Gli
anti-euro crescono ma non sfondano. Socialdemocratici giù al 28,3%. Il governo
è un rebus Svezia, la destra populista al 17,7% di Mattia Bernardo Bagnoli
Non raggiunge le aspettative
trionfali della vigilia, ma la destra radicale compie un consistente balzo in
avanti in Svezia. Quando è stato scrutinato oltre l'85% dei voti, il partito
anti-immigrati degli Svedesi Democratici raggiunge il 17,7% (+4,7% rispetto al
2014). Il primo partito resta quello dei Socialdemocratici con il 28,3%, temperando
la debacle che gli assegnavano i primi exit poll.
I Moderati si attestano al 19,7%,
secondo partito, mentre quel che appare certa è l'affermazione dei piccoli. In
primis gli ex comunisti di Sinistra, che hanno quasi raddoppiato il loro ultimo
risultato e si sono aggiudicati l'8% dei voti. Bene anche il partito di
centrodestra, Centro, e i cristiano democratici che hanno incrementato di un
terzo le preferenze del 2014.
Al termine di una tornata elettorale
che ha tenuto l'Europa col fiato sospeso, sondaggio dopo sondaggio, con le indicazioni
dell'ascesa degli Svedesi Democratici, il futuro governo di Stoccolma è al
momento un enigma: se si escludono accordi con la destra populista, il blocco
di centrodestra e quello di centrosinistra si trovano imbrigliati in un testa a
testa, entrambi attorno al 40%.
La campagna elettorale che ha
preceduto il voto è stata tesa e difficile. E i segnali sono arrivati da
aggressioni, ai seggi, di militanti neonazisti contro giornalisti e elettori.
La corsa alle urne si è incentrata essenzialmente su come frenare l'arrivo di
nuovi stranieri, tema forte ovunque in Europa, e cavalcato abilmente dagli Svedesi
Democratici. Solo nel 2015 erano stati accolti più di 160mila nuovi migranti,
un'enormità per un paese di 10 milioni di abitanti.
Le limitazioni degli anni successivi
non hanno arginato un sentimento diffuso di crescente esasperazione. Sfruttato
dagli Svedesi Democratici, che hanno denunciato in maniera martellante - con
toni spesso violenti - i problemi dell'integrazione, tra segregazione residenziale
e gang criminali. Il futuro governo dovrà in ogni caso metter mano alle riforme
che il Paese si aspetta.
In Italia, intanto, esulta già dopo
gli exit poll il leader della Lega Matteo Salvini, che invita a non definire
«destra estrema» quella di chi vuole «il controllo dell'immigrazione». «La
Svezia, patria del multiculturalismo e modello della sinistra, dopo anni di
immigrazione selvaggia ha deciso finalmente di cambiare. Ora anche lì dicono no
a questa Europa di burocrati e speculatori, no ai clandestini, no
all'estremismo islamico. La forte affermazione di Åkesson è l'ennesimo avviso
di sfratto ai Socialisti: a maggio, alle elezioni europee, completeremo l'opera
del cambiamento fondato sui valori del lavoro, della sicurezza e della
famiglia», afferma.
La
Nuova
Centrodestra
in fermento Il Pd: oltre il centrosinistra
Non c'è
solo Forza Italia, anche Fdi propone un suo governatore: Truzzu
I
sondaggi danno un boom di Lega e Psd'Az. Il Pds vuole allargare la coalizione
SASSARI
Il viaggio dei partiti sulle
montagne russe delle Regionali è appena
iniziato, ma promette già salite,
picchiate e giri della morte. I
candidati ai nastri di partenza si
moltiplicano. Alcuni servono solo a
fare da disturbo, a marcare il
territorio. Altri hanno già la forza
magnetica di attrarre alleati. I
sondaggi. Ma più dei nomi a
funzionare sono i sondaggi. Tutta
roba di contrabbando per ora.
Esistono, commissionati dai partiti
o da singoli candidati, ma non
vengono resi ufficiali.
Un po' per non deprimere la piazza,
un po' per
non far capire il reale peso di ogni
pezzo della coalizione. Uno di
questi accredita il duo Lega-Psd'Az
di una forbice molto ampia che va
dal 14 al 20 per cento. E sarebbero
loro la vera sorpresa di queste
Regionali. Un altro sondaggio, che
risale a luglio, dava il
centrodestra in vantaggio, vicino al
40 per cento. Il movimento 5
Stelle intorno al 32-35 per cento.
E il centrosinistra intorno al 25
per cento. Ma sette mesi nella
politica sono come due ere geologiche.
Tutto può cambiare. Anche perché
possono cambiare gli schieramenti.
Centrodestra. Il vero magma è il
centrodestra. Sente che la vittoria è
possibile, ma serve non perdere
neanche un pezzo. Dentro Forza Italia,
Fratelli d'Italia, Riformatori, Udc,
Lega-Psd'Az. Ma si deve trovare
una linea comune. Per prima cosa sul
candidato. Se è vero che Fi e
Lega hanno già deciso come spartirsi
le poltrone da governatore in
base a un accordo nazionale, il
Psd'Az non sembra avere gradito
troppo. E la base ha già manifestato
la propria contrarietà a un
accordo calato dall'alto.
Per il candidato governatore è in
vantaggio
Pietro Pittalis. Ma Fi sonda anche
altri nomi, come Salvatore Cicu,
sponsorizzato da Antonio Tajani, o
Stefano Tunis, sostenuto dal
senatore Emilio Floris. Che poi
Tunis la sua candidatura a governatore
l'ha già avanzata, come leader del
movimento "Sardegna venti-venti".E
in questo quadro già affollato
scende in campo anche Fdi. Fratelli
d'Italia punta su Paolo Truzzu,
attuale consigliere regionale. Il
miracolo sarà trovare la convergenza
e cercare di portare nella
coalizione qualche altro partito.
Pds.
Il Partito dei sardi continua
la sua corsa. Il progetto è noto, la
"Convergenza nazionale", si parte
dai temi condivisi che riguardano la
Sardegna, non dagli schieramenti.
Paolo Maninchedda è l'anima di
questo partito e punta tutto
sull'incontro del 23 settembre a
Tramatza. Là ci saranno almeno 200
amministratori, ma la riunione è
aperta a tutti. Il Pds lavora per
creare una coalizione che superi gli
steccati di destra e sinistra.
Anche per questo dialoga con tutti.
Dai Riformatori a Forza Italia, a
Campo progressista a Più Europa. Il
Pd. Oggi il Pd ribadirà ancora una
volta con un documento programmatico
che è necessario andare al di là
del centrosinistra tradizionale. I
Dem cercano la svolta, la grande
chiamata per cercare di uscire
dall'angolo in cui sembra essere
rimasto chiuso. Per ora c'è
un'intesa con Campo progressista. E ci
sarebbe anche un possibile candidato
governatore: Massimo Zedda. Ma è
tutto troppo prematuro.
I Dem provano ad allargare le
alleanze e
vogliono partire dal partito che non
c'è. Quello dei sindaci. Il
movimento che ha un tesoretto di
competenze, volti, credibilità, e
voti, che servirebbero come l'ossigeno
a una coalizione che rischia di
restare asfissiata. Il Pd ha anche
un altro possibile candidato.
L'attuale governatore Francesco
Pigliaru.
Ma prima di mettere il tetto
è indispensabile costruire le
fondamenta della coalizione. L'altra
grande speranza dei Dem è trovare la
saldatura con il Partito dei
sardi. 5 Stelle. Non ci sono
incertezze nel Movimento. Mario Puddu
tiene dritta la barra dei grillini e
si definiscono liste e programma.
Il lavoro dal basso è già stato
fatto. E per paradosso il partito meno
strutturato di tutti sulla carta è
quello che ha già una base solida e
un programma. (l.roj)
Per il
ministro, inutile sforare il deficit se lo spread drena le risorse
«Obiettivo
1,6%? Sì, ma di crescita». Palazzo Chigi, niente condono
«Non
tutto e subito» Tria vuole equilibrio
di Corrado Chiominto
CERNOBBIOGradualità, equilibrio,
prudenza. Il ministro del Tesoro
Giovanni Tria usa a Cernobbio il
passo felpato da professore di
economia. A lui spetta l'ultimo
intervento del Forum Ambrosetti e lo
usa per tracciare i confini in cui
si muoverà la prossima manovra di
bilancio, ma soprattutto per parlare
della necessità di creare un
ambiente favorevole agli
investimenti, una parola che è musica per le
orecchie degli imprenditori seduti
in platea.
La messa a punto della
manovra di bilancio incalza. Ma Tria
non si scompone. Niente dettagli.
Piuttosto, ribadisce che ci sarà
gradualità. «Non tutto subito»,
scandisce alle televisioni che lo
assediano. Poi spiega che ci sarà un
convitato di pietra dal quale non si
può prescindere: il mercato. «È
inutile cercare 3 miliardi in più di
deficit se poi ne perdiamo
altrettanti sul mercato», spiega. I
toni sono cauti. Talvolta
professorali. L'unico sobbalzo per
la platea è quando il ministro cita
la «distruzione creatrice
schumpeteriana». Tria non parla dei
provvedimenti singoli, cari a M5s e
Lega: dalla flat tax al reddito di
cittadinanza alla riforma della
legge Fornero.
Nemmeno della «pace
fiscale», un tema sul quale
interviene invece Palazzo Chigi per
precisare che sabato il premier
Conte a Cernobbio non ha parlato di
condono: «Nella proposta che sarà
avanzata dal governo si offrirà ai
contribuenti l'occasione di
immettersi nel nuovo regime fiscale, che
risulterà organicamente riformato,
azzerando le pregresse pendenze
contributive». Sulla manovra,
assicura Tria, si procederà mantenendo
«equilibrio» tra i vari capitoli.
Le tre «grandi riforme» e gli
investimenti procederanno insieme,
gradualmente, con un primo passo,
con coperture che non poggiano sul
deficit spending. Arrivano invece
dall'interno del bilancio e da
quello che si riuscirà a concordare con
l'Ue. Oggi, ad esempio, Conte
incontra il presidente del Consiglio
europeo Donald Tusk. «Le regole
vanno rispettate», dice anche Tria con
un assioma che sarebbe lapalissiano
se non arrivasse dopo mesi di
strappi politici con Bruxelles.
Prima di tutto questo con
l'aggiornamento del Def bisognerà
comunque ridefinire il quadro di
crescita, che l'Unione Europea
prevede sarà per l'Italia dell'1,3%
quest'anno e dell'1,1 il prossimo.
L'obiettivo chiaro del governo è
quello di rilanciarla e il ministro
sui numeri gioca con la platea.
«Se iniziassi il mio intervento
dicendo che l'obiettivo è quello
dell'1,6%, cosa pensereste voi?
Probabilmente pensereste che stia
parlando dell'indebitamento netto,
del deficit - afferma - Vorrei
parlare invece di obiettivo
dell'1,6% per la crescita. Questo è
l'obiettivo del governo».
E il fatto che il pensiero vada subito al
debito e non al Pil è per Tria un
automatismo che fa trasparire «una
deviazione cognitiva, che rischia di
impoverire il ragionamento». Il
ministro parla anche del calo del
debito, che il premier Conte aveva
indicato nelle sue linee
programmatiche per la fiducia, in una «linea
prudente fin da subito». Del resto,
un filo invisibile lega debito,
mercati e crescita. «La riduzione
del rapporto debito-Pil significa un
rafforzamento e un consolidamento
della presenza sui mercati
finanziari dell'Italia che libererà
risorse che attrarrà investimenti.
E questo è importante per un governo
che si pone la crescita come
primo obiettivo». Tre parole che il
ministro-professore - si può
starne certi - tornerà a ripetere
ancora spesso.
Unione
Sarda
Elezioni
regionali - Tutti corteggiano i sindaci:
«Ma noi non siamo in vendita»
Monito
degli amministratori locali ai partiti: «Serve un rinnovamento vero»
La prudenza non è mai troppa: lo
sanno bene i sindaci, mai così
corteggiati dalle forze politiche
come in questo avvio di campagna
elettorale. Le avances non bastano,
chiedono fatti concreti dopo tanto
tempo in cui la politica li ha
trascurati. «O si fa un mea culpa
profondo, cambiando la classe
dirigente», dice il presidente dell'Anci
Sardegna, Emiliano Deiana , «o
nessuna proposta risulta credibile».
CONTATTO CON LA GENTE Sono molte le
mani tese verso gli amministratori
locali. Un mondo in grado di avere
ancora il contatto con i cittadini
e la loro fiducia, oltre
all'abitudine a convivere con le difficoltà.
In questo quadro si sta costruendo
uno scenario che difficilmente
ospiterà una vera e propria
rappresentanza unica dei sindaci, ma ogni
partito cercherà di averli dalla
propria parte come valore aggiunto.
Loro però non hanno la memoria corta
e dunque non basta un invito per
convincerli. «Mi rivolgo ai due poli
principali», sottolinea Deiana,
«serve un cambio radicale di visione
su temi come il federalismo e le
aree interne. Se veramente c'è un
comune sentire, si renda visibile
questo cambiamento».
Il numero uno dell'Anci lancia la
sfida alla
maggioranza in Consiglio regionale:
«Approvi norme che dimostrino
un'inversione di tendenza». Tra
queste il potenziamento del Fondo
unico degli enti locali, l'avvio
della regionalizzazione della finanza
locale e interventi per i Comuni che
soffrono dal punto di vista
demografico. «Servono servizi
sanitari, una scuola in ogni paese,
trasporto pubblico locale e
sviluppo».
I DUBBI Restano molte perplessità,
nessuno vuole firmare cambiali in
bianco. A nessuno. Duro il sindaco
di Desulo, Gigi Littarru : «Non ci
si lava la testa puntando sui
sindaci. Serve un coinvolgimento
concreto, noi facciamo politica a
modo nostro perché amiamo i paesi
che amministriamo, ma c'è una
politica molto distante da tutto
questo». Per la sindaca di Oniferi,
Stefania Piras , l'avvicinamento
agli amministratori ha una radice
ben precisa: «Tanti pensano che
siamo un bacino di voti sicuro, ma
non è così, le elezioni regionali
hanno dinamiche diverse. Chiunque
faccia politica a livello regionale
deve occuparsi degli enti locali con
interventi mirati».
ORDINE SPARSO Non esiste un'immagine
omogenea dei sindaci. Almeno
secondo Anita Pili , sindaca di
Siamaggiore: non esiste un progetto
comune, dice, perché «purtroppo non
si riesce a tagliare il legame con
il partito o con il consigliere
regionale di turno». Questo fattore
emerge soprattutto quando «siamo
chiamati ad esprimerci per esempio
sui disegni di legge regionali:
manca ancora il coraggio di essere
liberi e autonomi rispetto a chi
decide anche per noi». Qualche tempo
fa, Anita Pili ha dato l'addio al
Pd.
«NUOVA FASE» La sindaca di Guasila,
Paola Casula , spiega le aperture
alle istanze locali col fatto che
«abbiamo ancora un po' di fiducia da
parte dei cittadini. Per questo sono
soprattutto i partiti in
difficoltà a cercarci». Bene
coinvolgere i sindaci, ma non per
«ottenere consensi e riprendere le
solite prassi», avverte: «Serve una
nuova politica che metta davvero gli
amministratori in primo piano.
Non possiamo essere solo portatori
di voti».
«PENSARE AI SARDI» Chiede di
superare gli «schemi soliti» Antonio
Succu , sindaco di Macomer, convinto
che «non si può puntare su
centrodestra, centrosinistra o sul
populismo del Movimento 5 Stelle».
Per Succu, ai sindaci serve un
progetto in grado di «mettere insieme
le migliori forze e pensare agli
interessi dei sardi, visto che alle
ultime elezioni politiche nessuno ne
ha parlato». Il sindaco di
Macomer sarà a Tramatza il 23
settembre all'iniziativa promossa dal
Partito dei sardi: «Sarà veramente
l'occasione per parlare di
Sardegna».
LA POLITICA Non serve avere un
fronte dei sindaci, ma consentire loro
di avere voce in capitolo nei
partiti: Lino Zedda , primo cittadino di
Baradili, punta su questo aspetto.
«Nei partiti non ci sono più tanti
sindaci perché forse non sono stati
ascoltati», obietta Zedda, che
rispetto al corteggiamento
elettorale chiede «dimostrazioni concrete
di un interesse vero verso chi vive
tutti i giorni a contatto con le
difficoltà dei territori».
Matteo Sau
Puddu
(5S) a Pigliaru: «Nomine lottizzate»
«Il turismo va male ma la Giunta
Pigliaru pensa a lottizzare»: inizia
così l'attacco pubblicato su
Facebook da Mario Puddu, candidato del
Movimento Cinquestelle alla
presidenza della Regione, contro la
recente nomina a capo di gabinetto
dell'assessorato al Turismo di
Francesco Lilliu, «segretario
provinciale del Pd a Cagliari - ricorda
Puddu - e sconfitto alle elezioni di
Selargius lo scorso anno. La si
può chiamare Sindrome del Pd», prosegue:
«Hanno sempre fatto così,
specie qui in Sardegna. Parlo del
riciclaggio dei trombati, nel
migliore stile della lottizzazione».
Per la nomina, si chiede
ironicamente l'ex sindaco di Assemini, «ha
contato di più nel curriculum
l'incarico di partito, la bocciatura
alle comunali o essere genero del
presidente del Banco di Sardegna,
Antonello Arru, fratello
dell'assessore alla Sanità, Luigi?». Puddu
definisce Lilliu «ben inserito nelle
fazioni di partito, vicinissimo
all'ex deputato Marco Meloni e al
consigliere regionale Gigi Ruggeri»,
e ora lavorerà con l'assessora
Barbara Argiolas, «che invece di
pensare ai dati disastrosi del
turismo pensa a collocare il povero
Francesco.
Lei è uno dei due assessori di area
Soru, di cui è, lo
ricordiamo, cugina. Sarà un caso che
l'altro assessore soriano sia
proprio Luigi Arru, fratello di
quell'Antonello che della moglie di
Francesco è il papà?». Ma questa
volta, conclude, «i giochi di potere
non gli serviranno per rimanere in
sella. I cittadini a febbraio li
manderanno a casa».
Salvini:
accordi con i Paesi africani. Il vicepremier andrà in Tunisia
«Rimpatri,
nuove intese o ci vorranno 80 anni»
MILANO Dopo le scintille sul caso
Diciotti e sui giudici, Matteo
Salvini ritorna a parlare di
migranti: «Stiamo lavorando per fare
accordi di espulsioni e di rimpatrio
volontario assistito con tutti i
Paesi di provenienza» dei
clandestini, ha detto il ministro
dell'Interno nel corso di
un'intervista radiofonica. L'obiettivo è
attivare il piano entro l'autunno.
«Attualmente l'unico che funziona
decentemente è quello con la
Tunisia. Noi organizziamo due charter a
settimana per un'ottantina di
espulsioni, però capite che se ogni
settimana, fra tunisini, nigeriani e
altri, ne espelliamo 100, ci
mettiamo 80 anni a recuperare i
5-6-700mila immigrati entrati negli
ultimi anni».
LA PROMESSA Il mezzo milione di
rimpatri promesso dal ministro
dell'Interno in campagna elettorale
è un nodo da sciogliere, visto che
fino a oggi non sono stati stipulati
nuovi accordi: tutti si basa sui
quattro ereditati dai precedenti
governi e che hanno consentito fino
ad ora il rimpatrio di circa 400
immigrati al mese.
IL VIAGGIO Il vicepremier andrà
nelle prossime settimane in Tunisia,
«perché i tunisini quest'anno sono
arrivati in più di quattromila e lì
non c'è la guerra, la carestia, la
peste. Quindi, non si capisce
perché questi ragazzi devono
scappare».
«DECIDO CON LA MIA TESTA» Intanto
tiene ancora banco lo scontro con i
giudici sul caso Diciotti. Prima
l'attacco ai magistrati, poi
correzione di rotta, qualcuno dice
suggerita dall'alleato Luigi Di
Maio. Salvini nega questa
ricostruzione: «No, non ho ricevuto nessuna
telefonata. Ho tanti difetti, ma
decido con la mia testa», ha detto il
vicepremier, «non ho fatto né un
attacco alla magistratura il giorno
prima, né una retromarcia il giorno
dopo.
Mi sono semplicemente detto
sorpreso che una procura siciliana,
con tutti i problemi di mafia che
ci sono in Sicilia, stia dedicando
settimane di tempo a indagare me,
ministro dell'Interno, che ho fatto
quello che ho sempre detto che
avrei fatto e cioè bloccare le navi.
È una decisione politica», ha
concluso Salvini. Dal Pd arrivano
gli attacchi di Maurizio Martina:
«Hai giurato sulla Costituzione,
devi essere fedele a quella Carta,
non puoi insultare un potere dello
Stato indipendente», ha detto il
segretario dei Dem rivolto a
Salvini, intervenendo alla festa
dell'Unità.
La
Nuova
L'inchiesta
della Procura potrebbe allargarsi. Chiesti accertamenti alla Digos
Funerale
fascista a Sassari, ora ci sono 23 indagati
di Daniela ScanowSASSARIL'appello è
presto fatto: tutti i camerati che
hanno risposto "presente"
davanti a un feretro coperto con la bandiera
di guerra della repubblica di Salò.
Per identificarli, alla Digos
sassarese diretta da Cristina
Rapetti è bastato zoomare sui volti.
Pochi giorni dopo, il procuratore
capo Gianni Caria e il suo sostituto
Paolo Piras hanno iscritto 23 nomi
nel registro degli indagati.Ed è
solo l'inizio, perché l'indagine
prosegue e potrebbe allargarsi.
In Procura c'è un fascicolo aperto e
ci sono ipotesi di reato per i
funerali fascisti dell'accademico
Giampiero Todini, assistente
ordinario di Storia del diritto
italiano all'Università di Sassari,
platealmente "celebrati"
il 3 settembre sul sagrato della chiesa di
San Giuseppe.Uno degli indagati è il
figlio del defunto, Luigi Todini,
che dice di avere organizzato le
esequie mussoliniane per esaudire
l'ultimo nostalgico desiderio del
padre.
E poi c'è Andrea Farris,
responsabile di CasaPound a Sassari,
che quel pomeriggio ha posato
sulla bara la bandiera di Salò. A
seguire c'è tutto il picchetto
d'onore: ventuno uomini e donne
schierati e scattati militarmente
sull'attenti, a braccia levate, che
hanno risposto "presente" al
richiamo "camerata Giampiero
Todini". Erano certi di essere
autorizzati a farlo da una sentenza
della Cassazione, che di recente
ha "assolto" dal reato di
apologia del fascismo i partecipanti a un
funerale.Il fatto, direbbero
cassazionisti più esperti di quelli di
CasaPound e dei "giuristi"
di Facebook, è che prima di interpretarle
le leggi bisogna leggerle fino in
fondo.
La legge Scelba non vieta
solo la riorganizzazione del
disciolto partito fascista e l'apologia
del fascismo. C'è anche l'articolo
5, che punisce con la reclusione
fino a tre anni anche chi partecipa
a pubbliche riunioni compiendo
«manifestazioni usuali del disciolto
partito fascista ovvero di
organizzazioni naziste». In caso di
condanna, i responsabili rischiano
anche fino a cinque anni di
interdizione dai pubblici uffici.Sarà
quindi un tribunale a stabilire se
il funerale fascista di Giampiero
Todini è stato o no una di quelle
"pubbliche riunioni" che la legge
Scelba sanziona.
Per verificarlo, la Procura della
Repubblica di
Sassari ha chiesto alla Digos di
accertare i fatti accaduti il 3
settembre in pieno centro a Sassari
e poi rilanciati sui social, prima
da Luigi Todini e poi (ma questa
volta per denunciarli con
indignazione) dalla consigliera
comunale Lalla Careddu. Il video è
diventato virale e il caso
nazionale. Il funerale sassarese ha
scatenato una valanga di reazioni,
equamente divise tra colpevolisti e
innocentisti. Nel frattempo, gli
investigatori della Digos hanno
identificato tutti i presenti e
verificato le circostanze delle
esequie fasciste.
Quindi hanno scritto.Sono state due
le relazioni
presentate nei giorni scorsi alla
magistratura dalla Divisione
investigazioni generali e operazioni
speciali della questura. Ciò che
ha letto è bastato al procuratore
capo Gianni Caria, cui è stato
assegnato il fascicolo, per decidere
di iscrivere nel registro degli
indagati i nomi di tutti i
partecipanti alla cerimonia. Il procuratore
guiderà le indagini insieme con il
suo sostituto Paolo Piras, al quale
ha coaffidato il fascicolo.
E l'apertura del fascicolo è solo il
primo
passo.Fonti della Procura della
Repubblica fanno infatti sapere che,
dopo l'iscrizione dei nomi, i due
magistrati titolari della inchiesta
abbiano chiesto ulteriori
accertamenti alla Digos. Inutile chiedere di
cosa si tratti ma è plausibile che
la magistratura voglia vedere
chiaro nelle attività sassaresi del
gruppo, non troppo sparuto, di
dichiarati nostalgici del regime
fascista. Nel frattempo, i 23
camerati devono cercarsi bravi
avvocati e leggere insieme a loro tutta
la legge Scelba.
Il
defunto era un'ex consigliere regionale. Anpi: «Una vergogna. Ora
se ne
occupi la magistratura»
Esequie
"mussoliniane" anche a Catanzaro
SASSARI
Il saluto romano va di moda, a
Sassari come a Catanzaro. Dopo il
picchetto d'onore che alza il
braccio teso davanti all'ingresso della
chiesa di San Francesco per
commemorare il docente universitario
Gianpiero Todini, la stessa cosa è
accaduta sabato a Catanzaro in
occasione dei funerali di un ex
consigliere regionale. Immediata la
reazione del comitato provinciale di
Catanzaro dell'Anpi: «Una
vergogna. Ora se ne occupi la
magistratura».
Il funerale, questa volta,
era quello di Ferdinando Giardini,
morto a 96 anni, uno dei padri
della Destra calabrese, tra i
fondatori del Movimento sociale
italiano. Per tre volte, a
conclusione del rito funebre, i
partecipanti hanno risposto
"presente" al grido "Camerata Nando
Giardini", come prevede un rito
ormai consolidato, proprio come è
accaduto a Sassari. «Ancora una
vergogna per la città di Catanzaro -
protesta il comitato provinciale
dell'Anpi - Con il solito lugubre
rituale, i fascisti del capoluogo si
sono distinti davanti ad una
cerimonia religiosa per i funerali
dell'ex consigliere regionale
Giardini.
Nessuna esitazione ad esibire il
braccio alzato con i soliti
tristi richiami al fascismo, e la
tetra simbologia del camerata
presente». Come sottolinea
l'associazione nazionale partigiani
d'Italia, «la legge vieta
espressamente tali rappresentazioni in
quanto si configurano come apologia
del fascismo, vietate dalla XII
disposizione transitoria della
Costituzione italiana. La serie di
provocazioni negli ultimi giorni si
è fatta sempre più insistente: dal
manichino impiccato allo striscione
affisso al Duomo della città. Una
situazione preoccupante.
Al Prefetto di Catanzaro chiederemo,
anche
per quest'ultimo episodio, cosa si
intende fare per impedire questa
escalation di manifestazioni
neofasciste». L'Anpi, infine, annuncia
una campagna di sensibilizzazione.
«Insieme alle forze politiche e
sindacali della Consulta provinciale
antifascista e antirazzista
promuoveremo una serie di iniziative
di sensibilizzazione nelle scuole
e nella città. È urgente richiamare
tutti ad un maggiore impegno sul
versante dell'antifascismo. Compreso
il ricorso all'autorità
giudiziaria, se sarà necessario».
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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