martedì 3 marzo 2020

FACCIAMO COME A NUORO: Tutte le città e i paesi sardi dedichino una Via, una Piazza, una Scuola a PASKEDDA ZAU. Di Francesco Casula.




Il 26 aprile, una domenica, a Nuoro, Paskedda Zau, vedova, pastora, con 10 figli a carico, in strada, all’uscita della messa, si rivolse alle donne che con lei avevano assistito alla celebrazione. Raggiunta la piazza antistante la chiesa, cominciò a chiamare anche gli altri nuoresi invitandoli alla ribellione.

Che si trasforma in vera e propria rivolta con più di 300 personesoprattutto donne – che assaltano il Municipio, scardinano le porte, asportano i fucili della Guardia nazionale, scaraventano in piazza i mobili e i documenti dello stato civile ma soprattutto i documenti catastali (su papiru bullau) sulle lottizzazioni dei terreni demaniali (dell’Ortobene e di Sa Serra, circa 8 mila ettari), che l’Amministrazione comunale – espressione degli interessi dei printzipales e della borghesia intellettuale e professionale, per lo più massonica – aveva deciso di vendere a famelici possidentes.

Sottraendoli all’uso comunitario di pastori e contadini (che consentiva legnatico ghiandatico e pascolo per le pecore), viepiù ridotti alla miseria: uso che costituiva, per le comunità, un sollievo alla povertà, aggravatasi in seguito alla violenta carestia, che, nel 1866, li aveva colpiti duramente, mettendoli in ginocchio e portandoli sull'orlo della catastrofe.

Scriverà Manlio Brigaglia: ”tutti i documenti comunali, i registri in cui la civiltà scritta dello stato, sopprimeva la civiltà non scritta della comunità, vennero ammucchiati in piazza e bruciatiti”.


La rivolta di Paskedda Zau rappresenta l’epilogo drammatico di rivolte decennali contro la privatizzazione delle terre, volute dai tiranni sabaudi, prima con l’Editto delle Chiudende e poi con l’abolizione dei diritti di ademprivio, con cui si smantellavano di fatto le strutture tradizionali del comunitarismo e le secolari basi materiali che avevano permesso l'accesso popolare alla terra stabilendo un equilibrio sostanziale e reciprocamente vantaggioso tra pastori e contadini.


L'obiettivo era chiaro fin dall'occupazione cartaginese e dal dominio romano: distruggere totalmente la libera comunione delle terre e sostituirla col latifondo. Con l'espulsione dei Sardi dalla loro terra, fu assestato un colpo decisivo a favore dello sviluppo dell'immiserimento della Sardegna.

Di Francesco Casula
Storico e saggista
Autore de “Carlo Felice e i tiranni sabaudi”

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