venerdì 29 novembre 2019

L’uso strumentale delle istituzioni Pubbliche. Di Lucia Chessa.


Chi è quel leghista che ha pensato di poter utilizzare il parlamento come teatro massimo dove mettere in scena la sua personalissima vicenda sentimentale? Quanto è fuori luogo e fuori misura scegliere un dibattito alla Camera dei deputati come cornice per una proposta di matrimonio, con tanto di anello prelevato a sorpresa da sotto il banco, ed esibito a lei che stava in tribuna e all’Italia tutta? Non so.Pur non essendo io particolarmente formalista, sento una forte e pesante carica di arroganza in questa onorevole goliardia che francamente farei fatica ad accettare e immaginare persino partorita dalla testa di un adolescente senza pensiero. E non è la pacchianeria esibizionista che mi disturba e mi offende. Non è neanche la grezzeria spensierata di un tizio di poco valore che siede li chi sa per quale avventura.


Per me, quell’esibizione provocatoria e cafonesca offende molto perché suona più o meno così:” Faccio quello che mi pare, dove e quando voglio: al bar, alla stazione, nella cucina di casa mia, nella stradina dietro casa, nella mia camera da letto, nel Parlamento d’Italia perché tanto, poca differenza c'è". Insomma, solo un modo molto più cafone (ma ognuno fa quello che può) di dire, con le dovute proporzioni e le rispettive capacità: “Lo Stato sono Io”. Come faceva il Re sole in Francia, tre secoli fa, prima che arrivassero i francesi a tagliare la testa ai Re.

Non molto tempo fa, dei miei studenti, con l’intento di festeggiare il compleanno di una compagna di classe, si sono presentati a scuola con un grande 18. Un enorme 18 bene infiocchettato, vivacissimo e coloratissimo, grande quanto un armadietto che, entrando in alula alla prima ora, ho trovato ben posizionato sul banco della festeggiata. 

Sono ragazzi allegri, educati, che avevano avuto un bel pensiero per la loro compagna. Non so se ho sbagliato, ma non ho assecondato la festa. Ho fatto gli auguri e ho chiesto che quel grande 18 fosse portato in bidelleria è così è stato, senza storie e senza proteste. Non hanno avuto neanche bisogno di molte spiegazioni, quei ragazzi, per capire che: un conto è lo spazio privato un conto è quello pubblico.

Un conto è la festa un altro è il lavoro. Un conto è casa nostra, un altro è un’istituzione che è di tutti e in nessun modo può essere utilizzata per fatti personali. Ecco. Quel tizio leghista che siede nel nostro parlamento, non ha capito ancora questa differenza elementare che è, invece, una condizione indispensabile per qualunque cittadino, qualunque dipendente pubblico e, a maggior ragione, per chiunque abbia un ruolo istituzionale. Questo non ha capito, alla sua età e nel suo ruolo, ciò che è chiarissimo anche a 25 ragazzi di una classe IV della scuola dove lavoro io. Dovrebbe ritirarsi.

Di Lucia Chessa




Scuola come luogo per imparare a ragionare. Di Toto Dessopiu.



Cosa ci ha lasciato la nostra scuola?, la capacità di giocare. Giocare anche con le parole, dando loro il peso che meritano, collocando i gesti e l'importanza delle cose. Ci siamo trovati, cercati, ritrovati, siamo veramente figli di quelle aggregazioni. Per alcuni eravamo allora "moderati terroristi", moderazione ereditata dalle famiglie, terroristi per le idee coltivate.

La scuola, tanto vituperata da quelli che dicono "lavurà, lavurà" per creare un proletariato sottomesso e ignorante, è strumento rivoluzionario. Le mie conoscenze della didattica, le amicizie fatte nel corpo insegnante, hanno dimostrato nel tempo l'importanza della conoscenza, sapere è veramente potere. La dedizione di chi insegna o ha insegnato ha prodotto e produce frutti avvelenati per i politici da slogan estemporaneo.

Dalla scolastica al materialismo storico, dall'illuminismo alle teorie post liberali, i mutamenti linguistici ed il loro collocarsi nella dinamica storica, per regalarci il gusto di pensare autonomamente. Negli anni del liceo esistevano i collettivi, l'autocoscienza, un nuovo rapporto con le ragazze-donne, siamo gli orgogliosi testimoni del tempo.

Ognuno con una strada, diversa caso per caso, senza mai cadere nei luoghi comuni della propaganda, analizzandola e spezzettando il significato per ricostruire l'intero discorso. Mai manichei, la scuola è stata ed è agorà in cui ascoltando si propone e ci si propone per una vita migliore. Una consapevolezza accresciuta ci porta a continuare l'indagine conoscitiva, a creare i presupposti per la rinascita, ad esserci.

Di Toto Dessopiu.


Il massacro lungo il Sand Creek



"Si son presi il nostro cuore
sotto una coperta scura
Sotto una luna morta piccola
dormivamo senza paura.
Fu un generale di vent'anni
Occhi turchini e giacca uguale
Fu un generale di vent'anni
Figlio d'un temporale
Ora I bambini dormono
sul fondo del Sand Creek"
(F. De André)

(29 novembre 1864) Truppe americane attaccano a tradimento un accampamento di circa 600 nativi americani membri delle tribù Cheyenne e Arapaho, situato in un'ansa del fiume Big Sandy Creek (oggi nella Contea di Kiowa nella parte orientale dello Stato del Colorado). Il reggimento era formato da 700 soldati della milizia statale comandati dal colonnello John Chivington, a dispetto dei vari trattati di pace firmati dai capi tribù locali con il governo statunitense.

Visto lo scarso numero di guerrieri armati e capaci di difendersi presenti nel campo, l'attacco dei soldati si tradusse in un massacro indiscriminato di donne e bambini, con un numero di morti tra i nativi stimato tra le 125 e le 175 vittime (oltre ad altri 24 morti e 52 feriti tra gli stessi militari attaccanti); come riferito da molti testimoni oculari, i corpi dei nativi uccisi furono scalpatie in molti casi ripetutamente mutilati da parte dei soldati.

Proprio in questi giorni i discendenti di quelle tribù ricordano il massacro. Celebrano le loro vittime, ma anche chi, quel giorno, sul fronte degli americani, si rifiutò di compiere un atto di tale vigliaccheria. Infatti, due ufficiali, il capitano Silas Soule e il tenente Joseph Cramer, si rifiutarono di partecipare alla scrittura di una delle pagine più cruente della storia americana.

Durante quel periodo, si pensava ad un accordo tra indiani e soldati del reggimento americano. Un capo cheyenne, Pentola Nera. dietro assicurazione che nulla sarebbe accaduto, obbedì all'ordine di
accamparsi lungo il Sand Creek, poco lontano da Fort Lyon. Alla sua tribù si unì quella degli Arapaho del capo Mano Sinistra. Il giorno dell'attacco, la maggior parte dei maschi adulti dell'accampamento si trovava a decine di chilometri "sulla pista del bisonte". La fiducia nei bianchi era tale che all'alba di quel 29 novembre del 1864 la comunità indiana scambiò il rimbombo del terreno calpestato dagli zoccoli del 3° Reggimento proprio per una mandria di tatanka in rotta di collisione con il villaggio. Quando il pericolo mostrò il suo vero volto, era ormai troppo tardi. E nell'accampamento fu l'inferno.

Il capo Pentola Nera cercò ancora di rassicurare i membri dell’accampamento, dicendo loro che i soldati non avrebbero fatto loro del male. Attese così l'arrivo del 3° Reggimento davanti alla sua tenda, dove aveva piantato una bandiera dell'Unione in cima a un palo. 
Nonostante gli accordi, il colonnello Chivington fece circondare l'accampamento e incurante di quella bandiera diede l'ordine di attaccare. Alla fine, i pochi sopravvissuti conservarono la vita solo perché il 3° Reggimento non era ben addestrato e composto da mercenari ubriachi Nel suo rapporto ufficiale, Chivington scrisse di aver perso 9 uomini. Molti furono vittime del fuoco amico.

Il colonnello Chivington lasciò l'esercito e scampò così al giudizio della Corte Marziale. Ma le sue ambizioni politiche annegarono presto nello sdegno che gli americani provarono nell'ascoltare un giudice dell'esercito affermare formalmente che "Sand Creek era stato un atto di profonda codardia e una strage perpetrata a sangue freddo, un gesto sufficiente a coprire i colpevoli di infamia indelebile, e nel contempo, a suscitare indignazione in tutti gli americani".


Cagliari: sul nuovo stadio il nodo dei soldi pubblici



«Sulle eventuali nuove risorse da destinare allo stadio non si apre e non si chiude: bisogna aspettare». Il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu il giorno dopo il passaggio del piano per Sant'Elia in Consiglio comunale non vuole sbilanciarsi. «Prima di tutto servirà vedere i conti e ragionare su quel che si può fare sempre nel rispetto delle regole».

Nuovi equilibri. La questione economica tuttavia tornerà in Aula molto presto perché è al centro di un ordine del giorno presentato dalla minoranza di cui è primo firmatario Matteo Lecis Cocco Ortu (Pd) con il quale si chiede al sindaco di «non impegnare altre risorse oltre ai dieci milioni già stanziati per la demolizione del vecchio stadio e la progettazione del nuovo».

La richiesta di non destinare altri fondi al progetto viene anche da un esponente della maggioranza, durante la seduta decisiva di mercoledì Aurelio Lai (Udc) ha chiarito: «Ricordiamoci che stiamo spendendo dieci milioni e in questo momento i Comuni non possono permettersi di dare altri soldi alle grosse squadre».

L'ipotesi di dover ritoccare l'accordo economico finanziario firmato tra il club e il Comune non è affatto campata per aria perché la modifica del progetto iniziale e lo spostamento delle aree commerciali all'esterno dell'impianto sportivo potrebbero comportare spese aggiuntive per la società. Insomma, l'equilibrio tra costi e benefici raggiunto con il piano da 76 milioni e 705mila euro potrebbe dover subire qualche ritocco. Nell'attesa che i conti vengano riletti dall'Aula di Palazzo Bacaredda arrivano nuove integrazioni alla delibera appena approvata.

La memoria. Guido Portoghese (Pd) vorrebbe conservare qualcosa del vecchio Sant'Elia per non perdere la memoria della storia rossoblù e propone di «tenere alcuni elementi, ad esempio una delle due forcelle che reggono le tribune del secondo anello». Per far questo spera in un dialogo tra Comune e Cagliari calcio.

Politiche sociali. Dalla minoranza anche la richiesta affinché il sindaco si impegni per valorizzare le politiche di inclusione sociale che «sono fondamentali per perseguire l'obiettivo di ricucire il quartiere Sant'Elia con il resto della città», è scritto nel documento che riporta le parole pronunciate in Aula da Andrea Dettori (Sinistra per Cagliari), Anna Puddu e Francesca Ghirra (Progressisti).

Concerti e altro. Come anticipato durante la dichiarazione in Consiglio, Raffaele Onnis che siede tra i banchi della maggioranza con i Riformatori si augura che la destinazione d'uso dello stadio possa essere ampliata per consentire «l'uso per i grandi eventi dello spettacolo».

Il tavolo. Dal capogruppo sardista Roberto Mura la richiesta di avviare un dialogo con le associazioni di categoria per discutere del nuovo centro commerciale che nascerà a San Bartolomeo. Non solo, in vista dell'abbattimento di viale Ferrara, Mura spera che il Comune metta a punto un piano di viabilità alternativa per evitare che i residenti restino imprigionati nel cantiere.

Mariella Careddu
Articolo tratto da L’Unione Sarda del 29.11.2019


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Federico Marini
skype: federico1970ca


giovedì 28 novembre 2019

17 Gennaio. Shakespeare, Molière e gli altri



Organizzato da Batisfera Teatro
Venerdì 17 Gennaio 2020 dalle ore 20:00 alle ore 22:00

Ex Art – Spazio Culturale Polivalente
Piazza G. M. Dettori 9, Cagliari
Organizzato da Batisfera Teatro
Shakespeare, Molière e gli altri...
Lezioni di teatro in teoria e pratica


Il teatro da secoli cerca nuovi modi per raccontare sulle assi del palcoscenico la contemporaneità. Esistono dei testi il cui valore rimane immutato negli anni e con i quali generazioni di attori e teatranti si sono confrontati. Amleto, Medea, Don Giovanni… sono personaggi che hanno ancora la capacità di parlarci, le loro storie rimangono basilari per la drammaturgia mondiale. Il nostro laboratorio ha l’obiettivo di farli conoscere e di usarli come banco di prova per aspiranti attori.



Il laboratorio è organizzato in 5 appuntamenti tematici nei quali si affronteranno 5 capisaldi della drammaturgia mondiale. Ogni incontro prevede una lezione frontale di 2 ore ed una di recitazione il giorno successivo, di 4 ore.


Lezioni frontali
La lezione avrà l’obiettivo di raccontare il testo e la sua genesi. Si avrà modo di conoscere la trama, i personaggi e l’analisi della struttura e dei temi, la tradizione teatrale e alcuni cenni storici. Inoltre si analizzeranno brevemente alcune scene significative. L’incontro sarà impostato in modo da sottolineare alcune potenzialità interpretative ed avrà lo scopo di dare un supporto alla lettura ed allo studio individuale.


Laboratorio di recitazione
Il giorno successivo alla lezione frontale i partecipanti, condotti dal docente, proveranno a lavorare sulle scene più importanti ed a dar corpo e voce al testo. Il lavoro sarà improntato interamente sulle scene e sull’interpretazione individuale dei personaggi principali e fornirà a ciascun partecipante la possibilità di mettersi alla prova ed affrontare il testo direttamente.


Le lezioni frontali si terranno il venerdì dalle 20:00 alle 22:00 e quelle di recitazione il sabato dalle 16:00 alle 20:00.
Chi fosse interessato esclusivamente alle lezioni frontali potrà frequentarle anche solo quelle al costo di 15€ ad incontro.
Chi è intenzionato a frequentare il laboratorio di recitazione, invece, non può prescindere dalla lezione frontale.

Calendario degli incontri e dei testi:

25 - 26 ottobre: Medea, Euripide
8 - 9 novembre: Gli Uccelli, Aristofane
17- 18 gennaio: Amleto, Shakespeare
24 - 25 gennaio: Don Giovanni, Molière
7 - 8 febbraio: Finale di partita, Beckett

A chi è rivolto:
Il laboratorio è aperto a tutti coloro che vogliono conoscere meglio la storia del teatro e a quelli che vogliono cimentarsi con dei personaggi universali.

Frequenza:
Ogni week end è indipendente. È possibile frequentare anche solo le lezioni relative ai testi che si vuole conoscere.

Iscrizione
È necessario iscriversi ad ogni week end, chiamando al 329 6468204 ed effettuando il pagamento entro la settimana del corso.

Dove:
Tutti gli appuntamenti si terranno presso L’Ex Art di piazza Dettori 9 a Cagliari

Orari:
Lezioni frontali venerdì dalle 20 alle 22
Lezioni di recitazione sabato dalle 16 alle 20

Costi
Le lezioni su un singolo testo (frontale e recitazione) costano 40€
Le sole lezioni frontali costano 15€

Docente: Angelo Trofa

Informazioni ed iscrizioni
329 64 68 204

Possibili sviluppi:
Qualora si riscontrasse la frequenza di un gruppo di partecipanti fisso è prevista la possibilità di organizzare una seconda fase laboratoriale con esito scenico tra febbraio e marzo 2020


mercoledì 27 novembre 2019

Le sardine (quelle sarde comprese) Fratelli d’Italia (l’inno italico patriottardo) Procurade de moderare (l’Inno nazionale sardo). Di Francesco Casula.



L’Inno “Fratelli d’Italia”: che piace tanto alle “Sardine” (quelle sarde comprese) è brutto, bellicoso, guerresco, ultraretorico, beceramente patriottardo: esso riassume una “storia” falsa e falsificata. Come peraltro tutta la storia ufficiale – quella propinataci dai testi scolastici ma anche dai Media – segnatamente quella del cosiddetto “Risorgimento” e dell’Unità d’Italia, che si pretende di riassumere nell’Inno di Mameli. Una storia sostanzialmente “ideologica”. Anzi: teologica.

Mi ricorda quella raccontata da Tito Livio nella sua monumentale opera in 50 volumi, intitolata Ab urbe condita. Lo storico latino, è persuaso che quella di Roma fosse una storia provvidenziale, una specie di storia sacra, quella di un popolo eletto dagli dei. Deriva da questa convinzione la più attenta cura a far risaltare tutti gli atti e tutte le circostanze in cui la virtus romana ha rifulso nei suoi protagonisti che assurgono, naturalmente, ad “eroi”. Tutto ciò è chiaramente adombrato anche nel Proemio, dove si insiste sul carattere tutto speciale del dominio romano, provvidenziale e benefico anche per i popoli soggetti. E dunque questi devono assoggettarsi con buona disposizione al suo dominio. Roma infatti, che ha come progenitore Marte e come fondatore Romolo, ha come destino quello di: regere imperio populos e di parcere subiectis et debellare superbos. (Perdonare chi si sottomette ma distruggere, sterminare chi resiste).

Mutatis mutandis, la storia “risorgimentale” ci viene raccontata con gli stessi parametri, storici e storiografici liviani: anche l’Unità d’Italia, sia pure in una versione laica, è “sacra”, in quanto un diritto inalienabile della “nazione italiana”, in qualche modo in mente dei da sempre. Ricordo a questo proposito Benigni quando il 17 febbraio del 2011, a San Remo, sul “palco dell’Ariston”, irrompe negli studi televisivi, su un cavallo bianco. Per impartirci, commentando l’Inno “Fratelli d’Italia”, una incredibile lezione di storia ideologica. Facendo risalire la “Nazione Italiana” addirittura a Dante. Una vera e propria falsificazione storica: il poeta fiorentino infatti combatteva le particolarità territoriali e “nazionali” e sosteneva con forza l’impero che lui chiamava “Monarchia universale”.

Ma nella sua esegesi dell’Inno il comico fiorentino si spinge oltre nella falsificazione storica: la “nazione” italiana deriverebbe non solo dagli Scipioni e da Dante ma persino dai combattenti della Lega lombarda, dai Vespri siciliani, da Francesco Ferrucci, morto nel 1530 nella difesa di Firenze; da Balilla, ragazzino che nel 1746 avvia una rivolta a Genova contro gli austriaci. Sciocchezze sesquipedali. Machines e tontesas.

Ha scritto a questo proposito Alberto Mario Banti grande studioso del Risorgimento su Il Manifesto de 26 febbraio 2011: ”Francamente non lo sapevo. Cioè non sapevo che tutte queste persone, che ritenevo avessero combattuto per tutt’altri motivi, in realtà avessero combattuto già per la costruzione della nazione italiana. Pensavo che questa fosse la versione distorta della storia nazionale offerta dai leader e dagli intellettuali nazionalisti dell’Ottocento. E che un secolo di ricerca storica avesse mostrato l’infondatezza di tale pretesa. E invece, vedi un po’ che si va a scoprire in una sola serata televisiva.

Ma c’è dell’altro. Abbiamo scoperto che tutti questi «italiani» erano buoni, sfruttati e oppressi da stranieri violenti, selvaggi e stupratori, stranieri che di volta in volta erano tedeschi, francesi, austriaci o spagnoli”. Ma tant’è: la “versione” di Benigni allora commosse il pubblico televisivo italiano e ancora oggi viene circuitata e spacciata come verità storica. Con relativo contorno di eroi e di protagonisti risorgimentali che, per rimanere in casa nostra, campeggiano ancora nelle Vie e Piazze sarde. Ignominiosamente. Perché si tratta di quelli stessi personaggi che hanno sfruttato e represso in modo brutale i Sardi. Ad iniziare dai tiranni sabaudi.

Per noi Sardi l’Inno nazionale è e deve essere “Procurade de moderare”. Non perché tale l’ha dichiarato e stabilito il Consiglio regionale della Sardegna. Ma perché più istruttivo e attuale. Con i barones moderni che stanno diventando sempre più prepotenti. E’ un Inno che ripercorre le vicende di un momento cruciale della storia della Sardegna contemporanea: il periodo del triennio rivoluzionario sardo (1793-96), che la ricerca storica più recente indica come l’alba della Sardegna contemporanea: anni drammatici, di profondissimi sconvolgimenti e di grandi speranze in cui il popolo sardo, oppresso da un intollerabile regime feudale, riuscì a esprimere in modo corale le sue rivendicazioni di autonomia politica e di riforma sociale.

Si tratta di un canto vigoroso e incisivo, dalle strofe tambureggianti, quasi a scuotere la sonnolenza dei Sardi. Sotto il profilo linguistico, esso si articola su due livelli, uno alto e uno popolare: ma non è sardo solo nella lingua, ma anche nel repertorio concettuale e simbolico che utilizza. Infatti, anche se, rappresenta un esplicito veicolo di cultura democratica d’oltralpe, è un primo esempio di discorso altrui divenuto autenticamente discorso sardo.

Di Francesco Casula
Storico, autore, tra gli altri, de “I Savoia e i tiranni sabaudi”

07 Dicembre. 6000 Sardine Cagliari



Organizzato da 6000 sardine
Sabato 07 Dicembre 2019
dalle ore 19:00 alle ore 19:30

Cagliari

Usciamo dalla rete: Cagliari si sLega

Non è la paura di un pericolo imminente che ci porta in piazza a stare stretti come sardine. È la necessità di ritrovarci per riconoscerci nei valori della pace, dell'ambiente, dell'accoglienza, della solidarietà, dei diritti, della libertà e della giustizia sociale.

Contro la politica urlata che alimenta odio, divisione, sfiducia e astensione. In un mondo in cui gli interessi della conservazione delle rendite di posizione hanno narcotizzato la nostra vitalità, la nostra voglia di indignarci e impegnarci, vogliamo ricostruire fiducia e rivendicare il senso stesso del fare politica come servizio a partire dalla partecipazione di ognuno di noi come persone, senza bandiere, a prescindere dall'appartenenza a partiti e associazioni.

Usciamo dalla rete! Ci vediamo in Piazza Garibaldi, sabato 7 dicembre alle 19:00 con tante sardine con cui colorare la marea nera che attraversa l'Italia e la Sardegna perché:

1. I NUMERI valgono più della propaganda e delle fake news, per questo dobbiamo essere in tanti e far sapere alle persone che la pensano come noi che esistiamo;

2. È possibile cambiare l’inerzia di una retorica populista. Come? Utilizzando arte, BELLEZZA, non violenza, creatività e ascolto;

3. La testa viene prima della pancia, o meglio, le EMOZIONI vanno allineate al pensiero critico;

4. Le PERSONE vengono prima degli account social. Perché? Perché sappiamo di essere persone reali, con facoltà di pensiero e azione. La piazza è parte del mondo reale ed è lì che vogliamo tornare;

5. Protagonista è la piazza, non gli organizzatori. Crediamo nella PARTECIPAZIONE;

6. Nessuna bandiera, nessun insulto, nessuna violenza. Siamo INCLUSIVI;

7. Non siamo soli ma parte di RELAZIONI UMANE. Mettiamoci in rete;

8. Siamo vulnerabili e accettiamo la commozione nello spettro delle emozioni possibili, nonché necessarie. Siamo EMPATICI;

9. Le azioni mosse da interessi sono rispettabili, quelle fondate su gratuità e generosità degne di ammirazione. Riconoscere negli
occhi degli altri, in una piazza, i propri valori, è un fatto intimo ma Rivoluzionario;

10. Se cambio io, non per questo cambia il mondo, ma qualcosa comincia a cambiare. Occorrono SPERANZA e CORAGGIO
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“Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza.” A. Gramsci, 1919.


«Stadio, spero sia la giornata giusta»



«Mi auguro che sia la giornata giusta».
Mario Passetti, 42 anni, direttore generale del Cagliari calcio, potrebbe essere a Palazzo Bacaredda quando oggi alle 18 inizierà il dibattito sul piano per Sant'Elia.

Tutta la città aspetta il nuovo stadio. Da uno a dieci, quanta fretta avete?
«Undici, come la nostra maglia più importante di sempre..»

Cosa si aspetta dal dibattito in aula?
«Il piano arriva dopo un lungo e laborioso lavoro da parte della commissione Urbanistica, partito con la precedente amministrazione e proseguito con quella attuale. Auspico che si arrivi alla sintesi di questi grandi sforzi attraverso un voto positivo a beneficio di tutti i tifosi e di tutti i sardi».

Ci sono già sei emendamenti. Quando pensa che verrà approvato?
«Penso e mi auguro che oggi sia la giornata giusta».

Riuscirete a posare la prima pietra nel 2020, anno del centenario?
«Dopo l'adozione del piano guida in Consiglio comunale, ci saranno 60 giorni per l'approvazione definitiva. Trascorso questo periodo il Cagliari calcio potrà iniziare la progettazione definitivo-esecutiva. Se questi tempi verranno rispettati, la società sarà virtuosa nel completare quel processo insieme ai suoi progettisti entro la fine del campionato in corso e poterlo presentare alla conferenza dei servizi, che entro la fine del 2020 dovrà dichiarare la pubblica utilità. Partirà quindi la fase del bando di gara e chi se la aggiudicherà inizierà nel 2021 i lavori di demolizione e costruzione».

Quindi la prima pietra non verrà posata nell'anno del centenario?
«Esatto».

Sperava che il passaggio in commissione Urbanistica fosse più snello?
«In progetti così complessi e così importanti sarebbe sempre auspicabile ridurre al minimo indispensabile i tempi. Credo tuttavia che le analisi supplementari siano state necessarie per arrivare al voto di oggi».

Ha visto le varianti rispetto al piano approvato un anno fa?
«Sì».

Cosa ne pensa?
«Nell'ultima versione del piano guida approvato dalla commissione Urbanistica è ipotizzato che gli spazi complementari originariamente inseriti all'interno dello stadio vengano posizionati all'esterno (per intenderci, nelle aree attualmente occupate dalla Sardegna Arena). Questa soluzione è stata pensata dai dirigenti del Comune per consentire un migliore sviluppo della città e, in particolare, del rapporto di integrazione con il quartiere».

Cosa cambia per il Cagliari calcio?
«La nostra squadra di lavoro, guidata da Stefano Signorelli, ha recepito queste modifiche ed è pronta a lavorare di conseguenza con i progettisti».

Sarà meglio o peggio?
«Lo strumento legislativo adottato dal Cagliari è la “legge sugli impianti sportivi”, che impone che il piano economico finanziario dimostri la sostenibilità economica dell'iniziativa. Ogni modifica del progetto che comporti maggiori costi impatta sulle condizioni di equilibrio del piano economico-finanziario. È evidente che la soluzione prevista nell'ultimo piano guida comporti degli investimenti aggiuntivi sul progetto e la relativa realizzazione a carico del Cagliari calcio. È quindi fondamentale recuperare nuove forme di redditività che rendano il progetto sostenibile economicamente e finanziariamente e che compensino i maggiori costi di costruzione dovuti allo spostamento degli spazi complementari all'esterno».

Dunque, meglio o peggio?
«Da un punto di vista funzionale probabilmente meglio, dal punto di vista economico c'è un aggravio di costi, dunque peggio».

Quali saranno i benefici per i cagliaritani?
«Credo che l'obiettivo del Comune sia stato quello di favorire, col nuovo piano guida, una migliore integrazione del quartiere Sant'Elia rispetto allo sviluppo urbanistico previsto».

Il progetto prevede la collaborazione tra pubblico e privato, cosa
farete oltre allo stadio?
«Il Cagliari realizzerà quanto previsto dal nuovo piano guida nelle aree di propria competenza, ad esempio la piazza che collega lo stadio agli spazi complementari all'interno di tali aree. Scenario interessante al quale ci si può ispirare è quello di Bologna, in cui il Comune si è impegnato a finanziare il nuovo progetto-stadio per una cifra pari a 30 milioni di euro per contenere l'estensione degli spazi commerciali. In maniera analoga, successivamente al voto positivo in Consiglio, il Comune di Cagliari potrà altresì decidere di incrementare il contributo ad oggi previsto di 10 milioni».

Costruirete voi i negozi e i ristoranti nell'area che ora ospita la
Sardegna Arena?
«La costruzione sarà eseguita da chi si aggiudicherà il bando di gara».

Se vincerete voi, chi li gestirà?
«È opportuno ricordare che l'obiettivo del Cagliari calcio è far realizzare, il prima possibile, il nuovo stadio: tutte le opere accessorie, come l'hotel o gli spazi complementari, sono strumenti indispensabili per garantire la sostenibilità economica del progetto. Al Cagliari non interessa gestire quegli spazi, infatti si cercheranno degli operatori del settore interessati a curarne la conduzione».

Chi realizzerà i nuovi parcheggi inseriti nel piano guida del quartiere?
«È una tematica che verrà approfondita nel corso della progettazione definitiva».

Il progetto prevede la possibilità di costruire due hotel vicinissimi al terreno di gioco. Uno sarà del Cagliari calcio, l'altro?
«Il secondo hotel rientra in un'area comunale e non nel perimetro oggetto della concessione per la realizzazione dello stadio. Sarà quindi il Comune a definire il piano che riterrà più opportuno».

Al cantiere dello stadio è indispensabile la nuova viabilità di cui si occuperà il Comune, teme ritardi?
«Dalle nostre analisi non ci risulta sia indispensabile modificare la viabilità per permettere la normale fruizione del nuovo stadio. È probabile che il Comune valuti delle modifiche destinate alla viabilità del quartiere».

Cagliari avrà uno stadio che molte città italiane invidieranno.
«Dovrà diventare un modello di riferimento. La nostra ambizione è riuscire a realizzare uno stadio sostenibile, pensato per i nostri tifosi, con forte connotazione di sardità, legato al territorio e ai suoi valori e soprattutto con caratteristiche di profonda innovazione tecnologica».

A quando la festa per la nuova casa rossoblù?
«Il nuovo piano prevede che la prima fase sia dedicata alla demolizione dell'attuale stadio Sant'Elia e alla realizzazione del nuovo impianto. Solo dopo avere inaugurato il nuovo stadio partirà la seconda fase con lo smantellamento della Sardegna Arena e la costruzione degli spazi complementari esterni previsti nel progetto. Spero di avere chiarito una volta per tutte che l'ipotesi che il Cagliari possa dover emigrare in altri stadi della Penisola durante e a causa dei lavori - come recentemente paventata da qualcuno – sia priva di alcun fondamento».

Conserverà una pietra del vecchio Sant'Elia?
«Questo è sicuro, magari un pezzo di quel muretto che scavalcai il 6 giugno 1993 quando ci qualificammo per la coppa Uefa».

Mariella Careddu
Articolo tratto dall’Unione Sarda del 27 Novembre 2019
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Federico Marini
skype: federico1970ca