lunedì 16 marzo 2020

E' morto Carlo, vittima del Covid 19 e della cattiveria delle persone sui social.


«Il dolore più grande ora è non poterlo vedere»

«Stiamo vivendo un incubo. Carlo non c'è più: dal giorno del ricovero, in una stanza in isolamento, nessuno di noi lo ha potuto vedere. E non lo potremo vedere mai più, nemmeno ora che è morto». Andrea Tivinio, al telefono, trattiene a stento le lacrime. Suo fratello Carlone, perché così lo chiamavano e così ora lo ricordano i tantissimi amici, si è arreso ieri mattina all'alba.

Il maledetto virus Covid-19 ha infettato l'imprenditore, storico titolare del locale cagliaritano Lima Lima, a fine febbraio: si è sentito male e quella che si sperava fosse una semplice influenza è diventata ufficialmente coronavirus con il tampone eseguito il primo marzo. Carlo Tivinio, 42 anni, è stato il primo contagiato ricoverato in Sardegna, da ieri anche la prima vittima sarda da Covid-19.

Il peggioramento «L'unica consolazione», racconta il fratello Andrea, «è che Carlo probabilmente non ha sofferto. Ricoverato nel reparto infettivi dell'ospedale Santissima Trinità di Cagliari è stato subito intubato. È stato sedato e ha trascorso questi quindici giorni in coma farmacologico. Non si è mai ripreso e speriamo non si sia reso conto di nulla». Le sue condizioni sono apparse immediatamente gravi.

«Fino allo scorso giovedì erano stazionarie pur nella gravità. Poi c'è stato un netto peggioramento. Sabato siamo stati avvisati dai medici di prepararci al peggio». Ieri la tragica notizia con la morte di Carlone, che lascia una moglie e un figlio piccolo. «Il virus se l'è portato via pian piano», prosegue Tivinio. «Dal giorno del ricovero, come famiglia, abbiamo vissuto una tragedia perché non potevamo stare vicini al nostro amato Carlo. Non lo abbiamo più visto. Lo ricorderemo con il sorriso sulla labbra». Non ci potranno essere i funerali (attualmente vietati) ma solo la tumulazione alla presenza dei parenti più stretti.

Grande responsabilità La notizia della morte di Carlo Tivinio ha travolto la città. Conosciutissimo per la sua attività, era un gran lavoratore, generoso. Lo è stato fino all'ultimo. Perché rientrato dalla fiera della birra a Rimini - c'era stato tra il 15 e il 18 febbraio - su un volo proveniente da Bologna, non aveva più riaperto il suo locale: arrivato a Cagliari non era stato bene. Prima il raffreddore, poi la febbre.

Di coronavirus si parlava già e dunque per evitare eventuali contagi, ha deciso in modo responsabile di tenere chiusa l'attività, limitando al massimo gli incontri personali se non strettamente necessari. Le poche persone - i familiari - con cui è entrato in contatto sono state subito messe in quarantena. Non essere andato al lavoro ha impedito un rapido e terribile propagarsi del virus. «Dobbiamo dirgli grazie per il suo atteggiamento responsabile. In questo modo ci ha protetto», racconta un'amica.

La follia sui social. Appena riscontrata la positività al virus, Carlo Tivinio è stato vittima di una vergognosa gogna sui social network, su WhatsApp e su alcuni - pochissimi - siti di informazione online: nome, cognome, locale e altri particolari, oltre alla foto dell'imprenditore, erano circolati violando la legge sulla privacy. «I miei familiari non mi avevano detto che mio fratello era malato per non farmi preoccupare», aveva raccontato Andrea Tivinio il giorno dopo la notizia della positività del tampone effettuato a Carlo. «L'ho appreso nel modo peggiore: Facebook e qualche giornale online che non ha rispettato le norme».

Nella “fogna” di Facebook erano circolate anche informazioni false, come quella che il locale Lima Lima fosse stato chiuso a causa del coronavirus. La realtà è un'altra: l'attività non è stata riaperta proprio perché l'imprenditore non stava bene. In quel locale insomma non entrava una persona da inizio febbraio. I commenti stupidi, ignoranti e vergognosi sui social sono arrivati anche ad accusare Carlo Tivinio di aver servito i clienti nel suo locale pubblico malgrado fosse già ammalato. «Ho visto cattiveria assoluta», aveva concluso il fratello nell'intervista rilasciata a L'Unione Sarda lo scorso 3 marzo, «il bisogno di mettere alla gogna qualcuno che si è comportato in modo esemplare, rinunciando ai suoi affari pur di non commettere un errore che sarebbe potuto costare il contagio di altre persone. Non meritava questo».

M. V.

Articolo tratto da L’Unione Sarda del 16.03.2020
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Federico Marini
skype: federico1970ca


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