(25 Luglio 1943) Si riunisce il Gran Consiglio del fascismo,
in una seduta che rimarrà per sempre scritta nella storia. Durante una
tempestosa riunione, durata dieci ore, il Duce viene messo in minoranza.
L'ordine del giorno redatto da Dino Grandi, che aveva ottenuto l’assenso di
Galeazzo Ciano (il genero di Mussolini) e Giuseppe Bottai, chiedeva che
Mussolini restituisse i poteri attribuiti al Re dallo Statuto, e che il capo
del fascismo aveva sottratto a Vittorio Emanuele III. Il
documento rappresentava di fatto una aperto ripudio di tutto l’operato del Duce. L’ordine del giorno passa con 19
voti favorevoli contro 8 contrari e una astensione e induce il re a chiedere le
dimissioni di Mussolini e farlo arrestare.
L'indomani Mussolini si recò a Villa Savoia, residenza reale
all'interno del grande parco che oggi è Villa Ada (all'epoca residenza privata
del sovrano), per un colloquio con il Re, che aveva fatto sapere che lo avrebbe
ricevuto alle 17. Mussolini non aveva nessuna idea di ciò che presto sarebbe
accaduto: la sua idea era di recarsi nelle Dolomiti, ed abbandonare per sempre
la politica, ma la storia non giocò a suo favore e lo mise dinanzi alle sue
responsabilità. L’avanzata degli alleati era alle porte da sud, mentre da nord
l’esercito tedesco si preparava ad andargli incontro. L’Italia del ventennio
era stata messa a durissima prova dalla guerra: Vittorio Emanuele III, forse
per salvarsi, cercava un capro espiatorio.
Mussolini si recò a Villa Savoia accompagnato dal segretario
De Cesare, con sotto braccio una cartella che conteneva l'ordine del giorno
Grandi, varie carte, e la legge di istituzione del Gran Consiglio, secondo cui
l'organismo aveva solo carattere consultivo. Il Re gli comunicò
la sua sostituzione da presidente del consiglio con il Maresciallo d'Italia
Pietro Badoglio lo fece arrestare.
Il capitano dei carabinieri Paolo Vigneri fu incaricato di
eseguire l'arresto. Venne convocato telefonicamente con il collega capitano
Raffaele Aversa intorno alle ore 14:00 del 25 luglio dal tenente colonnello
Giovanni Frignani, il quale espose loro le modalità di esecuzione dell'ordine
di arresto spiccato nei confronti del Duce. Vigneri ricevette termini
drastici per la consegna ad ogni costo del catturando e si avvalse, per portare a termine
la missione, oltre che di Aversa di tre sottufficiali dei Carabinieri
(Bertuzzi, Gianfriglia e Zenon), i quali, in caso di necessità, erano
autorizzati a usare le armi.
Badoglio (a cui il re aveva affidato il
potere) instaurò un governo militare. Dietro suo ordine il 26 luglio il capo di
stato maggiore, generale Mario Roatta diramava una circolare telegrafica alle
forze dell'ordine ed ai distaccamenti militari la quale disponeva che chiunque,
anche isolatamente, avesse compiuto atti di violenza o ribellione contro le
forze armate e di polizia, o avesse proferito insulti contro le stesse e le
istituzioni sarebbe passato immediatamente per le armi.
La circolare ordinava inoltre che ogni militare impiegato in
servizio di ordine pubblico che avesse compiuto il minimo gesto di solidarietà
con i perturbatori dell'ordine, o avesse disobbedito agli ordini, o avesse
anche minimamente oltraggiato i superiori o le istituzioni sarebbe stato
immediatamente fucilato. Gli assembramenti di più di tre persone andavano parimenti dispersi facendo ricorso alle armi e senza
intimazioni preventive o preavvisi di alcun genere.
Costituita la Repubblica Sociale Italiana il 28 settembre
1943 ad opera di Mussolini liberato dai paracadutisti tedeschi del
Fallschirmjäger-Lehrbataillon («Operazione Quercia»), i membri del Gran
Consiglio che avevano votato a favore dell'ordine del giorno Grandi furono condannati
a morte come traditori nel processo di
Verona, tenutosi dall'8 al 10 gennaio 1944; Cianetti, grazie alla sua
ritrattazione, scampò alla pena capitale e venne condannato a 30 anni di
reclusione. Tuttavia i fascisti repubblichini riuscirono ad arrestare solo 5
dei condannati a morte (Ciano, De Bono, Marinelli, Pareschi e Gottardi) che
furono giustiziati mediante fucilazione l'11 gennaio 1944.
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