La definizione dei Sardi pocos,
locos y mal unidos, attribuita a Carlo V, ma mai verificato in alcun
documento o altra fonte storica, è in realtà di Martin Carrillo, Visitador del
Reyno de Cerdeña. Questi, ambasciatore del re Filippo IV nel 1641, in un resoconto
stilato per il sovrano spagnolo in merito alla situazione linguistica e
culturale della Sardegna (“Il Catalano e lo Spagnolo vengono utilizzati e
capiti nelle città, mentre il Sardo è la lingua comunemente utilizzata nei
villaggi” definirà appunto i Sardi:” pocos, locos y mal unidos”.
E si riferiva – sbagliando – alla situazione linguistica. Ma
tant’è: diventerà un becero e trito luogo comune e verrà interiorizzato da
molti sardi e ripetuto in modo ossessivo e auto flagellante, con effetti
devastanti, specie a livello psicologico e culturale (vergogna di sé, complessi
di inferiorità, poca autostima, voglia di autocommiserazione e di lamentazione)
ma con riverberi in plurime dimensioni: tra cui quella socio-economica.
Del resto l’imperatore Carlo V, poco doveva conoscere la
Sardegna se non dai dispacci “interessati” dei vice re: solo due volte la
visitò direttamente e di passaggio. Nel 1535 quando durante la spedizione
contro Tunisi e i Barbareschi sbarcò a Cagliari trattenendosi alcune ore e
nell’ottobre del 1541; nella seconda spedizione, questa volta contro Algeri, il
più attivo nido dei Barbareschi.
In questo caso la flotta imperiale sostò in Sardegna: ma non
– come ebbe a sostenere Carlo V – per visitare Alghero, dove passò la notte del
7, bensì per esserne abbondantemente approvvigionato, a spese della popolazione
della città catalana e dell’intero sassarese.
I Sardi certo sono pocos: e questo di per sé non è
necessariamente un fattore negativo. Ma non locos: ovvero stolti, stolidi e men
che meno imbecilli. Mal unidos? Questo, almeno in parte sì: ma più per
responsabilità dei Governanti e dei gruppi dirigenti che per colpa del popolo
sardo. Ma soprattutto per responsabilità degli ascari locali, un solo esempio:
Giovanni Maria Angioy fu sconfitto per una pluralità di motivi, ma uno dei
principali è da addebitare e ricondurre certamente a chi lo tradì, ai suoi
stessi ex seguaci.
E penso agli Efisio Pintor Sirigu e non solo. Certo le
esuberanti creatività e ingegnosità popolari dei Sardi furono represse e
strangolate dal genocidio e dal dominio romano. Ma la Sardegna, a dispetto
degli otto trionfi celebrati dai consoli romani, fu una delle ultime aree
mediterranee a subire la pax romana, afferma lo storico Meloni. E non fu
annientata.
La resistenza continuò. I Sardi riuscirono a rigenerarsi,
oltrepassando le sconfitte e ridiventando indipendenti con i quattro Giudicati:
sos rennos sardos (i regni sardi). Certo con catalani, spagnoli e piemontesi
furono di nuovo dominati e repressi: ma dopo secoli di rassegnazione, a fine
Settecento furono di nuovo capaci ai alzare la schiena e di ribellarsi dando
vita a quella rivoluzione antifeudale, popolare e nazionale che porrà la base
della Sardegna moderna.
Certo, si è tentato in ogni modo di scardinare e annientare
lo spirito comunitario, la solidarietà popolare, quella pluralità di reti
sociali e di relazione che avevano caratterizzato da sempre le Comunità sarde
con variegati sistemi e costumi solidaristici e di forte unità: basti pensare a
s’ajudu torrau o a sa ponidura.
Prof.re Francesco Casula.
Autore del libro "Carlo Felice ed i Tiranni Sabaudi"
Il libro di Casula risponde a una domanda semplice: dopo
che i Savoia ricevettero, controvoglia, la Sardegna nel 1720, e
divennero re, come si comportarono verso quella importante parte del
loro regno? La risposta al quesito è semplice, lineare, durissima: la Sardegna
venne trattata come un territorio altro rispetto al Piemonte, abitato da
uomini che avevano meno diritti rispetto agli altri, culturalmente
e socialmente inferiori, i quali dovevano essere trattati in modo tale
da mantenere questa inferiorità. Questo pensavano i tiranni sabaudi, e le
loro modalità di governo, o meglio di spoliazione, sono la diretta
conseguenza della visione ideologica appena tratteggiata.
Girolamo Sotgiu, probabilmente il più grande storico del
periodo sabaudo in Sardegna, pur essendo un oppositore della
“diversità” dei sardi rispetto agli italiani, non poté non constatare
il carattere coloniale dei rapporti tra Piemonte e Sardegna. Di
quei rapporti non sono colpevoli coloro che allora abitavano il
Piemonte (per carità) bensì i governanti, cioè i Savoia e,
successivamente, gran parte della classe dirigente post-1861.
Nel 2011, durante le celebrazioni del 150esimo
anniversario dell’Unità d’Italia, si è persa l’occasione di riflettere
criticamente sul Paese e sul processo di “unificazione”. Però si
può sempre (ri)cominciare, anche in assenza di una ricorrenza. Se un
turista, un italiano o uno straniero, viene in Sardegna, scoprirà che la
strada più importante, la SS131, è la “Carlo Felice”. Carlo Felice, detto
anche “Carlo feroce” è stato uno dei peggiori, più sanguinari e
pigri vice-re di Sardegna.
Un amico studioso ama ripetere che è come se gli israeliani,
nel 2200 dedicassero la loro strada più importante a un nazista, magari
a Hitler in persona. Certo, questo sarebbe potuto succedere se i
nazisti avessero vinto. Dato però che non è giusto che la storia la facciano i
vincitori, le persone dotate di senno o almeno di amor proprio che abitano in
Sardegna, perché non mettono mai in discussione la memoria che si
reifica nei nomi delle strade e delle vie di Sardegna?
A Cagliari, nella piazza più frequentata, svetta
la statua di Carlo Felice. Più di sei anni fa proposi, per molti
provocatoriamente, di sostituirlo con Giovanni Maria Angioy, il
quale “fu il capo […] del movimento anti-feudale sardo. Angioy fece proprie le
rivendicazioni delle popolazioni della campagna vessate dai
feudatari, e propugnò l’eliminazione delle arcaiche strutture di potere”. Da
tempo, un movimento di opinione, che ha presentato anche una petizione, chiede che la
statua venga spostata.
In questa fase storica, di disfacimento di un progetto
politico (l’Italia), ragionare sulla sua storia secolare e i suoi governanti,
ragionare sul suo carattere plurinazionale (l’Italia è insieme alla
Francia uno dei paesi europei a non aver ratificato la Carta Europea delle
Lingua Minoritarie), fa sicuramente bene ai popoli in cerca di una libertà
che Roma non ha fornito, ma anche a Roma stessa.
Il libro di Francesco Casula, che rifiuta ogni razzismo
anti-italiano, è un valido contributo per riscrivere veramente la storia,
andando contro i tanti tradimenti dei presunti chierici.
Autore Enrico Lobina.
Tratto dal sito https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04/05/carlo-felice-e-i-tiranni-sabaudi-la-sardegna-degli-uomini-con-meno-diritti-degli-altri/3495706/
Ho letto, due volte, il saggio di Francesco Casula. Niente di più vero e, oserei dire, di più sacro, di quanto riportato nel suo saggio. Mi viene in mente soltanto un motto: Forza paris !
RispondiEliminaPro la torrare a bida in Saldigna che cheret omines che a Casula ,foltes che Ferru
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