La Letteratura sarda Esiste e sempre è esistita una
letteratura sarda che risulta autonoma, distinta e diversa dalle altre
letterature. E dunque non una sezione di quella italiana: magari gerarchicamente
inferiore. Nasce anche da qui l’esigenza di un’autonoma trattazione delle
vicende letterarie sarde: ad iniziare da quelle scritte in lingua sarda. Da considerare non “dialettali” ma
autonome, nazionali sarde, vale a dire. Dalle origini del volgare sardo fino a
oggi, non vi è stato periodo nel quale la lingua sarda non abbia avuto una
produzione letteraria.
Certo, qualcuno potrebbe obiettare, che essa, rispetto ad
altre lingue romanze, ha prodotto pochi frutti: può darsi, ma – dato e non concesso
– si poteva pensare che un cavallo per troppo tempo tenuto a freno, legato e
imbrigliato potesse correre?
La lingua sarda, dopo
essere stata lingua curiale e cancelleresca nei secoli XI e XII, lingua dei
Condaghi e della Carta De Logu, con la perdita dell’indipendenza giudicale,
viene infatti ridotta al rango di dialetto paesano, frammentata ed emarginata, cui si
sovrapporranno prima i linguaggi italiani di Pisa e Genova e poi il catalano e
il castigliano e infine di nuovo l’italiano.
Ma anche prescindendo dal
codice linguistico usato – molti hanno scritto appunto in catalano, in
castigliano e in Italiano – pare difficile non ritrovare in tale produzione
letteraria, una specifica e particolare sensibilità locale, “una appartenenza
totale alla cultura sarda, separata e distinta da quella italiana” diversa dunque e “irrimediabilmente
altra” come scrive il critico sardo Giuseppe Marci: pur senza escludere tratti
di assimilazione e di integrazione e pur in presenza di “imitatori” di
movimenti e stili d’oltre tirreno e non solo. Pensiamo – per esempio – a due
“grandi” del Primo Novecento: Sebastiano Satta e Grazia Deledda.
Il primo vanta robuste ascendenze carducciane e pascoliane;
la seconda è copiosamente influenzata sia dal Verismo oltrechè dai romanzieri russi
di fine ottocento: eppure ambedue sono soprattutto i cantori della “sardità” e
pongono al centro della loro scrittura la Sardegna e i Sardi.
Ma anche quando la
Sardegna non è “protagonista” – pensiamo a “Un anno sull’altipiano” e “Marcia
su Roma e dintorni” – emerge comunque l’identità etno-nazionale sarda. Nel caso di Lussu, è evidente nella
sua scrittura che, come ha sostenuto autorevolmente il linguista sardo Leonardo
Sole, si incardina nella cultura orale e in particolare perfino nel ritmo
narrativo della fiaba sarda: fortemente ritmizzata e caratterizzata da un giro
di parole essenziale e rapido.
Riferendosi in modo particolare al romanzo sardo, Nereide
Rudas, una degli intellettuali sardi più lucidi e colti scrive nel suggestivo e
brillante saggio l’Isola dei coralli: ”il romanzo sardo pur collocandosi
all’interno dell’universo linguistico e culturale italiano, se ne discosta per
molti aspetti. Leggendo le opere di Grazia Deledda, di salvatore Satta, di
Emilio Lussu e, a ben guardare anche di Antonio Gramsci, cogliamo subito una
specificità e una diversità. Confrontate con le altre opere letterarie italiane
esse ci appaiono in un certo senso omogenee fra loro e nel contempo
“irrimediabilmente altre”.
Di
Francesco Casula.
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