martedì 8 gennaio 2019

Il grande Monzon: il pugile dalla vita spericolata. Di Vincenzo Maria D'Ascanio




(08 gennaio 1995) Muore in un incidente d'auto il pugile argentino Carlos Monzon, più volte campione del mondo. Viso da indio, povero di famiglia e scampato al tifo, cattivo perchè così l'avevano reso gli anni trascorsi sulla strada, sul ring mandava ko i suoi avversari, mentre fuori, a parte i periodi in cui si preparava a un incontro, viveva quasi sempre sull'orlo del precipizio, tra gloria e scandali amorosi.

Cominciò a frequentare la palestra e subito dopo si diede anima e corpo alla boxe perchè aveva capito che i suoi potenti pugni potevano dargli la gloria, e fargli dimenticare le notti trascorse a dormire in terra, perchè a casa non aveva nemmeno il letto. Così vinse la miseria, con celebri vittorie come quelle contro Nino Benvenuti, Valdez, Griffith, Tonna, Briscoe, Napoles e Bouttier.

Viene avviato alla boxe da Amilcar Brusa, l'uomo che rimarrà sempre al suo fianco in tutte le sue celebri imprese. Dopo circa settanta incontri vinti fra i dilettanti, nel 1963 passa al professionismo; la sua prima borsa è di 3000 pesos, che corrispondono al guadagno di trent’anni di lavoro del padre.

Subisce solo tre sconfitte nella sua carriera, ai punti, con avversari che in seguito avrebbe poi battuto in incontri di rivincita. Dotato di una notevole altezza, 184 cm, per la sua categoria - pesi medi (72,574 kg), essenzialmente non aveva punti deboli.

Pur non avendo grande tecnica, è essenziale, completo, con un fisico d'acciaio, un pugno pesante e preciso accompagnato da un notevole allungo. La sua grande specialità è quella di reggere i colpi dei suoi avversari. Caratteristiche che fanno di lui un pugile freddo, tranquillo, determinato, sempre padrone della situazione, spietato con gli avversari.

Disputa il primo incontro da professionista il 6 febbraio 1963, battendo Ramón Montenegro alla seconda ripresa, ed arriva da semisconosciuto alla sfida per la corona mondiale dei pesi medi contro Nino Benvenuti il 7 novembre 1970 a Roma.

In dodici riprese Monzón si rivela pugile completo ed essenziale; Benvenuti è la prima vittima illustre del suo terribile destro. L'8 maggio del 1971, a Montecarlo si disputa la rivincita e questa volta solo il lancio della spugna salva Benvenuti dai colpi impietosi dell'argentino.

Nella sua turbolenta esistenza Monzon conquistò donne come Ursula Andress, Nathalie Delon e Susana Gimenez. Tutto fino al tragico schianto finale mentre tornava in auto verso il carcere di Las Flores dove scontava una condanna a 11 anni, frutto della sua vita spericolata e dissoluta dopo il suo ritiro: abuso d’alcol, coca e pistole, violenza su uomini e donne fino a gettare giù da un balcone Alicia Muniz, altra bellissima donna e madre di uno dei suoi figli, con la quale i litigi si erano fatti sempre più frequenti.

L'8 gennaio del 1995 gli fu fatale un permesso di libera uscita e, anche in quella circostanza, la voglia di interpretare l'esistenza da eroe maledetto: quando andò a schiantarsi era lui al volante, e guidava ad oltre 140 all'ora in una strada dove il limite era di 70. L'Argentina lo pianse come si piangono gli eroi, come gli argentini amano i loro eroi, come in seguito ameranno Diego Armando Maradona, non certo per la sua vita ma piuttosto perchè gli eroi fanno sognare. Lo ricordarono, infatti, con uno striscione rimasto sul luogo della morte per anni: «Anche se è morta una stella, la sua luce brillerà sempre». La International Boxing Hall of Fame lo ha riconosciuto fra i più grandi pugili di ogni tempo.




Vincenzo Maria D’Ascanio


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