(01 Agosto 1942) Nasce a Trieste Adriano Sofri. Il padre, di
origine meridionale, era nella Marina Militarementre la madre triestina era
insegnante. Ha un fratello maggiore, Gianni, storico e saggista, e una sorella,
Stella. Trascorse l'infanzia a Taranto, poi a Milano, Palermo e Roma, dove
studiò al liceo classico Virgilio.
Fu attivo nella sinistra operaista sin dai primi anni
sessanta (collaborò alla rivista Classe operaia), fu tra i fondatori del
movimento "Il potere operaio pisano", per poi fondare la formazione
extraparlamentare comunista "Lotta Continua", di cui fu uno dei leader principali
fino al suo scioglimento nel 1976. Nel marzo 1963, Palmiro
Togliattia era a Pisa, e raccontò agli
studenti il suo rientro in Italia e la svolta di Salerno, riferendo che «il
generale MacFarlane si meravigliò con me che il Pci non volesse fare la
rivoluzione». L'allora sconosciuto Sofri intervenne affermando che «ci voleva
l'ingenuità d'un generale americano per pensare che un partito che si
proclamava comunista volesse il comunismo», al che il segretario comunista
ribatté: «Devi ancora crescere. Provaci tu, a fare la rivoluzione», e Sofri
concluse: «Ci proverò, ci proverò».
Più precisamente, il motore di tutto fu la
bomba che scoppiò il 12 dicembre del 1969 alla Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana, a Milano. Nell'attentato
morirono sedici persone. Polizia, carabinieri e governo accusarono, sbagliando,
gli "anarchici" del delitto.
Dopo varie indagini, venne convocato in questura per un
colloquio un semplice ferroviere di nome Giuseppe Pinelli, esponente dell'area anarchica milanese. Purtroppo
però, una notte di tre giorni dopo, durante uno dei tanti interrogatori a cui
era stato sottoposto, Pinelli morì "misteriosamente" sfracellato nel
cortile della questura. Lotta Continua scatenò una violenta campagna di propaganda contro
Calabresi. Sofri stesso sul suo
giornale cercava in ogni modo di costringere il commissario alla querela, unico
strumento, secondo il leader di Lotta Continua, per aprire un'inchiesta sulla
morte dell'anarchico.
Calabresi querelò
effettivamente Lotta Continua e, nel 1971, cominciò il processo. Poliziotti e carabinieri furono
chiamati a testimoniare, ma mentre il processo volgeva al termine, al giudice
istruttore fu tolta la causa poiché l'avvocato di Calabresi sostenne di aver
sentito il giudice dichiarare di essere convinto della colpevolezza del
commissario. Date queste premesse, dunque, era impossibile andate avanti e il
processo si sgonfiò.
La mattina del 17 maggio
1972, il commissario Calabresi fu ucciso per strada, sempre a Milano. Lotta Continua diventa
immediatamente la sospettata numero uno. Nel 1975 venne fatto un nuovo processo
che si concluse con la condanna di LC per aver "diffamato" il
commissario Calabresi. Arrestato e rilasciato dopo pochi mesi nel 1988, fu
condannato nel 1990, e nel 1997 in via definitiva, insieme a Pietrostefani e
Bompressi, come mandante dell'omicidio Calabresi, in seguito alla confessione e
testimonianza di Leonardo Marino (ex-militante di Lotta Continua); Sofri
si è sempre dichiarato estraneo alla vicenda e non ha mai presentato richiesta
di grazia, che pure è stata invocata da diversi giornalisti ed intellettuali.
Negli anni del carcere Sofri ha scritto molto; una breve, ma
assai intensa, rubrica quotidiana sul Foglio (Piccola posta, sul quotidiano
fondato dall'amico Giuliano Ferrara), una collaborazione regolare con
Repubblica e la rubrica "Dopotutto" sull'ultima pagina di Panorama,
interrotta quando Maurizio Belpietro è diventato direttore del settimanale.
Nel 2015 ha cessato la sua collaborazione con la Repubblica dopo che Ezio Mauro ha annunciato l'imminente termine della sua direzione del giornale; al posto di Mauro è divenuto direttore Mario Calabresi, il figlio del commissario Calabresi. Mario Calabresi e Sofri erano già stati colleghi a Repubblica, pur senza vedersi mai di persona al di fuori di due fugaci incontri
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