Il primo giorno di
scuola, in prima elementare, dal maestro “un bambino si sentì dire che il suo
nome e il suo cognome non erano quelli che credeva di sapere fin dalla nascita e
con i quali fino a quel momento era stato «chiamato» da tutti”. Quel bambino, –
che poi è lo scrittore stesso – che per tutti era sempre stato fino ad allora,
Mialinu de Crapinu: per la famiglia come per la comunità ma soprattutto per se
stesso; a scuola, nella scuola “ufficiale”, dello Stato, si sente nominare Pira
Michelangelo. Di qui la sua identità culturale e linguistica lacerata e
mutilata. Scissa e fessurata. Materia per i labirintici scritti pirandelliani?
O per la poesia di Rimbaud, “Je est un autre”? No, oltre, addia. Qualcosa di
più grave e drammatico.
L’Identità di Mialinu
de Crapinu è stata semplicemente azzerata. Nullificata. Repressa. Ad iniziare
dalla sua identità linguistica. Una costante nella storia sarda, la proibizione
e repressione del sardo: a suon di bacchettate nella scuola. E a suon di bocciature.
Ricordo che una trentina di annai fa, in San Pantaleo (una frazione di Olbia) due
bambini (prima e terza elementare) furono bocciati perché “il loro lessico era
influenzato dal dialetto”(motivazione testuale riportata nelle pagelle). Una
“proibizione” e “criminalizzazione” che viene da lontano.
Carlo Baudi di Vesme
nell'opera Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna, commissionata
dal re Carlo Alberto tra l'ottobre e il novembre 1847, scrive che
era severamente proibito l’uso del dialetto (sic!) sardo e si
prescriveva quello della lingua italiana anche per incivilire alquanto quella
nazione! Ovvero la lingua sarda da estirpare in quanto espressione di inciviltà
da superare e trascendere con la lingua italiana! Mialinu de Crapinu, da tutti
così chiamato, riconosciuto e istituito come soggetto – scrive Pira – si sente
trattare dal maestro dello Stato come alunno oggetto. Reificato. Fatto cosa.
“Faticò non poco – scrive ancora Pira – a riconoscersi e a restituirsi come
soggetto”. I sardi continuano a faticare. Ma per “restituirsi” come soggetti da
oggetti che sono, devono “rivoltarsi”. Ribellarsi. Operando un
radicale “rovesciamento”. La rivolta dell’oggetto, appunto.
Di
Francesco Casula
Storico,
autore de “Carlo Felice e i tiranni sabaudi”
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