Sanità,
scontro M5S-Giunta Attacco su sensori ai diabetici, punti nascita e laboratoriPuddu:
abolirò i vitalizi. Lapia: non danno risposte. Arru: sì a un incontro pubblico
«Come si può arrivare al punto che i
malati sardi debbano pensare di andare oltre Tirreno per avere quello che gli
spetta di diritto? Il fatto è che questa Giunta sta mancando nelle cose
essenziali, nelle risposte che riguardano la salute dei cittadini. Dalla
scomparsa dei punti nascita all'ultimo “caso”, quello dei sensori per i
diabetici: la Sanità in Sardegna non funziona». L'attacco è di Mario Puddu, candidato
governatore del M5S, le critiche vanno avanti da tempo (ad esempio, sull'elisoccorso,
da parte di Emanuela Corda) e continueranno fino alle elezioni, mentre sui
social si surriscalda la polemica tra la deputata Mara Lapia e l'assessore
Luigi Arru, tanto da arrivare alla proposta di una sfida pubblica.
I DIRITTI «Il primo diritto da
garantire ai cittadini è quello alla salute e all'accesso alle cure. Questo
diritto in Sardegna è puntualmente disatteso. I tagli indiscriminati che stanno
facendo scomparire i punti nascita e i laboratori per le analisi da tante zone della
Sardegna sono solo alcuni esempi», sottolinea Puddu. «L'ultimo scandalo è
quello della sospensione della fornitura dei sensori sottocutanei essenziali
per garantire una qualità della vita dignitosa ai diabetici sardi. Sono
ottantamila nell'Isola quelli che si rivolgono al servizio sanitario nazionale.
Molti diabetici stanno addirittura pensando di trasferirsi in altre regioni pur
di avere un'assistenza adeguata».
L'ATS L'allarme era già stato
lanciato nei giorni scorsi dal consigliere regionale di Forza Italia Edoardo Tocco
e l'Ats - l'Azienda tutela della salute - ha risposto con una nota che spiega che
«sono in corso le procedure di acquisto dei dispositivi e, nel comprendere
l'importanza di tale dispositivo, ha tra le sue priorità la garanzia
dell'acquisizione nel più breve tempo possibile, compatibilmente con i tempi
richiesti dalle procedure che regolano gli acquisti nelle pubbliche
amministrazioni».
I RISPARMI Puddu aggiunge:
«L'amministrazione di centrosinistra guidata da Francesco Pigliaru ha
accentrato i servizi creando una Asl unica, per poi lasciare i territori
scoperti anche dei servizi più elementari. La politica dei tagli indiscriminati
non funziona. Se avessero voluto davvero risparmiare soldi avrebbero dovuto
tagliare i privilegi dei consiglieri regionali e soprattutto i vitalizi degli
ex consiglieri per i quali spendiamo circa 18 milioni di euro all'anno. La
prima cosa che farò se sarò eletto presidente della Regione sarà l'abolizione
dei vitalizi degli ex consiglieri. I soldi risparmiati li useremo per garantire
ai cittadini i loro diritti, a partire da quello alla salute».
BOTTA E RISPOSTA Mara Lapia,
deputata pentastellata e componente della commissione Sanità, scrive: «Di
quanto tempo avrà ancora bisogno il nostro assessore Arru per dare il colpo di
grazia alla Sanità sarda? Non c'è un ospedale che non abbia distrutto, una
categoria che non abbia danneggiato. Credo che in nessuna Regione sia mai
avvenuto ciò che lui e Moirano sono riusciti a fare in Sardegna, la ricostruzione
sarà molto faticosa e difficile». Risponde Arru su Twitter: «Lanciare allarmi
generici è qualunquismo; parlamentare, che prende tre volte il mio stipendio,
deve essere documentato e preciso; attendo con Moirano risposta per dibattito pubblico,
streaming, televisione; eviti di andare sul personale».
IL CONFRONTO Ed ecco la controreplica
di Lapia: «L'assessore continua a non rispondere nel merito, anche quando le
mie istanze pervengono per posta elettronica certificata direttamente al suo
assessorato. Sono ancora in attesa di risposta alla mia missiva riguardante la disastrosa
situazione del pronto soccorso di Nuoro; a quella sulla chiusura della camera
iperbarica della Maddalena; a quella sul reparto Ustioni e Chirurgia plastica
del Brotzu. Capisco che Twitter sia meno impegnativo di una risposta su carta
intestata, ma credo che con lo staff che ha a disposizione (almeno il triplo
del mio), non dovrebbe incontrare grandi difficoltà a farlo».
Ancora: «Incontriamoci pure davanti
alle telecamere, ma nei reparti ospedalieri, davanti a pazienti, medici e
operatori sanitari. Magari proprio in quelle strutture più sofferenti a causa
delle sue scelte, come il San Francesco di Nuoro, Isili, Sorgono, La Maddalena
o Lanusei».
Cristina Cossu
Unione
Sarda
Cani:
«Pd, ti riporto in via Emilia»
Da via Roma a via Emilia. Dalla sede
vista mare, affacciata sul porto
di Cagliari, a quella, storica, nel
quartiere popolare di San Michele.
C'è più di una mera esigenza
logistica, nell'idea di Emanuele Cani di
riportare il Pd sardo nei locali che
gli erano familiari. Non ci vuole
molta fantasia per leggere, nel
desiderio rivelato dal neo segretario,
il gesto simbolico di un partito che
non vuole più essere quello che
dimentica le periferie.
Il contatto con la gente,
l'attenzione ai problemi quotidiani delle
persone (e non solo alle riforme
epocali): è su questo che dovrà
lavorare il Pd targato Cani, prima
ancora di pensare alle alleanze per
le elezioni del 2019. Ed è di questo
che il segretario parlerà oggi
pomeriggio a Oristano, nella
direzione regionale. «La nostra prima
esigenza - riflette Cani alla
vigilia - è valorizzare le grandi
risorse del Pd: donne, uomini,
valori. Si tratta di trovare lo
strumento giusto».
Lei che cosa proporrà?
«Una grande discussione che
coinvolga non solo i nostri iscritti, ma i
simpatizzanti, il mondo del lavoro,
della scuola, quello produttivo,
l'associazionismo».
L'iniziativa ha già un nome?
«Possiamo chiamarla conferenza
programmatica. Ciò che conta è che ci
aiuti ad aprirci all'esterno, a dare
a tutto il mondo che ci gravita
attorno la possibilità di esprimere
un'idea di Paese e di Sardegna.
Useremo anche la rete e i social
media, ma io voglio anzitutto
l'incontro reale tra le persone».
Come si svilupperà il lavoro?
«Direi con un impegno immediato dei
nostri forum tematici, che getti
le basi di un dibattito aperto a
tutti. Poi la sintesi sui vari
macrotemi verrebbe tratta in un
evento finale di portata regionale».
In quale periodo lo immagina?
«Attorno a metà ottobre».
Quali temi ritiene che saranno al
centro della discussione?
«Sul lavoro il Pd deve dare qualcosa
di più. Poi l'insularità, i
trasporti. Ma anche le
infrastrutture: ora il M5S contesta il
metanodotto, noi lo difendiamo».
Sarà un modo per recuperare quel
contatto con la gente che il Pd aveva perso?
«Guardi, quella sugli errori del
nostro partito è un'analisi
complessa. Ci sono cose inspiegabili:
penso al mio territorio, il
Sulcis, dove dopo anni di impegno
siamo riusciti a far riaprire
l'Alcoa, eppure non è servito a
farci votare».
Quindi avete fatto tutto bene?
«Assolutamente no. Secondo me
abbiamo restituito, dopo cinque anni di
governo, un Paese migliore di prima;
ma non abbiamo conservato il
contatto quotidiano con le persone».
Un problema di comunicazione?
«No, anche di politiche attuate.
Abbiamo varato riforme di ampio
respiro, però oltre che sui grandi
temi avremmo dovuto lavorare di più
sui bisogni quotidiani della gente.
È di questo che dobbiamo tornare a
discutere».
Si è detto che il Pd ha dimenticato
le periferie ed è ormai il partito
delle Ztl, dei ceti agiati. È così?
«Gli elettori hanno sempre ragione:
sta a noi capire perché non ci
hanno votato. Penso che
l'allontanamento dalle periferie sia una delle
ragioni».
È vero che intende riportare la sede
regionale del Pd in via Emilia?
C'entra con questo ragionamento?
«È vero che mi piacerebbe tornare
lì. La sede di via Roma è molto
bella, ma poco “da Pd”. Non la vedo
come sede di un partito di massa.
È più facile scordare le periferie
se non ci stai dentro».
In Sardegna hanno pesato anche le
continue liti interne?
«Litigare fa sempre male. Perciò
voglio lavorare alla pacificazione.
Non solo nel Pd: una delle cose
peggiori dell'attuale governo è che
stuzzica la rabbia popolare».
Come si fa a superare la litigiosità
endemica del Pd sardo?
«Il nostro collante dev'essere la
consapevolezza di vivere un momento
di vera emergenza. Il governo
Lega-M5S sta determinando una situazione
ancora più grave del previsto.
Anzitutto sul piano culturale. Gli
avversari sono quelli, da parte
nostra deve prevalere la
responsabilità».
Lo dirà anche a Renato Soru, che ha
contestato la sua elezione come
segretario regionale?
«Ho molta fiducia nella possibilità
di collaborare con Renato. È una
risorsa importante del Pd e so che
percepisce la gravità del momento,
ha un forte senso della comunità».
Diceva che è una fase di emergenza.
Che cosa intende?
«Nel 2019, oltre alle Regionali, ci
saranno le Europee in cui gli
italiani dovranno decidere se stare
con Le Pen, Orban, Salvini, o con
l'Europa che unisce e non divide.
Anche per questo vogliamo proporre,
anzitutto in Sardegna, una
coalizione ampia, che guardi anche oltre i
confini tradizionali».
Ampia quanto?
«Non è certo utile una semplice
sommatoria di sigle, serve un progetto
vero per la Sardegna. Il punto
decisivo sono le cose da fare. Però la
polarizzazione creata da Lega e
Cinquestelle porta a una riflessione
sul campo alternativo. Dovremo
essere disponibili a ragionare con
tutte le persone di buona volontà,
che non apprezzano la deriva
gialloverde e hanno a cuore le sorti
del Paese e della Sardegna. Penso
alle energie dei sindaci, al mondo
del civismo».
Secondo lei il Pd potrebbe dialogare
anche con Forza Italia?
«Questo mi sembra francamente
troppo. Dobbiamo rivolgerci agli
elettori che non si identificano con
M5S e Lega, ma un patto
elettorale con FI non me lo
immagino».
E con Udc, Riformatori, Psd'Az?
«Col Psd'Az lo escludo, mi sembra
che resti sulla deriva dell'accordo
con la Lega. Con i centristi può
essere diverso, abbiamo già alcune
esperienze di governo locale. Ma più
che dalle formule si deve partire
dal progetto, dalle idee».
Quali sono, a suo giudizio, le idee
forti da cui partire?
«L'insularità è un tema che può
unire molte energie. E poi un diverso
rapporto con lo Stato. Io per
esempio condivido molte battaglie del
Partito dei sardi».
Ma il segretario Maninchedda dice
che non aspetta più il Pd.
«Il dialogo è sempre aperto, penso
sia interesse anche del Pds. Siamo
disponibili a sentire le loro
proposte. Parliamo di programmi
concreti, le formule verranno dopo».
Difenderete l'azione della Giunta
Pigliaru? Come la valuta?
«Ha fatto tante cose positive. Come
coalizione, su alcuni punti
avremmo potuto fare meglio».
Qual è stato il risultato migliore e
quale la carenza più evidente?
«Apprezzo molto le misure
sull'assistenza ai più deboli,
l'introduzione del Reis, il piano
Lavoras. Invece si sarebbe dovuto
valutare meglio l'impatto di alcune
grandi riforme, specie quella
sanitaria. Più dell'impianto in sé,
l'applicabilità immediata di
alcune novità».
Ma lei ricandiderebbe Pigliaru, se
lui fosse disponibile?
«È il presidente uscente e fino a
prova contraria è in campo anche
lui. Ma è presto per parlare di
candidati. Ripeto: prima il progetto,
poi la coalizione, poi il leader».
Quindi non avete già deciso di
puntare su Massimo Zedda?
«No. Per fortuna ci sono molti che
potrebbero guidare l'alleanza».
Stimolerà comunque un grande
rinnovamento nelle liste?
«C'è spazio per tutti. Serviranno
molti volti nuovi, ma culturalmente
non sono per la rottamazione.
Valuteremo con ragionevolezza».
Le piace la candidatura di
Zingaretti per la segreteria nazionale?
«Il congresso è lontano, avremo
tempo per scegliere il leader più
adeguato: però di Zingaretti
apprezzo che sia un amministratore
abituato a stare sul campo, a vivere
i problemi quotidiani. Non
sarebbe male un Pd più pratico».
Intanto il segretario Martina
convoca il Pd in piazza a Roma per il 29
settembre. Lei ci sarà?
«Certamente. È la strada giusta per
ripartire. È il Pd che mi piace».
Sinistra
Italiana
«Sì alle
alleanze ma stop a Pigliaru»
Liberi e Uguali è un soggetto da
costruire partendo dal territorio,
esattamente come un cartello delle
sinistre che alle prossime
regionali contribuisca a formare una
coalizione che sfidi centrodestra
e M5S. A una condizione: che marchi
la propria discontinuità da quanto
ha fatto la Giunta nella legislatura
regionale che si concluderà fra
qualche mese.
Lo comunica Sinistra Italiana, la
cui assemblea regionale, sabato a
Ghilarza, dato mandato a un gruppo
di cinque dirigenti di «prendere
gli opportuni contatti con le altre
forze politiche regionali per
verificare eventuali convergenze
programmatiche per individuare una
piattaforma da presentare agli
elettori sardi».
Zingaretti
chiude al M5S e punta sul “campo largo”
Il
candidato leader fa il pieno di applausi davanti a Gentiloni alla
convention
di Areadem
L'applauso più lungo, a Cortona, se
l'è preso Nicola Zingaretti. Quasi
un minuto, persino una manciata di
secondi in più di Paolo Gentiloni.
Quasi un'investitura per il
candidato segretario dalla platea di
Areadem, la corrente dell'ex
ministro dei Beni culturali, tornata a
riunirsi per tre giorni.
Franceschini non ha sciolto le riserve, ma
alla domanda di Zingaretti «Ce la
possiamo fare?» ha risposto con un
«Sì, Nicola, io penso che ce la
possiamo fare».
In un pranzo a tre, sabato, ne
avranno parlato anche con il segretario
Maurizio Martina, per capire se
intenda provare a succedere a se
stesso o appoggiare Zingaretti in
zona Cesarini.
All'orizzonte, un congresso che
tutti chiedono si tenga subito.
Franceschini fa pressing sul
segretario: deve finire in tempo per
preparare le Europee. E non deve
essere un congresso lampo: «Siamo
stati abituati a una convenzione di
poche ore per eleggere un capo e
non per scegliere un leader, ma la
convenzione può durare anche una
settimana, può essere un grande
luogo di riflessione, in cui i
candidati oltre a tenere un discorso
si ascoltano».
In questa fucina di idee,
Franceschini vede bene la rinascita delle
correnti «che noi chiamiamo aree e
non sono il male, ma il sintomo del
pluralismo di un grande partito». Se
Zingaretti accenna alla necessità
di un “cantiere” sulla forma
partito, Franceschini prova a riempirlo
di contenuti. «Il nostro campo va
organizzato come una coalizione o
come un unico partito? Se il Pd è
eterogeneo, perché non allargare? Se
io sono nello stesso partito con
Calenda perché non con Beatrice
Lorenzin, se sono nello stesso
partito con Damiano perché non con
Errani?».
Stesso discorso per le Europee,
un'idea lanciata da Laura Boldrini
(LeU). Per questo piace anche a
Franceschini la manifestazione indetta
da Martina per il 29 settembre, ma
sia estesa a tutti: corpi
intermedi, associazioni e quanti si
oppongono a questo governo.
Il Pd torni in prima linea «in
piazza e sul Web» e basta liti tra le
due fazioni, rilancia Zingaretti,
riprendendo il monito di Veltroni.
Netto il no all'alleanza col M5S.
Per Carlo Calenda si tratta di un
«primo importante segnale di unità».
Idem sul nome del partito:
Zingaretti si dice d'accordo con
Gentiloni, «lungi da me porre un
problema sul nome, io mi candido a
segretario del Pd?». Sottinteso:
non di un altro soggetto politico.
La
Nuova
Donne in
politica sempre in minoranza ma il trend è positiv0
Nei
comuni dell'isola e in Regione comandano gli uomini
Busia:
«Stiamo aumentando ma serve ancora tempo»
di Claudio Zoccheddu
SASSARI
Dopo un'occhiata superficiale e un
rapido conteggio potrebbe sembrare
che non sia cambiato nulla e che, ad
esempio, la doppia preferenza di
genere non abbia raggiunto
l'obiettivo. Le donne in politica erano
poche e sono rimaste poche, a volte
pochissime. In Consiglio regionale
siedono appena 4 donne su sessanta
posti disponibili. Ma la politica,
quella vera, ha la programmazione
tra le sue fondamenta e per quanto
riguarda la questione delle
"quote rosa" sembra che, almeno per una
volta, sia giusto osservare la
faccenda in prospettiva.
La conferma
arriva da Anna Maria Busia, una
delle quattro consigliere regionali
attualmente in carica ma soprattutto
la prima a portare in aula la
proposta di legge per la doppia
preferenza di genere: «Una classe
dirigente non si forma dall'oggi al
domani. Credo che il numero, oltre
a essere già aumentato, sia
destinato a crescere con il passare degli
anni».I consigli comunali.
Ragionando sui numeri, però, appare ancora
evidente il divario tra uomini e
donne, i primi molto più presenti
delle seconde, più del doppio in tutte
le maggiori città dell'isola.
Ad Alghero, iniziando in ordine
alfabetico, siedono tra i banchi del
consiglio comunale 17 uomini e 8
donne.
La giunta della città è molto
più omogenea dato che, contando il
sindaco Mario Bruno, ci sono 4
uomini e 3 donne. A Cagliari la
sproporzione e addirittura più
evidente perché i 35 scranni del
consiglio comunale sono occupati da
26 uomini e 9 donne. Anche in questo
caso, la giunta si avvicina
invece al pareggio tra i generi:
comprendendo il sindaco Massimo Zedda
si arriva a 6 uomini e 4 donne.
Nuoro ha gli stessi numeri di Alghero
tra i banchi del consiglio comunale:
17 uomini e 8 donne. Ma nella
giunta guidata da Andrea Soddu ci
sono 5 uomini e solo 2 donne.
In consiglio comunale a Olbia
siedono 20 uomini e 9 donne mentre la
giunta guidata da Settimo Nizzi
conta 6 uomini e 3 donne. A Oristano
gli uomini in consiglio comunale
sono 18 mentre le donne sono 8. Nella
giunta nominata dal sindaco Andrea
Lutzu ci sono invece 5 uomini e 3
donne. Sassari quasi ricalca i
numeri e le proporzioni di Cagliari: 24
uomini e 9 donne in consiglio
comunale e 6 uomini e 4 donne nella
giunta guidata dal sindaco Nicola
Sanna.
I sindaci delle 6 città
considerate, infine, sono tutti
uomini e chiudono il set della parità
di genere con un nettissimo 6-0. Le
prospettive. Prima di dire che la
fatica fatta durante gli ultimi
anni, da quando nel 2015 è arrivata in
consiglio regionale la proposta
sulla doppia preferenza di genere (poi
diventata legge due anni dopo), non
è servita a nulla è necessario
leggere tra le righe, immaginare il
futuro ma soprattutto conoscere il
passato: «Le quote rosa sono nate
nei paesi del nord Europa negli anni
'70 - spiega Anna Maria Busia - ma
prima che arrivassero risultati
concreti è stato necessario
attendere diversi anni.
Non è pensabile
che una misura di questo tipo possa
avere ripercussioni immediate, c'è
bisogno di tempo perché la nuova
classe dirigente muova i primi
passi». Anche se, secondo la
consigliera regionale del Centro
democratico, i primi piccoli segnali
sarebbero già arrivati: «Sono
ottimista anche per questo motivo,
seppure di poco il numero delle
donne in politica è aumentato ed è
una tendenza destinata a crescere -
conclude Anna Maria Busia -. E per
questo motivo che sono convinta che
non servano nuovi strumenti
normativi per ottenere una maggiore
partecipazione delle donne alla vita
politica. Serve solo un po' di
pazienza».
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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