giovedì 20 febbraio 2020

La scuola formerà dei ragazzi più responsabili sull’ambiente? Di Maurizio Onnis




Domani parlerò a questo convegno. E siccome avremo davanti una platea d’insegnanti in formazione, non tratterò di metano ed enti locali (come da invito degli organizzatori), ma di educazione ambientale e testi scolastici. Per raccontare una cosa molto semplice.

Nonostante ciò che si potrebbe credere, negli ultimi quindici anni lo spazio dedicato alle questioni ambientali nei testi di geografica ed educazione civica di medie e superiori è rimasto pressoché invariato. Alcuni argomenti sono spariti: ad esempio, il Protocollo di Kyoto (morto con tutte le sue promesse). Altri sono sempre lì: dalla definizione di “sviluppo sostenibile”, in auge fin dai primi anni Novanta, all’elenco dei comportamenti virtuosi che ciascuno di noi dovrebbe praticare perché la specie non soccomba.

 Altri ancora sono nuovi di zecca: di recente, va forte parlare dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dell’Earth Overshoot Day. Sono molto cresciuti gli strumenti multimediali e la didattica: compiti di realtà, classe capovolta, alternanza scuola/lavoro e altro. Ma insomma, la sostanza è quella. Era già tutto scritto molti anni fa.

La domanda che porrò agli insegnanti, allora, è la seguente: quanto serve fare educazione ambientale a scuola? I risultati sono proporzionati allo sforzo? Verrebbe da rispondere di sì, pensando alla fiammata protestataria innescata dai ragazzi nell’ultimo anno. Ma io sarei prudente. Perché la domanda è in realtà più ampia: la scuola sta davvero dando un contributo a fare di questi ragazzi degli adulti più responsabili in campo ambientale di quanto siamo stati noi?

Di Maurizio Onnis

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