Pubblichiamo un’intervista all’ex
ministro degli interni Bebbe Pisanu. Sassarese, nella sua lunga carriera ha
visto passare dinanzi a sé politici che hanno fatto la storia della nostra
repubblica, nel bene e nel male. Possiamo trovarci in sintonia, o meno, con le
sue idee ma penso che, ad ogni modo, le sue parole ci
permettano di comprendere non solo il passato, ma anche questo presente politico e sociale,
dove dominano riposte semplicistiche e confusione generalizzata. Per coloro che ne avranno la voglia
ed il tempo, buona lettura.
La
Nuova Sardegna
L'ex
senatore critica Salvini: agisce più da capo leghista che da titolare degli
Interni Sulla Sardegna: l'insularità in Costituzione, serve un'iniziativa forte
in Parlamento «No ai ministri di polizia il sovranismo fa paura»
di Alessandro Pirina
INVIATO AD ALGHERO
Nella Prima repubblica è stato il
capo della segreteria di Zaccagnini, anche durante i giorni drammatici
del sequestro Moro. Nella Seconda ha guidato il Viminale con Berlusconi a
Palazzo Chigi. Nella Terza ha preferito farsi da parte, ma senza perdere di
vista quanto accade nella vita politica italiana. Beppe Pisanu, quasi 40 anni
di fila in Parlamento, rompe il silenzio che ormai dura da diversi anni.
Lo fa in occasione del suo ritorno
in pianta stabile a Sassari. «In realtà io non mi sono mai allontanato, la mia
residenza è sempre stata qui e anche il mio collegio di elezione. Ma stavo
perlopiù a Roma, avendo fatto il parlamentare per 20 anni nella Prima
repubblica e per 19 nella Seconda».
Senatore,
meglio la Prima o la Seconda?
«Sicuramente il periodo che va dal
1975 al 1980 è stato il più ricco e il più doloroso della mia esperienza
politica. Ho avuto la fortuna di fare politica con uomini come Moro e
Zaccagnini nella Dc e con un Parlamento che aveva ancora il meglio della Prima
repubblica tra le sue fila. Penso a Pajetta, Berlinguer, Malagodi. Grandi
personalità che avevano una straordinaria attenzione per noi giovani
parlamentari. Erano allo stesso tempo maestri e sostenitori e avevano una
straordinaria attitudine a guardare al futuro, seppure da posizioni diverse».
Molte di
quelle personalità lei le ha incontrate a Sassari da giovanissimo.
«Io ho iniziato la mia attività con
i Giovani turchi. Sassari era una città molto vivace culturalmente e
politicamente, soprattutto aperta al confronto. Penso a "Ichnusa" che
sotto la guida di Antonio Pigliaru metteva a discutere Manlio Brigaglia, Luigi
Berlinguer, me e tanti altri cattolici. Penso ai venerdì della Fuci, e ad
amministratori comunali estremamente attenti non solo ai problemi cittadini ma
anche dotati di orizzonti più ampi che andavano oltre il territorio. A uomini
politici come Segni, a giovani parlamentari come Cossiga, a deputati come
Berlinguer. Sassari esprimeva una classe dirigente regionale di eccellente
livello e valore anche a livello nazionale. Cito per tutti Paolo Dettori, il
miglior presidente della storia regionale sarda. Ai tempi Sassari aveva leader
che esaltavano la sua attitudine, la sua voglia di crescere».
E
oggi?
«Esattamente 17 anni fa, in occasione
della inaugurazione dell'anno accademico, lanciai un'esortazione: Sassari
svegliati. Ricordo che anche la Nuova aprì un dibattito su queste mie parole.
Io avvertivo che la città stava perdendo terreno in Sardegna non solo rispetto
a Cagliari, ma anche a Olbia, Nuoro. E quando una città perde non è per una
causa sola, ma è perché contemporaneamente vengono meno le condizioni economiche,
sociali, culturali e politiche. Da allora non è cambiato molto...»
Di chi
è la colpa?
«Io non andrei a cercare responsabili,
perché lo siamo tutti: società e istituzioni. Personalmente cercai di fare
qualcosa. Nacquero allora i progetti per la nuova questura, la caserma della
guardia di finanza, il carcere di Bancali, la cittadella giudiziaria, ma non è
bastato per fare crescere la città. Occorrono una società civile più attiva e
più vogliosa di sviluppo e istituzioni capaci di assecondarla».
Cos'è
stato per lei Cossiga?
«È stato sicuramente il leader della
rivoluzione dei Giovani turchi che impresse dal '56 in poi una svolta decisiva
alla vita politica sarda portando alla ribalta una classe dirigente capace di
misurarsi seriamente con quel groviglio di problemi storici, culturali, economici
e sociali che nel loro insieme formavano la questione sarda».
Una
questione ancora oggi aperta.
«I problemi ci sono ancora tutti e
si riassumono nell'insularità, la quale è uno svantaggio naturale che lo Stato
ha il dovere di colmare con adeguati provvedimenti fiscali e tariffari. Cosa
che non è stata mai fatta».
È favorevole
alla introduzione del principio di insularità nella Costituzione?
«Credo di dovere rivendicare il
copyright di questa battaglia. Ne ho parlato per primo una ventina di anni fa,
quando il presidente del Consiglio regionale era Gianmario Selis. Era una riunione
di parlamentari e consiglieri regionali e io proposi la costituzionalizzazione
dell'insularità. Qualche anno dopo provai anche a mettere insieme un gruppo di
sardi e siciliani: era l'unico modo per avere una forza parlamentare capace di
inserire all'ordine del giorno un tema di quella portata, ma i siciliani erano
abbagliati dall'idea del ponte sullo stretto di Messina. Ora spero ci
ripensino. Anche perché se non si crea un blocco parlamentare forte
l'iniziativa non va avanti. I parlamentari sardi sono troppo pochi».
Dopo
due sassaresi al Quirinale ha mai pensato di poter essere il terzo?
«No, ma altri ne hanno parlato. Io
comunque non mi sono mai lasciato suggestionare dalla cosa. La presidenza della
Repubblica è una carica che non bisogna cercare in alcun modo, ma se ti
chiamano devi accettare».
Oggi al
Quirinale c'è Sergio Mattarella.
«Ero amico del fratello Piersanti, ucciso
dalla mafia, e sono anche amico suo. Credo di conoscerlo bene e sono certo che
sarà un custode prudente ma fermo e severo dei valori e dei principi
costituzionali».
Nel
2012 lasciò Forza Italia per Scelta civica. Perché il progetto di Monti è
fallito?
«Io avevo visto la possibilità di
dare vita finalmente a un grande partito liberale di massa di forte ispirazione
europeista che Forza Italia aveva solo vagheggiato. Ma Monti aveva messo
insieme personalità le più disparate, prelevate dalla società civile ma prive
di riferimenti sociali ed esperienza politica adeguati».
Ha più
sentito Berlusconi?
«No, abbiamo mantenuto buoni rapporti
ma senza nessuna frequentazione politica».
Cosa
ha votato il 4 marzo?
«Mi lasci appellare alla segretezza
del voto».
Che
giudizio dà del governo M5s-Lega?
«Non ho le idee molto chiare. Moro
mi ha insegnato a tenere gli occhi aperti sulla realtà e ad ascoltare le voci
che si alzano dalla società civile, prestando attenzione alle cose nuove che
nascono senza indugiare troppo sulle vecchie che muoiono. Da questa posizione io
colgo segnali positivi, come per esempio l'insistenza sulla moralizzazione della
vita pubblica, l'attenzione sull'ambiente e sui punti più controversi come il
reddito di cittadinanza. Ma vedo anche atteggiamenti preoccupanti specialmente
in ordine a questioni decisive come la lotta alle diseguaglianze, la
costruzione europea, l'immigrazione. Insomma, vedo una positiva spinta utopica
non sostenuta però da una adeguata capacità di analisi culturale e di proposta
politica. E contemporaneamente vedo un pericoloso riflusso verso istanze come il sovranismo e
il nazionalismo che in Europa hanno già prodotto due guerre mondiali. Cercare
di applicare vecchie soluzioni a nuovi problemi è un segno di allarmante
inadeguatezza complessiva».
Da ex
titolare del Viminale che idea si è fatto di Salvini?
«Non è elegante da ex ministro
giudicare altri ministri, ma credo che in questo caso le esigenze del leader
politico prevalgano sulla vocazione propria del ministro dell'Interno, che non
è un ministro di polizia, ma un ministro di garanzia dei diritti di libertà e
di cittadinanza. L'aspetto che più mi preoccupa è l'approccio al tema
dell'immigrazione. Questo è il più grande problema sociale del nostro secolo
che va affrontato e risolto a livello internazionale con il coinvolgimento dei
governi dei paesi di origine, transito e arrivo dei flussi migratori. Pertanto,
la competenza specifica dovrebbe essere affidata ai ministri degli Esteri e
degli Affari sociali. Al ministro dell'Interno dovrebbe rimanere l'aspetto
legato alla sicurezza, all'ordine pubblico e ai diritti di cittadinanza».
Di
fronte alla tragedia di Genova il governo ha avuto il giusto atteggiamento?
«Tragedie come questa vanno sempre
valutate non a cuore caldo ma a mente fredda. Non mi pare che almeno fino ad
oggi le risposte politiche siano state all'altezza dei fatti».
Se
fosse ancora attivo in politica quali sarebbero le sue battaglie?
«Cercherei grandi temi unificanti.
Primo tra tutti gli Stati uniti d'Europa. Poi la lotta alle diseguaglianze
sociali e territoriali. E la ridefinizione del ruolo dello Stato nell'economia,
tenendo ben presente la lezione di Keynes».
C'è
qualche politico che oggi apprezza?
«Nel nuovo governo non saprei,
bisogna attenderli alla prova dei fatti. Nel precedente c'erano diverse
personalità che si sono dimostrate all'altezza dei loro compiti. Ma più che
fare affidamento su di loro cercherei di stimolare personalità della società
civile, della ricerca scientifica, della cultura, del volontariato. Lì ci sono
energie ed entusiasmi a cui bisogna offrire occasioni e strumenti per
esprimersi. E poi continuo a confidare negli stimoli che possono venire
dall'unico leader mondiale che oggi l'Italia ospita: Papa Francesco».
A
febbraio la Sardegna torna al voto. Che elezioni saranno?
«Temo che saranno dominate dai due
leader nazionali, Di Maio e Salvini, completamente estranei alla Sardegna e ai
temi essenziali della questione sarda. Temo una campagna elettorale dominata
dalla propaganda e rivolta all'obiettivo successivo delle elezioni europee».
Di
cosa avrebbe bisogno oggi la Sardegna?
«A 70 anni dall'approvazione dello
Statuto si dovrebbe fare un bilancio storico della nostra autonomia e su questa
base individuare la direzione di marcia per il futuro».
Che
pensa di Pigliaru?
«Il mio giudizio è positivo, tanto
più che ha dovuto convivere con una maggioranza disorientata e divisa».
C'è
qualche errore che non rifarebbe?
«Ci vorrebbe un'altra intervista per
elencarli tutti, ma ciononostante ho la coscienza tranquilla».
Politicamente
oggi come si definisce?
Io sono sempre democristiano e
soprattutto moroteo. Ho aderito al gruppo degli amici di Moro non appena si è
creato. E moroteo morirò».
Sono
passati 40 anni dall'omicidio di Aldo Moro: sarà mai fatta piena luce?
«Come tutti i grandi delitti
politici penso che anche il delitto Moro almeno in parte resterà avvolto nel
mistero. Io conosco molte carte, ho letto parecchio della sterminata
pubblicistica sull'argomento e ho i miei ricordi personali e le mie sensazioni.
Tuttavia mi rimangono tanti, troppi interrogativi senza risposta».
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