martedì 4 settembre 2018

Far conoscere la storia della nostra nazione, anche mostrando un nuraghe. Fate vedere ai turisti la maestosità della nostra cultura. Di Maurizio Onnis.



Ho ospitato per qualche giorno un pezzo grosso di Ernst & Young, una delle maggiori società al mondo di revisione dei conti. Uomo piuttosto intelligente, milanese, che conosco da molti anni. Viene in Sardegna da tempo, ma solo sulla costa. Con battuta da bauscia, dice che i nuraghi non sono che “quattro pietre una sull’altra”. Diceva, anzi. Perché mentre stava da noi lo abbiamo portato in visita a Su Nuraxi di Barumini e, ovviamente, ha smesso di fare lo spiritoso.

Siccome ha del sale in zucca, non ha avuto difficoltà ad ammettere d’essersi nutrito di stereotipi. Il primo e più diffuso: che la Sardegna non abbia una storia. Tout court. C’è questo lungo lavoro da fare sui continentali, contraltare del lavoro da fare su noi stessi (conosco molti ragazzi in età scolare, cagliaritani, che non hanno mai avvicinato un nuraghe). Finché non si vede non si crede.

Ma spesso, se non si ha a che fare con un vero idiota, basta vedere e toccare con mano perché cambi completamente l’immagine che i nostri amici e visitatori di fuori hanno della Sardegna. Sono, sarebbero, tutte anime guadagnate alla nostra causa.

L’obbiettivo sarà senz’altro più a portata quando non saremo noi per primi a confinare i “forestieri” alle spiagge, a non saper bene cosa mostrargli dell’interno, come valorizzarlo, addirittura a non conoscere questo valore. La debolezza che altri ci attribuiscono è figlia diretta della debolezza che noi attribuiamo a noi stessi. La cura è una sola: studiare, meditare su quel che siamo e abbiamo, rivalutarci, amarci.

Di Maurizio Onnis

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