Anche stamattina in mezzo alle notizie, senza grande risalto
e in coda alla pagina di cronaca, si riporta il femminicidio
quotidiano. 23 anni, madre di una
bambina di 4, morta dopo 9 giorni di agonia perché il marito ventottenne l’ha
strangolata. Il femminicidio quotidiano non è percepito come un’emergenza.
Quando va bene si trova ai margini delle agende politiche,
come un’aggiunta marginale messa li per dovere, separata dalle cose importanti
e trattata alla stregua di un fenomeno endemico e quasi inevitabile. Nei commenti il cliché è
sempre lo stesso: si ammicca alle belve, si allude a mille giustificazioni, si
ammanta di “amore”, si racconta di mitezze che inspiegabilmente diventano
raptus. E nel frattempo si
scandaglia la vittima per trovare la ragione della sua morte.
Le statistiche sugli omicidi ci raccontano impietose che in
Italia, per le donne, la famiglia è il posto più pericoloso. Non le stazioni brulicanti di varia umanità, non
le strade poco frequentate, non le mille ambientazioni del bosco dove Cappuccetto
incontra il lupo. No, le famiglie, i fidanzati, i mariti, i compagni gli ex. E
facciamo finta che non sia così.
Mi chiedo quando saremo in grado di guardare in faccia la
realtà e di mettere mano a questo schifo. Mi domando quando, finalmente, le donne
troveranno protezione e vedranno riconosciuto il loro diritto alla vita e alla
sicurezza. E penso anche alle decine e centinaia di orfani di femminicidi di
cui non sapiamo e non parliamo mai.
Di
Lucia Chessa
Nessun commento:
Posta un commento