mercoledì 10 ottobre 2018

Le comuni miserie riunificheranno masse oggi sono lontane. Saremmo all'altezza di tanta disperazione? Di Luca Pusceddu.



Per quanto violento, il cambiamento nell’occidente post-industriale è stato in buon parte attutito da quel che ancora rimane in piedi del vecchio Stato sociale, sebbene pezzi sempre più consistenti stiano andando in frantumi; e, soprattutto, dal fatto che buona parte dei precarizzati occidentali sono figli dei vecchi proletari e del vecchio ceto impiegatizio, e quindi godono ancora, sia pure indirettamente, tramite le famiglie, delle vecchie garanzie.

Ma sarà sufficiente lasciar passare ancora una generazione (ma bisogna ammettere che già quelle presenti, come per esempio la mia, se la passano di merda) e la precarietà divamperà, imponendosi come la condizione sociale prevalente. È così che noi, figli e nipoti del vecchio mondo industriale, ci ritroveremo ad essere inutili, sempre più inutili, affiancati nei fatti alle schiere degli “indesiderabili” che approdano oggi sulle nostre coste.

E’ molto probabile che col il trascorrere degli anni e con lo stabilizzarsi di questa invidiabile situazione perderanno di significato persino quei movimenti che tentano ancora, tra mille difficoltà, di dare un sostegno dall'esterno ad una parte circoscritta degli sfruttati (immigrati, disoccupati, precari, ecc ecc.). Le condizioni di sfruttamento finiranno con l’essere simili per tutti, spalancando così le porte per lotte realmente, oggettivamente, comuni.

Allora, e solo allora, forse, scopriremo il filo che ci lega tutti, sfruttati di mille paesi, eredi di storie tanto differenti eppure così simili: il capitale stesso ha riunificato nella miseria le famiglie perdute della specie umana. La vita che si profila all'orizzonte sarà vissuta comunemente sotto il marchio della precarietà, ossia della povertà (magari col “uaifai”, ma pur sempre poveri).

Apparecchiate con cura dall'evolversi dello sfruttamento, ecco allora le moderne basi materiali per gli antichi sogni di libertà. Ecco il luogo delle prossime rivolte - sapremo essere all’altezza di cotanta disperazione?
 Di Luca Pusceddu.

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