla foga
del discorso, mi dicevano.
“Ok, sono di
Quartu”, “non posso, abito a Burgos”, Nuoro, Galtellì, Arbatax e così via. Li
guardavo bene in faccia, mi bastava digitare il loro nome su un qualsiasi
motore di ricerca, per scoprire i vari profili sui social. Erano tutti uguali,
discorsi confusi ma estremamente puntuali, statistiche, dati sulla
disoccupazione, informazioni quasi inaccessibili ai più. Gli esagitati li
scartavo, la mancanza di prudenza è un difetto che ti può costare caro, in
situazioni come questa. Scartavo anche li affiliati a qualche organizzazione
politica, potevano essere solo degli esibizionisti, a me non servivano.
In seguito,
coi miei 58 profili fake, li contattavo. Sceglievo lineamenti di ragazze non
troppo belle, normali ragazze, non come quei giolloni che utilizzano le foto di
modelle, e non sanno i dieci elementi fondamentali per costruire un fake a
prova di bomba... Con qualche informazione già procurata li rassicuravo, ho
vissuto qualche settimana al tuo paese, abbiamo frequentato la stessa scuola,
abbiamo un parente in comune. Se ci provavano li scartavo, avevano ancora
pulsioni vitali, ed a me non interessavano. Dovevano essere senza speranza, ed
io lo capivo con alcune piccole domande. “Hai la ragazza?” “Che lavoro fai, ti
piace?” “Esci spesso con i tuoi amici?” Poche domande apparentemente
insignificanti, infine, passavo al test finale.
(continua?)
Dario Dessì
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