Il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio mi perdonerà
se gli racconto già alcuni pezzi della trama del grande film cinese che vedrà
nella sua visita ufficiale a Chengdu, nel cuore del Sichuan, il prossimo 20
settembre. Di Maio resterà fortemente colpito, come chiunque visiti per la
prima volta questa smisurata megalopoli. E proverà stupore per la dimensione
titanica dell’immenso spazio urbano ridisegnato con un’impressionante
accelerazione della storia, così come per la fitta rete di grandi autostrade su
più livelli, percorse da grosse auto di marche tedesche, giapponesi e cinesi,
in corsa fra migliaia di altissimi edifici, grattacieli e insediamenti, che si
slanciano verso il cielo grigio e umido in un’area piatta e urbanizzata grande
quanto l’intera Campania.
Se il boom italiano degli anni sessanta conserva ancora oggi
l’inerzia di quello slancio che lasciava stupefatto un paese agricolo che in
poco tempo diventava industriale, qui siamo di fronte a un salto cento volte
più travolgente ed energico, in grado di colmare i secoli in un decennio, in
una città passata in poco tempo da 5 a 17 milioni di abitanti.
La prima linea della metropolitana di Chengdu è stata
inaugurata nel 2010, oggi siamo già all’inaugurazione della quinta linea, e nel
2030 la rete della metro servirà con decine di linee una città di oltre 25
milioni di abitanti. Chengdu sarà lo snodo centrale della Belt and Road
Initiative (BRI), la nuova Via della Seta che integrerà lo spazio eurasiatico e
coinvolgerà la maggior parte della popolazione mondiale. Su
invito delle autorità cinesi ho partecipato con una delegazione di politici,
imprenditori, diplomatici e ricercatori di tutta Europa a un intensissimo
programma di dieci giorni tra Pechino e Chengdu. Un vortice di incontri e
visite presso istituzioni, imprese innovative, scuole di partito, agenzie
internazionali, mirante a stabilire relazioni solide fra la Cina e le
personalità che in Europa vogliono comprendere e partecipare al grande impulso
della BRI.
Gli interlocutori che ho trovato in Cina stanno passando al
setaccio ogni novità di ciascun paese europeo e perciò manifestano molta
attenzione nei confronti del Movimento Cinque Stelle e del governo da esso
guidato. Questo interesse mi ha aperto molte porte presso gente concreta e
desiderosa di capire. A Pechino ho visitato la fabbrica della Beijing Electric
Vehicle (BJEV), i concorrenti della più famosa e americana Tesla nella
produzione di veicoli elettrici. Ne hanno già prodotto 250mila e puntano a
essere leader mondiali del nuovo mercato.
Un dirigente BJEV si
lascia scappare una battuta: «La Tesla è un costoso giocattolino per ricchi,
noi siamo i fornitori di auto elettriche per le masse a prezzi popolari». Con
il corrispettivo di 16mila euro, un cittadino della classe media cinese può portarsi
a casa una berlina con un’autonomia di quasi 500 km a ogni carica, mentre
crescono le infrastrutture che diffondono in mezza Cina i punti di rifornimento
dedicati ai veicoli elettrici. Ed è ormai pronto a entrare in produzione un nuovo sistema che è l’uovo
di Colombo rispetto ai tempi lunghi delle ricariche, ossia il cambio di
batteria presso i punti di rifornimento: anziché aspettare ore per ricaricare,
togli la batteria (ormai più piccola, compatta ed estraibile) quando è scarica
e la sostituisci ogni volta con una già ricaricata.
Solo il tempo ci dirà se davvero milioni di persone
passeranno all’auto elettrica, e se questo sia il modello giusto di mobilità.
Intanto gli investimenti accelerano e il settore automobilistico cinese nel suo
insieme è trainante. In Italia in molti santificano i dirigenti Fiat, ma la
storia ci ha già detto che non si sono mai accorti del risveglio dello
sterminato mercato cinese. Dovremo tutti essere migliori dei dirigenti Fiat,
per i tanti campi dell’economia che non sono irrimediabilmente perduti.
L’attimo è ora.
Racconterò a parte delle altre imprese ad alta tecnologia
che ho visitato a Pechino e nel Sichuan, dei parchi scientifici, delle migliaia
di ingegneri che hanno regalato alla optoelettronica cinese la leadership per
gli schermi ad altissima definizione, e così via. Mi concentro ora su un dato
più politico di questa missione.
Ho fatto da portavoce dell’intera delegazione nella serata
finale del programma, dove ho pronunciato un discorso durante l’incontro
ufficiale con il vicepresidente e responsabile delle Finanze del Sichuan,
Ouyang Zehua, e altri dirigenti di questa regione di 91 milioni di abitanti,
vasta quanto la Francia. Ouyang è un signore molto dinamico dallo sguardo
ironico e curioso che sprizza ottimismo e pragmatismo da tutti i pori, mentre
snocciola i risultati economici, e ne ha ben donde: il tasso di crescita del
PIL del Sichuan nel 2018 è dell’8,2% in un anno, in aggiunta a una lunga serie
storica di dati formidabili.
L’orgoglio del dirigente cinese si combina con una cosa
molto italiana: la passione per il cibo, la sua varietà, il suo legame con la
cultura e il territorio. Il Sichuan è probabilmente l’area del pianeta che
condivide di più con l’Italia una precisa caratteristica, ossia la ricchezza dell’assortimento
di tradizioni culinarie, con infinite varianti subregionali spesso
raffinatissime. Ora che il Sichuan ha ben motivate ambizioni da “ombelico del
mondo”, combina questa sua millenaria tradizione gastronomica con un’apertura
schietta e curiosa verso altre tradizioni.
Il vino è ormai sempre più presente a tavola, e anche i
formaggi e altri prodotti agroalimentari europei. Perciò prendete nota e
siateci! Non siate come gli Agnelli e i loro manager sempre sopravvalutati! Un
ottimo punto di partenza è la Western China International Fair di Chengdu che
apre il 20 settembre 2018. Di Maio rappresenterà un’Italia in veste di paese
ospite d’onore. I pianificatori della nuova megalopoli, che abbiamo incontrato
presso un parco scientifico dove tutto viene programmato come se il videogame
Simcity prendesse davvero corpo, ci mostrano con grande orgoglio il gigantesco
plastico della Chengdu del 2034.
Non ragionano come i palazzinari a corto raggio nostrani,
anche se non credo siano meno spregiudicati. Mentre oggi lo sviluppo
asimmetrico di Chengdu sembra concentrarsi in mille mostruose lingue di cemento
che turbano minacciosamente qualsiasi senso della misura urbanistica da noi
conosciuta, per il futuro – un futuro immediato – la cura per la dismisura è
un’ulteriore dismisura. Cioè un colossale rimodellamento e ri-bilanciamento dei
poli di sviluppo, un investimento-monstre su “scala cinese” in tecnologie
verdi, energie rinnovabili, opere idrauliche di rinaturalizzazione del
paesaggio.
Nel gioco Simcity puoi cambiare il paesaggio con la
tempistica degli umani, ma puoi divertirti a usare il “God Mode”, la “modalità
di Dio”, e mettere fiumi e laghi dove non c’erano e farlo in tempi rapidissimi.
Ed ecco che nella Chengdu reale le aree dedicate a parchi avranno ciascuna
dimensioni paragonabili a una grande città italiana, con specchi d’acqua estesi
e insenature suggestive. Il nuovo cuore di Chengdu sarà una città nella città,
tutta da sviluppare, il nuovo distretto di Tianfu.
Si tratta di una città-parco dove si concentreranno le
attività commerciali e scientifiche legate alle nuove rotte eurasiatiche. Sarà
tutto costruito entro sette anni, avrà una superficie di circa 600 kmq
(superiore a quella di Roma entro il Grande Raccordo Anulare), i grattacieli
più alti della Cina occidentale e dieci linee di metropolitana distinte dalle
altre decine di linee del resto della città di Chengdu, un’enorme stazione
ferroviaria che collegherà Chengdu a mezzo mondo, incluse le nuove linee
superveloci.
Ricordiamo che molte città cinesi si collegheranno entro
pochi anni con treni a levitazione che viaggeranno a velocità vicine ai mille
km/h. Chengdu ha già un aeroporto da 45 milioni di passeggeri l’anno. Nel 2020
inaugureranno un secondo aeroporto internazionale da sei piste con altri 90 milioni
di passeggeri l’anno.
Il Sichuan diventerà la meta di un turismo d’affari che non
si limiterà a vedere il parco dei panda (a proposito, sono bellissimi!). Sarà
anche la base di partenza di una ormai vasta classe media pronta a girare
quell’Europa che saprà accoglierla. Non dimentichiamo che a
un’ora e mezzo da Chengdu c’è un’altra megalopoli ultramoderna, Chongqing, con
i suoi 30 milioni di abitanti, anche loro parte di una “affluent society”
pronta a viaggiare e già in pieno respiro internazionale. Quanti giornalisti e
politici italiani si curano di raccontare queste città, dal peso demografico e
industriale così cospicuo? Davvero pochi. È davvero così difficile raccontare
un mondo così importante per il futuro nostro e dei nostri figli e smarrirlo invece
come una traccia muta e indecifrabile?
Non è un tantino squilibrata un’informazione che della Cina
sa restituire ai cittadini solo il luogo comune dell’involtino primavera (mai
visto in tutto il viaggio) o dei negozi di chincaglierie a poco prezzo? È come
se di un grande palazzo sontuoso, fresco di lavori e ricco di tesori, si
volesse vedere solo lo sgabuzzino delle scope. Troppi giornali italiani sanno
vedere solo i bugigattoli della Storia, e infatti puzzano di muffa. Sino a poco
tempo fa, persino agli occhi di chi in Europa prendeva le decisioni che
contano, Chengdu e altre grandi realtà cinesi erano solo dei luoghi remoti, un
puntino ignoto sulla cartina dell’Asia.
Ma oggi Chengdu e il Sichuan influenzeranno in modo diretto
il lavoro di chi in Europa fa le leggi, programma le decisioni economiche e fa
impresa, qualsiasi settore voglia considerare. Solo una parte è pronta a questa
nuova realtà, mentre dobbiamo esserlo tutti. Ad esempio, vogliamo regalare alla
Polonia il ruolo di principale terminale europeo della BRI, accontentandoci
delle diramazioni secondarie? Oppure dobbiamo guardare all’Africa, dove la Cina
ha innescato un altro gigantesco processo economico? Cioè guardare alla nostra
geografia, alla nostra profondità strategica, a dove si collocano la penisola
iberica, la Sardegna, la penisola italiana, la Sicilia.
Ho chiesto dunque ai dirigenti cinesi se i terminali delle
Vie della Seta fossero una pianificazione ormai conclusa, o se fossero aperti
ad altre iniziative. «Naturalmente siamo aperti – mi risponde Ouyang – e penso
anche che tra gli investimenti in Africa e quelli in Europa ci debba essere una
cerniera». Il che corrisponderebbe a chiudere il cerchio. Colgo l’occasione per
parlargli – come avevo già fatto con altri dirigenti cinesi - del grande valore
pratico e simbolico che avrebbe una rapida ricostruzione congiunta del ponte di
Genova con i campioni cinesi delle infrastrutture, una goccia rispetto al mare
di cose che si possono fare, ma una goccia importante.
Ouyang coglie la portata della proposta, e mi rivela che la
prossima settimana ci sarà proprio a Chengdu un concerto dell’orchestra di
Genova in memoria delle vittime, nel bellissimo auditorium da poco inaugurato.
La cosa mi sorprende e mi fa piacere, forse avevo visto giusto. Facciamo in
modo che le buone idee si diffondano, come le emozioni della musica.
Pino
Cabras
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