Ines
Pisano, l'amarezza dopo l'addio «Una governatrice solo fra trent'anni» La
magistrata: non c'è spazio per le donne in politica
«Sì, sì, sì». Lo ripete tre volte,
Ines Pisano, unica donna tra otto aspiranti a governatore della Sardegna che ha
annunciato il ritiro. «Sarei rimasta, sarei andata avanti se solo quel giorno a
Cagliari avessi avuto almeno un sostegno dalle donne che erano in sala. Invece niente.
Venivo fischiata e nessuna che si sia alzata per dire a quelle persone
smettetela, finitela...».
È davvero
bastato così poco?
«Quell'episodio è stato per me il
campanello d'allarme di una situazione nella quale non potevo in nessun modo
competere. Oggi la politica è ancora lo spazio degli uomini, dove si promettono
risultati a prescindere, anzi ben sapendo che magari non sono ottenibili. Non è
ancora il tempo per una governatrice in Sardegna. Lo sarà magari fra 20, 30
anni. Oggi non ancora».
Durante tutta l'intervista, Ines
Pisano - 48 anni, di Bosa, magistrato del Tar del Lazio, casa e famiglia a Roma
e viaggi frequenti in Sardegna - rievoca più volte «quel giorno» a Cagliari. Il
12 gennaio scorso, incontro dei candidati alla presidenza della Regione organizzato
nella chiesa di Santa Restituta dall'Ufficio della pastorale sociale della
diocesi di Cagliari. Disse che i sardi indigenti sono cinque milioni e apriti
cielo: nel tempio sacro si sono scatenati i diavoli.
Com'è
successo che abbia confuso i dati nazionali con quelli della Sardegna?
«Avevo passato la notte precedente a
studiare. Non ho dormito e arrivando stanchissima a quell'appuntamento ho
riportato un dato per un altro. Capita, ma purtroppo...».
Purtroppo?
«Eravamo in un agone dove erano
stati portati i supporter. Erano lì non per ascoltare ma per fischiare. Avevo
Christian Solinas seduto a fianco: ho apprezzato perché ha usato parole molto
carine con me».
La sua è
stata una resa.
«No. Ho deciso sulla base di
elementi di fatto, primo fra tutti l'atteggiamento generale, dei candidati,
della gente, poco propenso ad accettare nuove visioni. L'ho visto anche coi
miei sostenitori: si è abituati a ragionare ancora in termini di appartenenze
politiche. Lo fanno anche le liste civiche».
La sua
veniva collocata nel centrodestra...
«Mai detto da me. Non amo gli incasellamenti,
tanto valeva che facessi una lista di appoggio al centrodestra o al
centrosinistra».
Le era
stata fatta la proposta?
«Esclusi Lega e 5 Stelle, tutti fino
alla presentazione delle liste mi hanno offerto la candidatura a consigliere.
Tremila voti li avrei trovati in qualunque collocazione. Ma avevo un progetto
per fare qualcosa di utile per la mia terra. Non è stato possibile, e qui vorrei
fare anche un'autocritica...».
Prego...
«Anche nei miei sostenitori non ho
visto lo spirito civico che animava me. Ho sempre detto che non si doveva
parlare di appartenenze politiche e invece nel gruppo che mi appoggiava molti
si sono candidati in liste del centrodestra. Anche la mia capolista».
Circola
la voce di un accordo con Zedda.
«Mi viene da ridere. Io non faccio
accordi perché sono un magistrato e perché nessuno me li ha proposti. Lui mi è
piaciuto perché la sua visione della Sardegna è vicina alla mia, ad esempio
sull'innovazione tecnologica».
Gli ha
fatto gli auguri...
«Li faccio anche agli altri. Paolo
Maninchedda è stato il mio professore, c'è reciproca stima».
Daniela
Forma, donna del Pd, le ha dato il suo sostegno tecnico sollevandola
dall'incombenza della raccolta delle firme...
«Un gesto che ho apprezzato. Nel
centrodestra nessuno l'ha fatto».
Non pensa
che la legge sulla doppia preferenza aiuti le donne?
«È vero che la legge richiede le
liste formate al 50 per cento da uomini e donne, ma trovo sia ancora un
formalismo».
In che
senso?
«Penso alla mia esperienza. Nel
gruppo che mi sosteneva avevamo un 98 per cento di uomini. Le donne che
venivano costantemente alle riunioni erano, oltre me, due. Non dico che sono le
donne a non voler partecipare, forse non partecipano perché è un mondo ancora
al maschile».
La sua
candidatura poteva essere uno scossone...
«Ci vuole anche un elettorato
preparato culturalmente. La gente non è ancora pronta».
Sta
dicendo che le donne non votano le donne?
«Esatto, la mia più grande amarezza
è stata quella di vedere attacchi furibondi nei miei confronti, con appellativi
come “asina” proprio dalle donne, dalle ragazze. Gli uomini non ci votano, ma
noi non siamo pronte a sostenere altre donne».
Piera Serusi
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Federico
Marini
skype:
federico1970ca
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