giovedì 3 novembre 2016

I leader di partito: la legge del capobranco.


L’elemento che mi sconcertava maggiormente, quando militavo nei partiti politici, era l’arrivismo e la sete di potere presente tra alcuni compagni (che poi s’accompagnavano soltanto a loro stessi). Alcuni erano diventati maestri impareggiabili nell’arte dei sotterfugi e dei colpi bassi. In quel piccolo assembramento di persone l’obbiettivo di alcuni non era di certo il miglioramento della società, oppure il socialismo, ma piuttosto l’accaparramento di posizioni di potere, e talvolta di becera ricchezza personale. 

Per riuscirci erano utilizzati i mezzi più abietti, così la delazione e gli attacchi personali s’erano lentamente trasformati in un’abitudine condivisa, in cui primeggiavano soprattutto i mediocri ed i privi di scrupoli. Tra i personaggi maggiormente pericolosi, più astuti nonché vigliacchi c’erano i leader, ovvero i dirigenti del Partito.

I leader più scaltri, astuti conoscitori delle miserie umane, sfruttavano sia le spropositate ambizioni d’alcuni, sia l’idealismo e lo spirito di sacrificio che, nonostante tutto, albergava in numerosi compagni (soprattutto tra i più giovani, ma non solo). 

Questi ultimi erano reclutati soprattutto durante i Congressi e le votazioni: erano coloro che alzavano la mano, erano coloro che andavano a volantinare, erano coloro sempre e per sempre presenti, instancabili, costanti, il corpo vivo del Partito. Questi sentivano come un dovere l’ideale che dominava nei loro cuori, e non bastavano tutte le nefandezze a cui erano sottoposti per farli desistere dai loro intenti.
I leader erano inoltre delle persone accorte, e sapevano conservare il proprio ruolo con delle astuzie sorprendenti. 

Un principio fondamentale era quello di prevenire eventuali concorrenti, per questo si circondavano di persone che non potessero mettere in discussione il loro potere e sapessero, oltre a ciò, contrastare con la dovuta efficacia gli avversari. Attorno ai “capi”, così, bazzicavano personaggi rozzi ed ignoranti, pronti persino a menar le mani se mai qualcuno avesse osato mettere in discussione la parola del capo. 

Chi poteva fare questo, chi poteva osare tanto? Non tutti nel Partito erano disposti a tollerare i soprusi, così qualcuno decideva di denunciare i comportamenti antidemocratici che si ripetevano con puntualità sistematica ad ogni vigilia Congressuale. 

Con questi compagni i Leader avevano un comportamento ambivalente. A seconda dei casi, potevano decidere di calmarli grazie a delle lusinghe, promettendo o donando qualcosa, e talvolta ci riuscivano. Con le teste dure, ossia con chi non intendeva piegarsi, mettevano in atto delle guerre psicologiche, grazie all’ausilio dei loro insolenti  sicari.

Per esempio, quando qualcuno osava essere critico su qualcosa, veniva sistematicamente isolato dal resto del gruppo. Si scrutavano le sue mosse con sospetto, come se fosse una minaccia, un delinquente, oppure una sorta di pericolo che occorreva isolare. Comportamenti e stratagemmi avevano l’obbiettivo di rendergli la vita impossibile. La situazione poteva durare anche mesi, sino a quando questo qualcuno non decideva di rimettersi nei binari della maggioranza di turno (oppure d’andarsene, cosa ancora più gradita ai leader).


Mario Puddu.

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