La
Nuova
Fratoianni
all'attacco: «Lavoro e ambiente Pigliaru è da bocciare» Il segretario di Si:
Mdp riveda il suo sostegno alla giunta. Sul cantiere a sinistra: passi avanti,
alternativi a destre e Pd. di Alessandro Pirina
Prove di unione a sinistra. Con il
no alla fiducia di Mdp al governo Gentiloni ieri di fatto è nata la nuova Cosa
che metterà insieme le varie anime della sinistra in vista delle politiche di
primavera. Un cartello di partiti e movimenti da cui si è tirato fuori Giuliano
Pisapia con il suo Campo progressista. E domani quella nuova Cosa di sinistra
debutterà anche in Sardegna. A Sassari si ritroveranno tutte le varie anime
della sinistra che non si riconoscono nel Pd. E neanche in questo caso saranno
presenti esponenti del movimento di Pisapia, che nell'isola può contare sul
sindaco di Cagliari, Massimo Zedda.
A Sassari però ci saranno Mdp con
Miguel Gotor, Possibile con Pippo Civati, e poi i Rossomori, Sardigna libera,
Rifondazione, Pci, associazioni, urbanisti, esponenti della cultura. A fare gli
onori di casa sarà Sinistra Italiana con Nicola Fratoianni, segretario nazionale
del partito nato dalle ceneri di Sel, in queste ore in prima linea contro il
Rosatellum. «Una legge costruita sulla convenienza della maggioranza attuale e
di quella futura con Renzi e Berlusconi».
Fratoianni,
a che punto sono i lavori nel cantiere della sinistra? «Ci sono passi avanti. Mdp ha scelto con
forza di uscire dalla maggioranza di questo governo. Lo ha fatto prima sul Def
e ancora più convintamente sulla legge elettorale. Questo di per sé lo avvicina
alle posizioni di chi è sempre stato all'opposizione».
Di questo
cantiere non farà parte Pisapia. «Lui ha sempre detto di volere essere
competitivo ma anche alleato del Pd. Io credo invece non ci si possa alleare
con chi si è reso protagonista di una politica disastrosa sotto tutti i punti
di vista. In questi mesi si è parlato di formule, nuovo centrosinistra e
simili, ma noi puntiamo ad altro, a creare una piattaforma che metta al centro
la vita delle persone. Ecco perché è fondamentale trovare la convergenza più
larga possibile su una proposta esplicitamente alternativa alle destre sempre
più fasciste, al Movimento 5 stelle che non è in grado di dare risposte, ma
anche al Pd e alle sue politiche».
La Sardegna
va in controtendenza: il dem Pigliaru è sostenuto da Mdp, mentre Campo progressista
si è sfilato dalla maggioranza. «Mi verrebbe da dire: il mondo è
bello perché è vario. Ma non è così. La giunta Pigliaru ha finora mostrato
tutta la sua inadeguatezza sul lavoro: non è stata capace di attuare politiche
attive per risolvere la grave emergenza occupazionale. Sull'ambiente poi è
arrivata a mettere in discussione una delle principali conquiste
dell'esperienza Soru: i vincoli a tutela di questa terra meravigliosa. Senza
dimenticare la scelte negative in materia sanitaria. Credo che su questo
terreno per i compagni di Mdp sia arrivato il momento di fare il punto: per costruire
un nuovo orizzonte occorre valutare nel merito le scelte politiche».
La nuova
piattaforma di sinistra viene bollata come la nuova Rifondazione comunista. «Rifondazione è stato un
partito rimasto a lungo sulla scena e con risultati
lusinghieri. Ma è una polemica poco interessante. Io voglio
uscire dal dibattito astratto sulle formule, voglio un partito
che abbia le idee chiare sulla parte in cui deve stare. E dunque dalla
parte delle gente che in questi anni si è impoverita, la maggioranza
di questo Paese. Una scelta di campo che
non è né estremista né irrealista».
Oggi
terzo sì al governo, poi voto segreto. Tensione nei Dem
D'Alema:
logorano la democrazia. Renzi: loro fiaccano il Pd
Prime due
fiducie È quasi via libera
di
Giovanni Innamorati
ROMAIl Rosatellum 2.0 supera i primi
ostacoli nell'aula della Camera,
con l'approvazione di due delle tre
fiducie poste dal governo.
L'obiettivo è di chiudere entro oggi
la partita a Montecitorio.
Intanto infuria la polemica sulla
decisione dell'Esecutivo: la fiducia
non solo ha indignato gli oppositori
della legge, che hanno portato in
piazza i militanti, ma ha suscitato
obiezioni anche nella maggioranza
e nel Pd, e persino nell'ex
presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano. Il Pd difende la scelta,
unico modo per portare a casa la
riforma elettorale. Che il governo
abbia subito la richiesta della
maggioranza di porre la fiducia sul
Rosatellum 2.0 lo ha dimostrato
l'assenza dei ministri sui suoi
banchi; c'era solo il sottosegretario
all'Interno Giampiero Bocci.
In Aula si è verificato quello che i
gruppi avevano annunciato: le due
fiducie sono passate con i voti di
Pd, Ap, Civici, Minoranze
linguistiche, mentre FI e Lega sono usciti
dall'Aula per marcare il loro
accordo sulla legge. il «no» è giunto da
M5s, Mdp e Fdi. Alla fine nella
prima fiducia si sono registrati 307
sì, 90 no e 9 astenuti, mentre nella
seconda ci sono stati 308 sì, 81
no e 8 astenuti. Le astensioni sono
arrivate da quanti nella
maggioranza hanno definito
«inopportuna» la fiducia, come alcuni
deputati di Des-Cd o, nel Pd, Gianni
Cuperlo. Dissenso anche da Rosi
Bindi, che ha votato la fiducia, ma
dirà «no» alla legge nel voto
finale. Matteo Renzi ha ricordato
che la fiducia sulla legge
elettorale fu posta da De Gasperi
nel 1953: «Si è parlato di
fascistellum - ha attaccato -
abbiamo una torsione verso l'assurdo di
commenti che ci definiscono come
fotocopia del fascismo. Ci rendiamo
conto della gravità di questa
violenza verbale?
Il Rosatellun prevede
collegi in misura inferiore al
Mattarellum ma dove sia l'elemento
fascista dei collegi sfugge». Il
«no» delle opposizioni è stato
gridato sia in Aula che nelle
piazze. Nel pomeriggio Mdp ha chiamato
nella vicina piazza del Pantheon i
propri militanti, mentre i
simpatizzanti di M5s hanno ascoltato
le «arringhe» di Luigi Di Maio,
Alessandro Di Battista e Roberto
Fico davanti Montecitorio. Le parole
usate sono state forti («golpe
istituzionale», attacco alla
democrazia»). E punta a mobilitare
la piazza anche Beppe Grillo: «i
cittadini avranno la loro parte di
responsabilità se nascerà
l'ennesima legge elettorale
porcata». La fiducia sembra aver spezzato
anche il rapporto di rispetto di Mdp
verso Paolo Gentiloni: «Ha perso
credibilità, uno con credibilità
avrebbe detto «non ci sto», ha detto
Pierluigi Bersani. Giorgio
Napolitano ha criticato il ricorso alla
fiducia che, ha sostenuto, «limita pesantemente»
l'ambito di
intervento dei parlamentari.
E mentre l'avvocato Felice Besostri
e
Roberto Fico tirano per la giacca
Mattarella, invitandolo a non
firmare la legge, il capo dello
Stato ha invitato a tenere a mente
l'obiettivo di avere una legge varata
dal Parlamento: «La forza della
nostra democrazia sta nella capacità
di rispettare la pluralità e di
comprendere quando è in gioco il
bene comune».
M5S
assedia Montecitorio Mdp sceglie il Pantheon
La
divisione delle piazze romane nel giorno dell'opposizione al Rosatellum
Davanti a
Montecitorio il trio Di Maio-Di Battista-Fico tuona contro la fiducia
di Francesca Chiri
ROMALa prima fiducia al Rosatellum
passa con la piazza di
Montecitorio «gonfia» dei
manifestanti chiamati dai 5 Stelle che
protestano e la sinistra che arringa
contro il governo e contro il Pd
pochi metri più in là, al Pantheon.
Il tam-tam diffuso via social dal
M5s riesce a mobilitare i cittadini
che con la loro pressione, da fine
mattinata, sono riusciti a
«sfrattare» l'altro Movimento, quello
dell'ex generale Pappalardo, che da
martedì presidiava la piazza. E ad
offuscare i sostenitori di
Rifondazione Comunista che si erano pure
loro dati appuntamento sotto
l'obelisco per protestare contro il
Rosatellum. E che si sono poi
trasferiti nell'altra piazza, quella
chiamata da Mdp e Sinistra Italiana.
Beppe Grillo non c'è, ma di prima
mattina si fa sentire dal suo blog:
«non consegnate il vostro futuro
ai due imbroglioni» Renzi e
Berlusconi. E si appella ai cittadini:
«avranno la loro parte di
responsabilità se nascerà l'ennesima legge
elettorale porcata». Il garante M5s
sarà a Roma oggi. La piazza, che
non ha lesinato fischi a Mattarella
e Napolitano, lo aspetta ma non è
detto che voglia togliere gli onori
del palco al nuovo leader M5s,
Luigi Di Maio, accolto dagli
applausi mentre arrivava in piazza
accompagnato sia da Alessandro Di
Battista, sia da Roberto Fico con i
quali ha intonato l'inno di Mameli.
Il candidato premier è fiducioso:
la mobilitazione potrebbe davvero
smuovere le acque e far naufragare
la legge elettorale. «Dovete fare
sentire la vostra voce» e «poi
vedrete che ce la faremo: io ci
credo molto perché ogni volta che noi
in Parlamento abbiamo avuto bisogno
del popolo italiano, voi avete
risposto». E nella piazza che per
tutto il pomeriggio si è sgolata
gridando «onestà, onestà», chiama
alla protesta ad oltranza. Oggi il
popolo 5 Stelle sarà di nuovo
davanti alla Camera per una «veglia per
la democrazia»: «abbiamo una
battaglia da combattere, se domani non ce
la faremo l'appuntamento successivo
è al Senato.
Noi siamo dalla parte
giusta della storia: se i partiti
non perderanno sulla legge
elettorale, perderanno tanta gente
che aveva ancora fiducia in loro»
dice. E ne pagheranno il conto nelle
urne: «Vedendo questa folla sono
sicuro che alle prossime politiche
li manderemo a casa». Il trio Di
Maio-Di Battista-Fico galvanizza. Il
leader degli «ortodossi» lancia
il suo nuovo richiamo alle origini
del M5s, alla derivazione
«gandhiana» e a quella francescana.
«Oggi siamo qui per dire che siamo
fermi nelle nostre idee come nel
primo V-Day, quando non avevamo
bisogno né di partiti, né di Tv, né
di giornali. Quando iniziò quel
percorso dei Cittadini che si fanno
Stato».
Di Battista, senza voce,
chiama alla battaglia: «hanno paura
di noi, e fanno bene: noi siamo
non violenti ma non siamo coglioni».
Con loro sul palco sale anche il
candidato in Sicilia, Giancarlo
Cancelleri. Non c'è invece la sindaca
Virginia Raggi mentre a Torino dove,
come a Milano è stato organizzato
un presidio di sostegno alla
manifestazione romana, c'è anche Chiara
Appendino. E se in piazza il M5s
ritrova l'unità interna, anche al
Pantheon va in scena la prima
manifestazione unitaria della sinistra.
Con Roberto Speranza, Nicola
Fratoianni e Pippo Civati, che arrivano
insieme alla manifestazione, ci sono
anche i «pisapiani» di Campo
Progressista. Massimo D'Alema
attacca: la legge elettorale è
«inaccettabile, segno di
irresponsabilità del gruppo dirigente del Pd
che logora la democrazia». Pierluigi
Bersani si dice invece deluso da
Gentiloni: «da lui non me lo sarei
aspettato, ha perso credibilità».
Tra bandiere rosse e «Bella ciao»,
applauditissimi gli interventi di
Cecilia Guerra ed Anna Falcone.
Pigliaru:
stop allo Stato che si porta via 684 milioni - la trattativa
sugli accantonamenti
CAGLIARIQuanto sarebbe bello che,
nella prossima Legge di stabilità,
il governo Gentiloni scrivesse:
«Finora siamo stati troppo severi con
la Sardegna: 684 milioni di
trattenute sono un'esagerazione. I milioni
saranno dimezzati». Sarebbe fantastico,
ma ci vorrà ancora del tempo,
chissà quanto, per trascinare
Palazzo Chigi sulla via della
conciliazione. Per ora c'è solo la
trattativa riaperta,
ventiquattr'ore fa, a Roma, dal
governatore Francesco Pigliaru e
dall'assessore al bilancio Raffaele
Paci, con tre sottosegretari:
Maria Elena Boschi, presidenza del
Consiglio dei ministri, Pier Paolo
Baretta, delegato dall'economia, e
Gianclaudio Bressa, affari
regionali. Sette mesi dopo l'ultimo
faccia a faccia, allora dall'altra
parte del tavolo c'era solo la
Boschi, Pigliaru e Paci hanno
rilanciato la vertenza
accantonamenti.
Il trio governativo ha
ascoltato la proposta della Regione,
che è dimezzare l'importo dal
prossimo anno, poi annunciato «siamo
pronti a discutere la richiesta»
tanto d'aver scritto in agenda: «La
prossima settimana, vi daremo una
risposta». È stata questa la
promessa di Boschi e più. L'importante è
che non finisca come ad aprile,
quando sempre la sottosegretaria si
affrettò a dire: «Tranquillo,
assessore. La convocheremo presto», e
invece da allora non s'è fatta più
sentire. Stavolta l'impegno però è
anche col governatore e non
mantenerlo sarebbe uno sgarbo
istituzionale esagerato.
I soldi sul tappeto. L'oggetto della
disputa
sono i 684 milioni l'anno, dal 2016
è sempre quello l'importo, che lo
Stato trattiene alla Sardegna come
contributo obbligatorio al
risanamento del debito pubblico
nazionale. Sono tutte le regioni,
ordinarie e speciali, a pagare il
pegno, ma da sempre Cagliari lo
considera sproporzionato. Con tanto
di doppia motivazione: l'isola è
stata colpita più di altri territori
dagli effetti devastanti della
crisi e ha bisogno di altri soldi -
tra l'altro sono suoi - per
risalire. Poi c'è il secondo motivo.
Lo Stato ha aumentato «in maniera
unilaterale il carico degli accantonamenti
senza confrontarsi con la
Regione», nonostante anche di
recente la Corte costituzionale abbia
scritto: «Doveva e deve
farlo».Richieste e risposte. «Al governo
l'abbiamo ripetuto: il nostro
contributo non è equo - ha detto
Francesco Pigliaru - Ho visto la
disponibilità del governo a
continuare nel dialogo, ma i tempi
sono stretti: c'è in arrivo la
Legge di stabilità nazionale». Da
mercoledì prossimo potrebbe
cominciare la vera trattativa:
«Partiamo da 684 milioni - ha ricordato
l'assessore Paci - e dovremo trovare
un punto d'incontro. Noi abbiamo
proposto di dimezzare l'importo, da
684 a 342 milioni, e stabilire
anche un importo fisso per i
prossimi tre-cinque anni, come hanno già
ottenuto le Province autonome di
Trento e Bolzano».
Attraverso l'Agenzia Dire è arrivata
la risposta ufficiale del governo: «Abbiamo
ascoltato con molta attenzione le
richieste della Sardegna - ha detto
il sottosegretario Bressa - Le
valuteremo e fra un settimana
potrebbero essere gettate le basi
per un confronto tecnico
bilaterale». L'importate, al di là
delle cifre, è che il governo
rispetti almeno l'appuntamento
preso.I contestatori. A sorpresa la
prima critica alla missione della
giunta a Roma è arrivata dal Partito
dei sardi. Da sempre molto attento a
ogni passaggio delle varie
vertenze con lo Stato, il capogruppo
Gianfranco Congiu ha detto in
Consiglio: «Queste trattative non
possono essere più o meno segrete.
Il presidente della giunta deve
informare l'aula di come vuole
confrontarsi con lo Stato».
È possibile che sin da oggi il Pds
ufficializzi questa richiesta: «La
giunta aggiorni i consiglieri su
quali potrebbero essere gli esiti
dei diversi vertici finanziari a
Roma». I commenti del centrodestra
sono stati è ovvio ancora più duri.
Forza Italia, col coordinatore Ugo
Cappellacci, ha detto: «Pigliaru
smetta di fare da palo al governo e
chieda la restituzione dei tre
miliardi scippati finora alla
Sardegna». Significativa anche la presa
di posizione del gruppo Fdi-An:
«Smettiamola con i viaggi della
speranza. È arrivata l'ora di
battere i pugni sul tavolo». (ua)
Il futuro
dell'ospedale sarà discusso alla fine del dibattito sulla riforma
La
maggioranza evita il ko rinviata la scelta su Lanusei di Umberto Aime
CAGLIARIMeglio evitare scivoloni, in
aula, quando soffia ancora la
tempesta. «Bisogna far calmare gli
animi, martedì abbiamo rischiato di
andare sotto... sulla sanità non
possiamo concederci neanche un passo
falso falsi». Sarebbe stato più o
meno questo lo scambio di messaggi e
bigliettini, tutto interno al Pd e
in parte anche alla maggioranza,
quando mancavano pochi minuti
all'ora dei lunghi coltelli. Cioè: il
voto palese, nessuno ha chiesto
quello segreto, sull'emendamento
polveriera, presentato da Franco
Sabatini, ogliastrino del Pd, che
riconosce subito il primo livello
all'ospedale di Lanusei, ora
bloccato su un più generico «con
funzioni superiori» ma pur sempre
«solo di base».
Emendamento che si sa, è contrastato
invece,
«attenzione, potremmo scatenare un
pericoloso effetto domino», da una
parte del partito di maggioranza
relativa. Così dopo quel via vai di
contatti da una banco all'altro del
centrosinistra, l'emendamento
dall'effetto dirompente - pare sia
pronta da tempo una maggioranza
trasversale con i numeri per
approvarlo - è stato rinviato all'ultimo
giorno utile prima del via libera
finale alla riorganizzazione degli
ospedali. Finirà in coda anche
all'altro caso complicato, quello del
punto nascita di La Maddalena. Balzo
in avanti. Su La Maddalena però,
ora è ufficiale, Pierfranco
Zanchetta dell'Upc ha strappato ancora
qualcosa in più ai relatori di
maggioranza.
L'ultima conquista è stata
che «comunque la Regione chiederà
una deroga speciale al ministero per
evitare la chiusura», finora non
l'ha fatto, poi «c'è la certezza che
il percorso nascita sarà potenziato,
con l'arrivo a turno di
ginecologici dall'ospedale Giovanni
Paolo II» e infine «il reparto
resterà aperto anche quando saranno
a pieno regime gli standard di
sicurezza previsti per il trasporto
della madre e del neonato». Anche
questo emendamento sarà discusso la
settimana prossima e sembra che
sul testo, c'è ancora qualche
piccola correzione da fare, il
centrosinistra sia ormai quasi tutto
d'accordo. Ma per Zanchetta è
stato un giorno magico anche per
altri due emendamenti. Ha ottenuto la
riapertura sicura del reparto di
pediatria, con l'aumento dei posti
letto da due a tre, più «la camera
iperbarica fissa nell'ospedale
Merlo di La Maddalena».
Invece solo per «la mancata
copertura
finanziaria», in parole spicce nella
Legge di stabilità regionale non
esiste un capitolo di spesa
dedicato, non è passato un suo terzo
emendamento. Prevedeva «il
contributo di 3mila euro alle famiglie
delle partorienti trasferite dal
Merlo a Olbia».. L'appello
dell'Ogliastra. Franco Sabatini l'ha
lanciato a metà della seduta
pomeridiana, dopo aver capito che,
in questa battaglia, avrebbe
ricevuto un bel po' di voti in
soccorso dal centrodestra, pronto
eccome a schierarsi contro la
giunta. Ma Sabatini, nell'arringa, ha
esordito così: «Non chiederò a
qualcuno di sollecitare il voto
segreto. Io non lo posso fare, non
sono un capogruppo. No, voglio che
su Lanusei tutto avvenga alla luce
del sole. Perché l'Ogliastra non
vuole vincere con i colpi di mano,
né pretende nuovi reparti. Abbiamo
già la rianimazione, e quindi il
nostro ospedale ha tutto perché gli
sia riconosciuto subito il titolo
richiesto. Vorrei ricordare - ha
continuato - che se così non fosse,
saremmo gli unici a non avere una
struttura di quel livello nel
territorio.
Vorrei ricordare ancora che
la promozione del nostro ospedale
non costerebbe un euro alla Regione:
lo ripeto, abbiamo tutto». Durata
quattro minuti, vissuti tutti d'un
fiato, l'arringa è stata ascoltata
con attenzione dai banchi del
centrosinistra, diversi i volti
preoccupati, e da quelli del
centrodestra, in cui nel frattempo
era cominciata la conta per puntare
alla vittoria. È stato a quel punto
che il capogruppo del Pd, Pietro
Coco, ha intuito la mal parata e si
è rifugiato in « un minuto di
sospensione». Poco dopo Sabatini si
è rialzato: «Credo che tutti
abbiamo bisogno ancora di riflettere
sul caso Lanusei e quindi è
necessario rinviare il voto». Forse
sta per essere raggiunto il giusto
compromesso, grazie anche alla
pressione del centrodestra, e fra
qualche giorno l'Ogliastra potrebbe
avere quello che rivendica.Ozieri
cresce ancora.
Dopo ave ottenuto il riconoscimento
del primo livello,
in accoppiata con Alghero, sarà nel
2018 appena verrà aperto il
reparto di rianimazione, Ozieri non
dovrà rinunciare neanche alla
radiologia interventistica
vascolare, è stata difeso da Mdp. Sempre su
Ozieri è stato deciso il messaggio
lanciato da Giorgio Oppi dell'Udc:
«Sul primo livello ai due ospedali
anche l'opposizione s'è battuta con
forza in commissione ed ecco perché
dico all'assessore: i tempi
burocratici per la Rianimazione
dovranno essere azzerati». Oggi doppia
seduta con all'ordine del giorno
Nuoro, Cagliari, il Sulcis e
Oristano.
Bruno
esce rafforzato dall'ennesimo strappo in aula. E le dimissioni
annunciate
potrebbero anche non essere necessarie
Comune,
la crisi si sposta in casa Pd
Tutto quello che il Pd chiede al suo
congresso è un segnale di unità.
Non si sa come si possa riuscire in
questo miracolo, ma di certo c'è
una sola persona che potrebbe
centrare il risultato. Mario Salis,
medico, stimato professionista,
segretario uscente, ha guidato il Pd
algherese dai suoi primi vagiti sino
alle urla e agli scontri di
queste ultime settimane. L'ha fatto
sempre con grande sobrietà, con
una incrollabile fiducia nel sistema
partito e nel progetto del
Partito democratico. Sono doti che
dalle parti di via Mazzini, ma
anche a Porta Terra e nelle altre
sedi più o meno pubbliche in cui si
radunano i democratici di varia
estrazione, gli riconoscono tutti.
Anche quelli degli altri partiti,
sia di centrosinistra che di
centrodestra. Sino a qualche giorno
fa sembrava che Mario Salis, dopo
due mandati, dovesse abdicare.
Ulteriori approfondimenti hanno
permesso di verificare che una sua
nuova elezione alla guida del Pd di
Alghero non avrebbe ostacoli
formali.
Se qualcuno ha voluto accertarsi
è proprio perché Sassari e Cagliari
vorrebbero che il Pd cittadino si
proiettasse molto oltre la crisi
della giunta Bruno e iniziasse a
ragionare del futuro. Ebbene, non
c'è un altro nome che possa fare
sintesi come il suo. Le sue ultime
dichiarazioni, prima della
convocazione del congresso, sono
state chiare. «Bruno ha fallito, ma
il Pd non ha nemici, dialoga con
tutti e il suo campo è il
centrosinistra». Ci siamo. (g.m.s.)
di Gian Mario SiaswALGHEROÈ come
se si fosse dimesso. Il suo ennesimo
annuncio ha avuto lo stesso
effetto: riproporlo al centro della
scena, concentrare il dibattito su
un dopo che non arriva mai e
trasferire in via Mazzini il confronto
sul futuro del centrosinistra in
città. Non si è dimesso e forse non
lo farà. Mario Bruno si gode
l'ennesimo scacco inflitto ai suoi
oppositori dalla finestra di
Facebook.
Ieri, già di buon mattino, si
perdeva il conto dei post pubblicati
per elogiare la sua
amministrazione. La
circonvallazione, la Sassari-Alghero, le scuole,
le strade, il verde, città della
cultura, città creativa, città di
questo e di quello. Come uno
scioglilingua, una specie di rosario,
recitato tutte le santissime mattine
dal pulpito virtuale della sua
bacheca social.Il suo è un modo per
ricordare a tutti che sarebbe un
peccato interrompersi a un terzo del
cammino: quaranta mesi già
trascorsi da quando è sindaco di
Alghero, altri venti ancora da
passare alla fine del mandato, che
evidentemente conta di portare a
termine. La speranza è ben riposta:
le prossime settimane, tra
congresso cittadino, rimpasto di
giunta e riassetto in maggioranza, lo
incoroneranno ancora guida del
centrosinistra di Alghero. E sarà un
centrosinistra a forte trazione
democratica.
Mario Bruno sembra uscire
più forte dalla complicatissima
crisi amministrativa che da giugno ha
asfissiato gli algheresi più che
appassionarli. È riuscito a farla
franca senza presentare le
dimissioni, da lui annunciate in luglio e
in agosto e pretese in settembre e
in ottobre dal capogruppo del Pd in
consiglio comunale, Mimmo Pirisi. Il
consigliere dem, che sta facendo
acrobazie per tenere uniti i due
mondi con cui vorrebbe mantenere
lealtà, non ci rimarrà male se anche
questa volta le dimissioni non
arriveranno: sa anche lui che
l'importante era quella dichiarazione,
utile ad aprire il dibattito
pre-congressuale. Altri segnali della
vittoria di Bruno: il Pd è sempre
più diviso. Dopo Raniero Selva e
Mimmo Pirisi, abbandonano
l'ortodossia anche Franco Santoro e Tonino
Alfonso. Dopo essersi presentato in
aula, tra il pubblico, a braccetto
con Luigi Lotto e Salvatore
Demontis, Santoro flirta spudoratamente
con i bruniani. Alfonso, dal canto
suo, si lancia in strali verso i
suoi compagni, dai quali prende
improvvisamente le distanze. A queste
condizioni, il congresso cittadino
del 21 ottobre sarà un regolamento
di conti. Con vincitori, e
sconfitti.
Dopo Luigi Lotto, nel novero dei
primi si iscrive anche Salvatore
Demontis. «La soluzione adottata ad
Alghero era l'unica possibile e
responsabile, si trattava di decidere
se provare a ricostruire il
centrosinistra oppure consegnare la città
al centrodestra, dopo nove mesi di
commissariamento», commenta il
consigliere regionale soriano, «il
centrosinistra non può prescindere
dalla presenza del Pd e il Pd non ha
altra strada se non quella del
centro sinistra». Tra i vinti non ci
sono autocandidature
Unione
Sarda
Sono
immigrati tre sardi su cento
Tre sardi su cento sono immigrati,
provengono soprattutto dalla
Romania, e in misura decisamente
minore da Senegal e Marocco, sono
costantemente in aumento e di solito
si stabiliscono nell'Isola
prendendo, in molti casi, la
cittadinanza italiana. Aumentano i
bambini, i richiedenti asilo o
protezione internazionale, crescono di
sette volte rispetto al 2011 gli
stranieri che diventano italiani a 18
anni, calano coloro che arrivano per
motivi di lavoro.
È l'Istat a fornire una fotografia
del fenomeno migratorio italiano e
di quello sardo. Un quadro dal quale
emergono differenze territoriali.
Se a livello nazionale i paesi più
rappresentati sono Marocco,
Albania, Cina, Ucraina e Filippine,
nell'Isola quasi trenta immigrati
su cento sono rumeni, poco meno di 9
sono senegalesi o marocchini,
quasi sette sono cinesi, seguiti dai
filippini e via elencando.
L'APPRODO NEL SASSARESE Dei 50.346
immigrati con regolare permesso di
soggiorno che risiedono stabilmente
in Sardegna (qui non si parla dei
5500 migranti ospiti dei centri di
accoglienza), 21.739 (il 43,2%)
hanno scelto di stabilirsi
nell'attuale provincia di Sassari,
soprattutto in Gallura, mentre
Cagliari ospita meno di trenta
stranieri su cento (14.242), solo
dieci su cento si insediano nel
Nuorese, nell'Oristanese si contano
3.140 stranieri (il 6,2%) mentre
nella provincia sud Sardegna
risiedono 5.841 immigrati (l'11,6%).
L'INTEGRAZIONE Come si integrano? Trattandosi
in prevalenza di persone
che provengono da paesi
economicamente più arretrati, hanno bisogno di
imparare la lingua, i costumi, le
leggi fondamentali, un mestiere. «Se
prima venivano spontaneamente perché
avevano fretta di integrarsi,
oggi non è così. L'integrazione
viene imposta dalle istituzioni e così
spesso quando arrivano da noi non
seguono le lezioni, chiacchierano,
disturbano», racconta Eugenia Maxia,
presidente dell'associazione
Alfabeto del mondo, 400 stranieri
assistiti. In dieci anni ha visto
cambiare tutto. «Sino a tre-quattro
anni fa venivano da noi dieci
minori in un an
no, oggi sono cento». Non a caso tra
i corsi che
organizzano sono aumentati quelli
per le mamme con figli: «Imparano
l'italiano, i fondamenti di
informatica mentre i bambini vengono
accuditi o, se sono in età scolare,
vengono supportati per potersi
inserire». In dieci anni sono
aumentate anche le nazionalità: «Avevamo
persone di 40 nazionalità diverse,
oggi sono 63».
IL FENOMENO Del resto l'integrazione
è un fenomeno complesso e va
governato come tale. Secondo Aide
Esu, docente di Sociologia al
dipartimento di Scienze sociali e
delle Istituzioni dell'università di
Cagliari, c'è molto da fare. «Nella
nostra regione assistiamo a
contrapposizioni sociali accentuate
da una condizione economica
critica, con una disoccupazione e
una povertà più diffuse di quanto si
percepisca. Per questo occorre
governare meglio il fenomeno
dell'immigrazione, ad iniziare da
una comunicazione con i cittadini da
parte delle istituzioni mirata anch
a rassicurarli. Oggi, invece, la
governance è fragile,
disorganizzata. Insomma, stiamo affrontando un
cambiamento epocale ma la nostra
società non è ancora pronta. Ormai
viviamo in una società aperta e
giocoforza dobbiamo confrontarci»,
aggiunge.
«CULTURE DINAMICHE» «Le culture non
sono più blocchi statici ma
dinamici che garantiscono un
arricchimento. A proposito di
comunicazione, dovremmo spiegare
meglio che molte delle popolazioni
che oggi vengono da noi sono quelle
a cui abbiamo sottratto risorse
nell'era dell'industrializzazione.
Governare il fenomeno», conclude
Aide Esu, «significa anche formare
adeguatamente i nostri studenti
perché imparino a gestire situazioni
nuove. Un medico, ad esempio,
deve sapere che il corpo di un
musulmano va trattato in modo diverso,
un mediatore culturale deve sapere
che se una donna non guarda
l'interlocutore negli occhi lo fa
per rispetto e non per la mancanza
di esso».
Fabio Manca
Tagli
alle entrate, primi spiragli Vertice Pigliaru-Boschi a Palazzo Chigi. Ma
opposizione e Pds attaccano: «Metodo sbagliato»
Aperta
col governo la trattativa per ridurre gli accantonamenti
A furia di bussare si è aperto
almeno uno spiraglio. Ci sono voluti
quattro incontri a Roma, ma
nell'ultimo - ieri - il governo per la
prima volta ha avviato una
trattativa sul taglio degli accantonamenti:
cioè i 684 milioni annui che la
Sardegna versa allo Stato (o meglio:
che lo Stato trattiene dalle nostre
entrate) come contributo al
risanamento del debito pubblico
nazionale.
Non c'è ragione di esultare, perché
l'esito del confronto è tutto da
vedere. Però quantomeno il
governatore Francesco Pigliaru e
l'assessore al Bilancio Raffaele
Paci non tornano da Palazzo Chigi con
l'ennesimo no. Al vertice c'erano la
sottosegretaria alla presidenza
del Consiglio Maria Elena Boschi e i
sottosegretari all'Economia e
agli Affari regionali, Pier Paolo
Baretta e Gianclaudio Bressa. E a
differenza degli incontri
precedenti, stavolta è emersa la
disponibilità a definire una somma
condivisa.
LE CIFRE Quale sarà, per ora non si
può prevedere. La Giunta chiede
«almeno un dimezzamento», ma in una
trattativa si deve trovare un
compromesso. E il calcolo dello
Stato parte non da 684 milioni ma da
842, per via del prelievo aggiuntivo
previsto, per il 2018, dalla
legge di stabilità dell'anno scorso:
subordinato però a un'intesa che
la Regione non ha dato. Il
dimezzamento di cui parlano Pigliaru e
Paci, comunque, è riferito agli
attuali 684 milioni.
Di sicuro «la cifra che paghiamo
adesso è decisamente sproporzionata -
ha detto il governatore - per una
Regione che ha un Pil come il nostro
e paga ancora le conseguenze di una
crisi economica devastante». Il
dossier preparato a suo tempo dalla
Giunta, e discusso già a marzo con
Bressa, dimostra che gli
accantonamenti imposti alla Sardegna pesano
fino al 2,13% del Pil: quasi quanto
il Trentino e ben più del Friuli,
malgrado le loro economie siano più
solide.
L'INTESA Tra le ragioni per cui il
sacrificio preteso dall'Isola è
ritenuto eccessivo c'è poi la
necessità, confermata dalla Corte
costituzionale, che il contributo
alla finanza pubblica abbia una
scadenza e derivi da un'intesa con
la Regione, non da un'imposizione.
La novità di ieri è appunto la
volontà del governo di definire
un'intesa pluriennale sulla cifra.
Se verrà trovata, la Sardegna non
potrà subire ogni anno ulteriori
stangate dalla legge di stabilità
nazionale. «Vogliamo regole chiare,
certe ed eque», ha precisato
Pigliaru. «È il metodo già seguito da
Trento e Bolzano», ha aggiunto Paci,
«che si è dimostrato solido
rispetto ai contenziosi. Poi
dev'essere chiaro che il contributo non
dev'essere per sempre. È positivo
che dalla prossima settimana si
entri in una fase molto operativa».
Ci si rivedrà infatti mercoledì 18
al ministero degli Affari
regionali, con Bressa e Baretta: la
Giunta si aspetta di ricevere in
quell'occasione la controproposta
del governo, e allora si capirà se
ci sono i margini perché la
trattativa abbia successo.
REAZIONI «Prima di firmare qualsiasi
accordo lo sottoporremo alla
valutazione del Consiglio regionale»,
ha assicurato Pigliaru
all'uscita da Palazzo Chigi. Questo
però non ha tranquillizzato il
capogruppo del Partito dei sardi
Gianfranco Congiu: «Il confronto è
improntato sull'ennesima
insopportabile rivendicazione, e parte senza
una preventiva condivisione in
maggioranza», ha dichiarato,
annunciando di aver chiesto
un'audizione urgente del governatore. Al
Pds sta a cuore la difesa
dell'Agenzia sarda delle entrate dal ricorso
del governo, che si discuterà il 24
ottobre e su cui «pare invece
calata una coltre di silenzio».
Anche l'opposizione attacca:
«Vertice fasullo e inconcludente», dice
il leader di Forza Italia Ugo
Cappellacci, «ci hanno sottratto più di
3 miliardi e Pigliaru chiede
timidamente una riduzione di 300 milioni?
Smetta di fare da palo al governo
mentre vengono scippati i soldi dei
sardi». Per il capogruppo consiliare
dei Riformatori, Attilio Dedoni,
«preoccupa la debolezza della
posizione della Giunta», che aveva
«accolto trionfalmente l'accordo
sulle entrate del 2014» salvo poi
contestare gli accantonamenti:
Palazzo Chigi non considererà credibile
«un interlocutore che prima firma
gli accordi e poi chiede di
rimetterli in discussione, perché
solo dopo anni si è accorto che non
erano vantaggiosi».
Giuseppe Meloni
Asse
bipartisan sull'insularità
L'iniziativa
dei Riformatori piace a Pd e Forza Italia. In campo anche
intellettuali
e giuristi
Referendum
consultivo: «Abbiamo già raccolto 15mila firme»
Il referendum è solo consultivo,
quindi più sono le firme raccolte
maggiore sarà il peso della
consultazione. E per la richiesta di
inserimento del principio di
insularità in Costituzione, il Comitato
promotore ha già raggiunto quota
diciottomila in appena venti giorni,
mentre diecimila sono quelle
sufficienti per indire un referendum
consultivo in Sardegna.
LA CAMPAGNA «L'obiettivo è arrivare
a centomila entro l'anno, in
questo modo il peso di tutta
l'operazione aumenta in modo
esponenziale», ha spiegato il
presidente del Comitato promotore,
Roberto Frongia (Riformatori), che
ieri, per annunciare quella che ha
chiamato «fine della prima fase
della campagna referendaria», ha
riunito tutti i componenti del
Comitato promotore, dai Riformatori che
hanno lanciato la battaglia, ai
consiglieri regionali di Forza Italia,
del Pd, personalità del mondo della
cultura e del diritto,
ambientalisti. «Abbiamo raggiunto e
superato l'obiettivo minimo, che
ci consente di dire che i sardi
voteranno nella prossima primavera -
ha detto - Ora vogliamo che il
progetto sfondi in tutta l'Isola, e
diventi realmente una battaglia di
tutti, nella quale non ci sia alcun
copyright, una battaglia intorno
alla quale si uniscano tutti i sardi.
L'obiettivo è così importante e
centrale per la nostra isola che non
ci possono essere primogeniture, né
gelosie, né diserzioni».
ASSE BIPARTISAN Roberto Deriu (Pd),
ha parlato di un «obiettivo che
potremmo definire in controtendenza,
giacché nasce non per dividere me
per unire, e si muove sul piano
costituzionale, com'è corretto che
sia». In ogni caso, «con questa
iniziativa riprende vigore
l'iniziativa riformatrice». Sempre
sul fronte Pd, Franco Sabatini ha
posto l'accento sul fatto che «sono
temi che per loro natura sono
trasversali, ed è significativo che
ci siano consiglieri regionali di
diverse parti politiche. Accanto ad
essa tuttavia è necessario mettere
in campo una forte azione politica
rivolta all'Europa». Pietro
Pittalis (Fi) ha ringraziato i
Riformatori per “la lungimiranza” e ha
ricordato che «i referendum lombardo
e veneto di ottobre ci impongono
di batterci per riaffermare la nostra
specialità», ma ha anche
ricordato «la battaglia fatta nel
Parlamento europeo dal nostro
Salvatore Cicu, che ha portato ad
una importante risoluzione del
parlamento europeo».
«BATTAGLIA COMUNE» Tra gli altri
consiglieri presenti, Alessandra
Zedda (Fi) ha aggiunto che
«l'affermazione del principio di insularità
all'interno della Costituzione ci
consentirà una revisione totale sia
del concetto di aiuto di Stato, che
di concorrenza», mentre per
Giuseppe Fasolino (FI) «si tratta di
una battaglia comune per la
nostra terra, ma non dimentichiamo
che è solo un punto di partenza».
Una battaglia sposata anche da
intellettuali, storici, giuristi e
ambientalisti. Per Enrico Altieri,
già presidente della Sezione
tributaria in Corte di cassazione,
il referendum «apre la strada a una
serie di opportunità sinora negate,
soprattutto sul piano della
fiscalità di vantaggio».
SIGNIFICATO COSTITUZIONALE Vanni
Lobrano, docente di Diritto romano,
ha definito l'iniziativa di
«grandissimo significato costituzionale».
Per Maria Antonietta Mongiu, già
presidente del Fai, «lavoriamo perché
la maggior parte della popolazione
sia con noi. Se riusciremo, la
battaglia sarà vinta». Stefano
Altea, avvocato ed esperto di diritto
europeo ha spiegato che «la
costituzionalizzazione del principio di
insularità sia una questione di
particolare interesse per la Sardegna
per due motivi. Il primo risiede
nella necessità di affermare le pari
opportunità, il secondo riguarda la
questione fondamentale per
riaffermare la specialità della
nostra Regione in ambito nazionale».
Ha tratto le conclusioni a
presidente dell'ordine avvocati di
Cagliari, Rita Dedola: «Il traguardo
di firme raggiunto conferma che
avevamo visto lungo e giusto: in
Sardegna è indispensabile una svolta
culturale che individui un nuovo percorso
di sviluppo, che unisca
tutti i sardi, dando diritti di
cittadinanza pari agli altri
italiani».
Roberto Murgia
Ospedali,
l'intesa salta ancora
Slitta
anche la decisione sull'accorpamento tra il Brotzu e il
Policlinico
universitario
Troppe
tensioni in maggioranza: rinviato il voto su Lanusei
La maggioranza preferisce aggirare
l'ostacolo e rimanda gli argomenti
più scottanti. La seduta di ieri del
Consiglio regionale ha confermato
che nel centrosinistra su alcune
voci della rete ospedaliera non è
possibile trovare un accordo. Tanti,
troppi i malumori per rischiare
la conta e costringere la Giunta a
una sconfitta in aula: e così la
discussione sul futuro dell'ospedale
di Lanusei e sull'ipotesi di un
percorso per unire l'azienda Brotzu
e il Policlinico universitario
viene rinviata. Dunque la soluzione
meno indolore è far slittare il
confronto e procedere nella
discussione, che si arena ancora sugli
ospedali di Alghero-Ozieri e sul San
Francesco di Nuoro.
TENSIONI È il consigliere regionale
del Pd, Franco Sabatini, a
resistere per ottenere la
classificazione di primo livello per
l'ospedale di Lanusei. Una posizione
mantenuta sino all'ultimo, che
evidenzia i timori della maggioranza
costretta a trovare un paracadute
con il rinvio al momento in cui si
voterà definitivamente la riforma.
«Non sto facendo un atto di
arroganza», dice Sabatini, «troppo spesso
la Regione si è dimenticata dei
territori marginali della Sardegna e
l'Ogliastra è uno di questi». Il
consigliere dem ribadisce che la sua
richiesta «non punta a nulla di
particolare, ma chiede soltanto il
diritto alla salute che è stato
negato a questi territori».
Vista la determinazione di Sabatini
la maggioranza preferisce non
arrivare alla conta e si accorda per
un rinvio. Sulla questione
Lanusei si sofferma il consigliere
del Partito dei sardi, Augusto
Cherchi: «Sono stati conservati i
servizi da primo livello, anche se
non ne avrebbe le prerogative e i
requisiti minimi. Non facciamo
battaglie sulle etichette ma sui
servizi».
L'ASSESSORE Il titolare della
Sanità, Luigi Arru, percepisce il
momento di tensione nella sua
maggioranza e interviene per rispondere
direttamente a Sabatini. «Capisco il
suo disagio, ma il mio impegno
per le zone interne è forte».
Concetti più volte ripetuti durante il
dibattito di ieri sera ma che non
riescono a tranquillizzare gli
animi. Arru continua nella sua
strada per «trovare l'equilibrio tra le
cure sul territorio e le
specializzazioni che impongono scelte precise
sulla loro allocazione».
L'AFFONDO Arrivano ancora dagli
scranni di Campo progressista le
frecciate sulla riforma. Un
emendamento presentato da Francesco Agus
crea subbuglio in aula. La richiesta
mira a eliminare la possibilità
di affrontare un percorso per
verificare la fattibilità di unire il
Brotzu al Policlinico universitario.
«Su un tema così importante non
sono possibili posizioni ambigue»,
dice Agus, «il testo approvato
dalla commissione apre la strada al
passaggio di tutta la sanità della
Città metropolitana all'Azienda
ospedaliero-universitaria.
Un'eventualità da scongiurare».
CLASSIFICAZIONE Durante il dibattito
si riprende il discorso sugli
ospedali di Alghero e Ozieri e sulla
classificazione di primo livello.
A sollevare il problema è il leader
dell'Udc Giorgio Oppi, che chiede
«un riferimento preciso alla data in
cui questo diventerà presidio di
primo livello». Rimane ancora uno
strascico di polemica sul futuro
dell'ospedale San Francesco di Nuoro
e la mancata classificazione di
secondo livello.
L'INVITO Il centrodestra cavalca le
incertezze della maggioranza e
chiede a più riprese di sospendere
la discussione della riforma per
evitare forzature. Per la
maggioranza sarebbe un'ammissione di
debolezza. Il capogruppo di Forza
Italia, Pietro Pittalis, è convinto
che «la riforma sarà il suggello del
fallimento delle politiche di
questa Giunta». Poi un avviso ai
colleghi del Consiglio: «Non si può
permettere di approvare in maniera
affrettata provvedimenti delicati.
Fermiamoci e prendiamo qualche
giorno in più per riflettere e non
mortificare i territori».
Sulla stessa linea anche il
capogruppo dei Riformatori, Attilio
Dedoni, che parla di «riforma
sbagliata nella forma e nei tempi».
Infatti per Dedoni «sarebbe servita
la rete delle cure territoriali,
poi l'attivazione dell'elisoccorso e
infine la rete ospedaliera».
Matteo Sau
Nuoro
Pd
provinciale, Maria Sedda verso la segreteria
Maria Sedda, già sindaca di Ottana,
è la candidata unica alla
segreteria provinciale del Partito
democratico.
Lunedì scorso è stata formalizzata
la sua candidatura dopo un accordo
tra le varie anime del Pd nuorese
che si preparano all'appuntamento
congressuale.
La scadenza della presentazione
delle candidature era prevista nella
giornata di sabato. Ma è stata
concessa una proroga che si è rivelata
utile per raggiungere l'intesa.
Infatti, al termine di una lunga
trattativa il Partito democratico ha
optato per la lista unitaria guidata
da Maria Sedda. Originaria di
Gavoi, un'esperienza come sindaca a
Ottana e successivamente come
assessore provinciale, rappresenta
una scelta di equilibrio in una
fase particolarmente delicata del
partito.
Prenderebbe il posto di un'altra
donna, Daniela Forma, consigliere
regionale e segretaria provinciale
uscente del Pd nuorese. ( f. le. )
ALGHERO.
Il mondo dell'impresa e dei comitati commenta la situazione politica
La crisi
al buio che fa paura in attesa dei piani urbanistici
Il Piano di valorizzazione della
bonifica, a un passo dall'adozione.
Il Puc che la città aspetta da
decenni e tutti gli altri strumenti
urbanistici indispensabili per
cittadini e impresa. Il sindaco Mario
Bruno si appresta ad azzerare
l'esecutivo e a nominare nuovi assessori
per ridare slancio alla squadra in
crisi e, soprattutto, per trovare
nuovi alleati. Ma dai comitati di
borgata e dalle associazioni di
categoria arrivano segnali di forte
preoccupazione per queste
dimissioni al buio, che dovrebbero
avvenire al termine della riunione
di giunta di venerdì.
L'ATTESA DEL PUC «La situazione di
instabilità politica non aiuta a
risolvere alcune tematiche di
assoluto rilievo per le imprese del
settore turistico», avverte Stefano
Visconti, presidente provinciale
di Federalberghi. Una su tutte il
Puc, «che non avanza e che
garantirebbe sviluppo per l'economia
territoriale, oltre alle
politiche da mettere in campo per il
consolidamento e l'espansione del
prodotto turistico, che va promosso,
aggregato, diversificato. Una
amministrazione stabile - continua
Visconti - consentirebbe quella
continuità di relazioni e dialogo
necessaria al conseguimento di
questi importanti obiettivi». Il
comitato di Maristella, per voce di
Tonina Desogos, non si strapperà i
capelli per le dimissioni del
sindaco, anche perché «il mandato
amministrativo, finora, per quanto
riguarda la nostra borgata - spiega
Desogos - non ha avuto alcuna
ricaduta degna di nota».
LE IMPRESE Il Puc e i grandi temi
della città stanno a cuore anche al
presidente di Confcommercio, Massimo
Cadeddu, il quale però ci tiene a
sottolineare l'importanza di portare
avanti la quotidianità, la
questione dei suoli pubblici e
dell'igiene urbana. «Speriamo che non
si finisca per trascurare gli atti
di ordinaria amministrazione. A
prescindere dal risultato o
dall'esito di questa crisi, mi auguro che
tutto si risolva in fretta e che non
si perda ulteriore tempo per mere
questioni politiche».
In allarme anche il consigliere
regionale Marco
Tedde secondo cui Mario Bruno,
stringendo il sodalizio con il Pd,
«diventa partecipe delle scelte
nefaste del Partito democratico in
materia di città metropolitana,
sanità, chimica verde e trasporti».
Mario Piras, presidente provinciale
di Confartigianato, pensa al Puc,
ma anche agli incentivi che questa
giunta aveva promesso all'impresa.
«Avevamo chiesto un abbattimento dei
costi sul suolo pubblico per
piccoli lavori di ristrutturazione -
racconta - e non ci hanno nemmeno
risposto. Stanno pensando a litigare
fra di loro, ma a noi e al mondo
dell'impresa, la politica non
interessa».
Caterina Fiori
-----------------
Federico
Marini
skype:
federico1970ca
Nessun commento:
Posta un commento