“In guerra è meglio conquistare uno Stato intatto.
Devastarlo significa ottenere un risultato minore.” Vista la situazione
obiettiva (anche personale: rischia la galera!) in cui Puigdemont si è ficcato
e i rapporti di forza sul terreno non è che potesse fare – e gli si potesse
chiedere - molto di più. Non poteva andare avanti (per non compromettere la
situazione ulteriormente) ma non poteva nemmeno tornare indietro (c’è pur
sempre sul piatto la straordinaria partecipazione popolare del 1 ottobre).
Di fatto ha lasciato le cose in sospeso nell’attesa che
altri attori, interni ed esterni (in primis la UE), chiamati in causa,
intervengano nella vicenda come mediatori. Mi sembra che complessivamente
rischi per l’immediato di uscirne ulteriormente indebolito, e oltre tutto con
una controparte (anch’essa credo ne uscirà indebolita, soprattutto nel lungo
periodo) che pare proprio insistere nel chiedere la testa dei dirigenti
indipendentisti.
Se Rajoy insiste con la difesa dello “Estado de derecho” dei
miei stivali, cioè insiste nel voler reprimere, potrebbe sì vincere la
battaglia ma alla lunga perdere la guerra. Resta tuttavia sul terreno:
(a) una frattura anzi tutto nella società catalana e poi in
quella spagnola,
(b) un profondo conflitto politico-istituzionale che peserà
per il futuro immediato della Catalogna, della Spagna e finanche della UE
(quale crisi attraversi la democrazia credo sia evidente a tutti);
(c) si è riaperta un’antica ferita, repubblica o monarchia,
con tutto quel che comporta anche sul piano simbolico (che è importante) e che
in definitiva chiama in causa l’assetto costituzionale dello Stato spagnolo. E sullo sfondo una crisi sociale e un conflitto di classe
che è lecito ritenere destinato ad inasprirsi.
Di Luca Pusceddu
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