La civiltà sarda, storicamente, - specie quella
agropastorale - è stata sempre caratterizzata da uno spirito comunitario e da
una diffusa e ubiquitaria presenza di reti sociali e di relazione, con
variegati sistemi e costumi popolari solidaristici e di forte unità: basti
pensare a s’ajudu torrau o a sa paradura: costumanza che colpirà persino un
viaggiatore e visitatore come La Marmora che [in Viaggio in Sardegna di Alberto
Della Marmora, Gianni Trois editore, Cagliari 1955, Prima Parte, Libro primo,
capitolo VII., pagine 207-209] scriverà: "Fra le usanze dei campagnuoli della
Sardegna, alcune sono degne di nota e sembrano risalire all'antichità più
remota: citeremo le seguenti.
Ponidura o paradura. – Quando un pastore ha subito qualche
perdita e vuol rifare il suo gregge, l'usanza gli dà facoltà di fare quel che
si dice la ponidura o paradura. Egli compie nel suo villaggio, e magari in
quelli vicini, una vera questua. Ogni pastore gli dà almeno una bestia giovane,
in modo che il danneggiato mette subito insieme un gregge d'un certo valore,
senza contrarre alcun obbligo, all'infuori di quello di rendere lo stesso servizio
a chi poi lo reclamasse da lui…”)».
Sa paradura, si esprimeva sostanzialmente come atto di
solidarietà collettiva: così il pastore donava una pecora per ricostruire il
gregge di chi era caduto in disgrazia, era vittima di furti o calamità naturali. Essa si rivolgeva, fra gli altri, ai detenuti tornati in libertà: per
re-inserirli a livello sociale e comunitario oltre che a livello lavorativo e
produttivo.
E’ esattamente quello che è successo ieri 18 agosto. Ecco il
fatto. Poco più di un anno fa, i pastori sardi – guidati da Gigi Sanna, uno dei
promotori di quell’iniziativa – erano a Cascia, in Umbria, per portare un
messaggio e un segno tangibile e concreto di vicinanza nei confronti dei loro
colleghi che, a causa del terremoto, avevano perso tutto, donando loro mille
pecore.
E oggi “sa paradura” si ripete con l’arrivo in Sardegna di
50 agnelle nate da quelle pecore: questa volta serviranno ad offrire una
possibilità di ripresa ad alcuni pastori che, per ragioni diverse, hanno perso
il loro gregge. Tra questi c’è anche Matteo Boe, condannato perché
coinvolto in alcuni sequestri e tornato l’anno scorso in libertà dopo aver
trascorso 25 anni in carcere. A lui verrebbero donate 15 agnelle.
Ma ecco scatenarsi sulla Rete, una polemica insulsa e assurda, con insulti, contumelie e improperi rivolti a Boe. Dimenticandosi che oggi lui è semplicemente un uomo libero: avendo pagato per intero per i suoi reati. E che come tale ha tutti i diritti di ricostruirsi una vita. Innanzitutto con il lavoro che ama: facendo il pastore.
Io ho conosciuto Matteo Boe in occasione della presentazione
del mio libro “Carlo Felice e i tiranni sabaudi” a Lula l’anno scorso. Ebbene,
posso assicurare che si tratta di una persona oggi stimabile. Saggia e colta.
Che ha chiuso con il suo passato. E che come Sardi, abbiamo l’interesse a
“recuperare” e reinserire, a
livello economico e produttivo ma soprattutto comunitario, sociale e culturale.
Prof.re Francesco Casula.
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