L'estate che ci lasciamo alle spalle ha un sapore
amarissimo. Per i fatti in sé che l'hanno connotata: la tragedia di Genova, le
immagini disperate dei migranti della Diciotti utilizzati
come carne da macello per la propaganda elettorale, le tante crisi industriali
di cui i telegiornali si sono occupati tra un servizio da Ibiza e uno sulle
previsioni del tempo. La percezione che traspare è quella di un governo capace
di interpretare il senso comune di un Paese sempre più stanco, sempre più
incattivito, sempre più preda delle superstizioni e dell'ignoranza: dalla discussione sui vaccini a quella
sulle famiglie gay.
Ma è stata un'estate amara anche per la reazione a tutto
questo da parte della sinistra politica. Anzi, per l'assenza di una vera
reazione da parte dei gruppi dirigenti della sinistra politica. Le poche voci che si sono levate sul nodo della concessione alla società
Autostrade, per esempio, sono state nella migliore delle ipotesi nel
solco della difesa dei processi di privatizzazione voluti dal centrosinistra
negli anni Novanta. Così come le critiche al pacchetto dignità, molto simili
alle posizioni di Confindustria.
Per non dire del dibattito sull'immigrazione,
impostato nelle nostre file tutto sulla difensiva, con mille contraddizioni,
con mille incongruenze tra ciò che si dice ora e ciò che si è fatto in passato.
Lo diciamo da tempo e il distacco sempre più clamoroso
emerso quest'estate tra la sinistra e la sua gente, tra la sinistra e i
sentimenti del Paese lo conferma: occorre voltare pagina, con coraggio. Lo dico
con il massimo del rispetto: non basta un maquillage del Pd, un neo-veltronismo
fuori tempo massimo, con o senza Veltroni.
E men che meno basta un processo di fusione tra i pezzi
sparsi della sinistra radicale, al più disinteressati - di fronte al disastro
morale e politico che produce ogni giorno il governo Salvini-Di Maio - al
consenso, alla costruzione di alleanze, al tema del governo. Occorre il
coraggio di fare oggi tutti un passo indietro per farne fare domani, alla
sinistra italiana e quindi al Paese, uno in avanti.
Ha ragione Massimo Cacciari su
Repubblica. Occorre mettere in campo un nuovo processo politico che
fermi il nazional-populismo in Italia e in Europa. Che sia un argine al
sovranismo nazionalista che avvicina l'Italia a Visegrad e
a Trump.
Un nuovo progetto europeista e riformatore ma privo di
quella insopportabile retorica da "ceto medio riflessivo" (più
liberismo, meno Stato sociale, più partito liquido e più società civile, meno
partito e meno politica, più compatibilità, meno giustizia) che ha funestato la
sinistra dal crollo del Muro di Berlino in avanti. Occorre un progetto
popolare, di massa, frequentato da giovani, pensionati, intellettuali,
lavoratori. Vicino al territorio, federale (anche in questo dice bene
Cacciari), senza snobismi.
Una proposta democratica e progressista che si sperimenti
nelle prossime elezioni europee e che superi i simboli del Pd, di LeU, di tutte
le organizzazioni che oggi sopravvivono con fatica nell'arcipelago della
sinistra italiana.
Con un programma, certo, proposte concrete per dare corpo a
un grande sogno di eguaglianza e libertà per il nostro Continente, a partire da
un piano europeo straordinario per l'occupazione, da un salario minimo europeo,
da nuovi e vasti investimenti comunitari in ricerca, innovazione e sviluppo, da
una tassazione armonizzata per i giganti del web e per le grandi transazioni
finanziarie, da una gestione ordinata e condivisa del fenomeno migratorio che
faccia perno intorno ai corridoi umanitari, all'accoglienza diffusa e allo stop
ai traffici di armi verso i paesi dell'Africa e dell'Asia.
Che parli di Europa e che pensi all'Italia, proiettando
questa nuova sinistra, unita e rinnovata, già oggi nella sfida per il governo a
Salvini e Di Maio.
La reazione popolare di solidarietà a Catania;
la manifestazione di Milano, combattiva e colma di speranza: sono segnali a cui
la sinistra può rispondere in due modi. Facendo spallucce e andando avanti a
gestire la sua catastrofe; oppure assumendo fino in fondo la domanda di unità,
radicalità, discontinuità che emerge e agendo di conseguenza.
Non rivolgo consigli al Pd, li rivolgo a noi: penso che LeU
si debba ripensare profondamente, scegliendo dopo un anno di attese e
politicismi tra la strada comoda ma senza uscita dalla testimonianza e quella
più complicata ma necessaria della rifondazione di una nuova sinistra di
governo. Da soli non ha senso, da soli non ce la facciamo: occorre sollecitare
un processo più grande, immediatamente utile nella sfida politica e sociale al
nazional-populismo.
E dico fino in fondo quello che penso: una nuova generazione
e nuove forze, sin qui esterne o marginali, devono iniziare a prendere in mano
le redini di quel che c'è per costruire questo nuovo soggetto politico. Chi ha
diretto, chi sta dirigendo, in larga misura non è esente da colpe inespiabili.
Con meno di questo, i nazional-populisti rimarranno al loro posto per molto,
molto tempo. E noi non possiamo permettercelo e, soprattutto, permetterlo.
Di
Simone Oggioni
Nessun commento:
Posta un commento