Guardo con una grande curiosità, intellettuale prima ancora
che politica, il veloce percorso di trasformazione che interessa il movimento 5
stelle. Non me ne vogliate elettori fidelizzati. Non pensate che la mia
sia, necessariamente, un’azione di propaganda contro. E’ un semplice osservare
per capire, casomai sono io che chiedo a voi, stupita, com’ è possibile che non
lo facciate prima di me.
Mille esempi si potrebbero portare di questa veloce normalizzazione del Movimento che si presenta come un piatto ghiotto per chi si occupa di studiare la formazione del consenso e la sua conservazione Erano partiti con un vaffa generalizzato, definitivo, tranchant proprio, rivolto, senza tanti distinguo, a tutto il resto del mondo.
Ora sembrano perdere quell’ impostazione sbrigativa,
pretendono cautele nel giudizio, Precisano che governare è difficile, che non
sempre si può fare proprio tutto ciò che si vorrebbe, invocano comprensione e
chiedono tempo. Hanno imparato che le bacchette magiche che esigevano da altri,
certe volte non esistono.
Erano partiti da un giustizialismo rigoroso, fondato sul presupposto che tutti, fatta eccezione loro, fossero corrotti delinquenti. Oggi candidano alle primarie rinviati a giudizio e, con straordinaria nonchalance, li difendono appassionatamene e li conservano come dirigenti di rilievo anche quando vengono condannati. Introducono anche qui distinguo numerosi, che poco hanno a che vedere con il rigorismo legalista con il quale insultavano chiunque senza troppo approfondire.
E’ proprio vero, il mondo cambia: è finita l’era degli streaming, è capitato di primarie fatte e poi annullate con un laconico “fidatevi di me”, si è fatto a meno del voto degli iscritti per la scelta della maggior parte dei candidati alle politiche e così via dicendo si potrebbe a lungo continuare. La verità è che emerge un percorso di normalizzazione che, dietro la facciata di una presunta democrazia diretta, rende il Movimento sempre più simile ad un partito di modello verticistico che gestisce posizioni di potere interne ed esterne e dentro il quale si scontrano correnti e capibastone.
Ciò che si profila
oggi in Sardegna è un’altra novità, un’ulteriore importante balzo in avanti in
quel percorso di normalizzazione del partito che si ostina a chiamarsi
movimento e che utilizza la piattaforma Rousseau sempre di più come luogo di
informazione unilaterale, priva di contraddittorio, e sempre di meno come luogo
di assunzione di decisioni aperte ai suoi iscritti.
A quanto pare, che a stretto giro, i vertici del Movimento
comunicheranno il nuovo candidato presidente dopo il ritiro (obbligato dalla
legge Severino e non frutto di eroica diversità come si è tentato di affermare)
di Puddu, condannato di recente da un tribunale in primo grado. Se così fosse,
troverei spettacolare la naturalezza con la quale salta il mito dell’uno vale
uno, della democrazia diretta che da voce a tutti, dell’assenza di un vertice che
decide, dei portavoce che altro non sarebbero se non dei delegati ad esprimere
la volontà degli attivisti.
Qui in Sardegna, accadrebbe che, con una strana inversione
della direzione, la decisione non sarebbe comunicata dal popolo ai “portavoce”
ma, viceversa, dai “portavoce” al popolo al quale viene chiesto, nel frattempo,
di aspettare, in religioso silenzio, quali saranno le istruzioni.
Appartengo ad un progetto politico, quello di Autodeterminatzione, che all’unanimità, dentro i propri organismi dove sono rappresentate tutte le sue componenti e tutti i territori, ha scelto il suo candidato presidente nella persona di Andrea Murgia. Un’ unanimità qualificante, frutto di confronto democratico che ha portato a quella che io ritengo la scelta migliore.
Non avrei niente da dire sull’inversione ad U del Movimento
se non fosse che ho ancora nelle orecchie la spavalderia di quegli attivisti
stellati che ci tacciavano di verticismo e chiedevano, con la supponenza di
crede di essere il migliore, chi avesse deciso. Io non so, alla fine, quale
corrente del vostro partito avrà la meglio. Non so se davvero preverranno
coloro che, non solo escludono la possibilità di candidare il primo dei non
eletti dopo Puddu, ma escludono anche la possibilità di nuove primarie.
Ma se così fosse, avrei da chiedervi una cosa: quando vi
comunicheranno il nome del vostro candidato chiedetevi la voce di chi stanno
portando quelli che avete il vezzo di chiamare “portavoce” e scoprirete che
stanno portando non la vostra ma la loro. Potreste allora anche valutare di
chiamarli dirigenti, come in ogni partito, che non c’è vergogna nel linguaggio
della politica. Basta farla onestamente e con chiarezza. Basta mostrarsi come
si è. Cordialità.
Di
Lucia Chessa.
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