venerdì 9 agosto 2019

Il giudice solo: Antonio Scopelliti


"Il giudice è quindi solo, solo con le menzogne cui ha creduto, le verità che gli sono sfuggite, solo con la fede cui si è spesso aggrappato come naufrago, solo con il pianto di un innocente e con la perfidia e la protervia dei malvagi. Ma il buon giudice, nella sua solitudine, deve essere libero, onesto e coraggioso." (Antonino Scopelliti)

(09 Agosto 1991) Il giudice solo: così era stato ribattezzato il magistrato Antonio Scopelliti, ucciso in un agguato mafioso a pochi chilometri da Villa San Giovanni, in Calabria, mentre era alla guida della sua auto. Nativo di Reggio Calabria, (vi nacque nel 1953), era tornato nella sua regione per trascorrere le vacanze. Come Sostituto Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione, avrebbe dovuto rappresentare l’accusa contro gli imputati del maxiprocesso di mafia a Palermo.

Scopelliti fu intercettato dai suoi assassini mentre ritornava a casa, dopo avere trascorso la giornata al mare. L'agguato fu organizzato all'altezza di una curva, poco prima del rettilineo di Campo Calabro. Gli assassini, almeno due persone a bordo di una moto, appostati lungo la strada, spararono con fucili calibro 12 caricati a pallettoni. Priva di controllo l'auto prosegue per circa dieci metri, sfonda un cancello e finisce fuori strada, nel mezzo un vigneto. Una telefonata anonima comunica il fatto al il posto di polizia di Villa San Giovanni e gli agenti che arrivano sul posto in un primo momento pensano di trovarsi dinanzi ad un incidente stradale, ma dopo aver scoperto i fori sul corpo senza vita del magistrato tutto diventa più chiaro: Scopelliti è vittima di un omicidio

Di certo Scopelliti era un magistrato fuori dall’ordinario, dalle grandi capacità e dalla grande esperienza. Entrato in magistratura a 24 anni, si è occupato di processi di mafia e di terrorismo rappresentando la pubblica accusa nel primo Processo Moro, nel sequestro dell'Achille Lauro, nella Strage di Piazza Fontana e nella Strage del Rapido 904. Nel giugno 1991 assegnarono a lui il compito di rappresentare l'accusa nel maxiprocesso, giunto in Cassazione. Così in quella calda estate aveva cominciato a studiare le carte del procedimento che furono trovate nell'abitazione paterna, dove il magistrato soggiornava durante le vacanze. Parenti ed amici hanno raccontato il nervosismo che il magistrato viveva nei giorni precedenti all'omicidio. Addirittura un'amica ha ricordato una telefonata, proprio la sera precedente all'agguato, in cui, con un tono preoccupato, il giudice rispondeva ad una sua richiesta di spiegazioni in modo anomalo: “Un’apocalisse, un’apocalisse”

Secondo i pentiti della 'ndrangheta Giacomo Lauro e Filippo Barreca, sarebbe stata Cosa Nostra a chiedere alla 'ndrangheta di uccidere Scopelliti, che, in cambio del ''favore'' ricevuto, sarebbe intervenuta per fare cessare la ''guerra di mafia'' che si protraeva a Reggio Calabria dall'ottobre 1995, quando fu assassinato il boss Paolo De Stefano. Nel 2001, la Corte d' Assise d'Appello di Reggio Calabria assolve Bernardo Provenzano, Giuseppe e Filippo Graviano, Raffaele Ganci, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffre' e Benenetto Santapaola dall'accusa di essere stati i mandanti. L'omicidio Scopelliti rimane impunito.

Secondo un nuovo filone individuato recentemente dalla magistratura, la chiave per decifrare questo delitto le forniscono le ultime inchieste sul vertice "segreto” della ’ndrangheta. Una cupola, a lungo invisibile, il cui profilo è impresso in migliaia di pagine di verbali. Il maxi processo per 78 persone, tra cui compaiono avvocati-padrini, boss-imprenditori, sacerdoti collusi e persino un senatore della Repubblica, è vicino.

Dagli stessi atti affiorano i dettagli di un’amicizia tra ’ndrine e cosche siciliane, negli anni diventata una sinergia stabile e decisamente pericolosa per la democrazia del Paese. Un’alleanza dai tratti, in un certo momento storico, eversivi. Per comprendere le ragioni dell’omicidio Scopelliti è necessario immergersi in sabbie mobili dove capi mafia stringono la mano di uomini delle istituzioni.

E dove la parola d’ordine è trattare. Trattative utili a mantenere l’ordine, per allontanare qualsiasi tipo di caos. Per farlo l’organizzazione calabrese sfrutta ogni pedina. Il pentito Antonino Lo Giudice, per esempio, racconta di un complice (colonnello dei carabinieri già condannato per concorso esterno) che nel porto di Gioia Tauro incontrava agenti della Cia. Anche di queste insospettabili particelle, dunque, è fatto il dna della ’ndrangheta che ha ucciso il magistrato.




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