La prima lingua della poesia è la lingua materna, il
dantesco “parlar materno”. Una lingua abitata anzitutto dai silenzi che stanno
all’ombra delle sillabe e nel cuore stesso delle vocali. Una lingua abitata da
una voce: segreta tessitura che resisterà sotto ogni futura pronuncia del
poeta, come risonanza di un timbro, di una presenza. Holderlin, a proposito
della formazione del poeta ricordava questa muta pedagogia materna. La lingua
materna è, per l’infante, soprattutto lingua di vocali: dunque aerea, leggera,
impalpabile. E le vocali sono per il poeta l’anima della lingua. Sono il nesso
tra lingua e il canto. Tra la poesia e il vento.
L’elemento per il poeta è
anche la terra. La terra considerata nel suo cerchio di necessità e bellezza:
situarsi in questo cerchio, con lo sguardo e la passione di chi vuole conoscere
e preservare e non offendere o distruggere, è sempre stato da sempre uno dei
compiti della poesia. Nella lingua della
poesia coesistono, dunque, la lingua materna – corporale, vocalica, leggera – e
la lingua che il poeta ha scelto per la sua scrittura. Questa lingua scelta è
sempre in un certo senso straniera, anche quando essa è la lingua del proprio
paese: è straniera in quanto altra dalla lingua materna.
Per alcuni poeti
tuttavia, questa lingua è straniera in senso stretto: l’esilio, la migrazione,
il dominio coloniale o mercantile o, qualche volta una scelta personale
dislocano il poeta fuori dalla lingua della propria comunità di appartenenza. Ma tutti i lettori di poesia sanno
che c’è qualcosa che trascorre sotto la lingua dei versi, al di là della sua
pronuncia e delle sue parole linguisticamente definite. C’è qualcosa che
trascorre sotto la molteplicità delle lingue. Ed è questa sostanza nascosta
sotto la lingua – senso e insieme oltresenso, musica e ritmo – che permette
alla traduzione, quando riesca ad essere una buona traduzione, di sperimentare
una sorprendente e miracolosa contraddizione: togliere al poeta
quello che ha di più proprio, cioè la sua lingua e tuttavia riuscire a
preservare l'energia e il timbro e la singolarità della sua poesia.
Quel che qui si dice della poesia, certo, è in gran parte
estensibile ad altre forme del fare letterario come la narrazione o il teatro.
Ma nella poesia questo movimento fra le lingue e questa sostanza che sottende
ogni lingua appaiono in tutte le implicazioni –estetiche e antropologiche – e
in modo trasparente
Del professore Francesco Casula.
Nella foto Antioco Casula (detto Montanaru), poeta di Desulo.
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