mercoledì 11 aprile 2018

Rassegna stampa 11 Aprile 2018


La Nuova

Maggioranza, il Pds resta sulle barricate. Il partito di Maninchedda diserta il vertice di oggi. Il Pd Sabatini: coinvolgere segretari e parlamentari

Oggi il vertice di maggioranza ci sarà comunque, con o senza i cinque consiglieri regionali del Partito dei sardi, sempre più decisi a non parteciparvi. Nelle ore della vigilia, molto concitate, lo strappo non è stato ricucito. Anzi, ora è uno squarcio. Lo è diventato dopo che lo stesso Pds ha bloccato di fatto le correzioni volanti per rimettere a posto la legge elettorale del 2014 e poi neanche firmato la proposta di legge sull'inno della Sardegna, è «Procurade 'e moderare», presentata in blocco dagli altri partiti della coalizione.

Dissidi e strofe a parte, la coalizione è in bilico? Forse no, ma qualche pilastro comincia a scricchiolare più del solito. Fino al punto che, nei corridoi del Consiglio, c'è chi ha detto sottovoce: «Purtroppo siamo già in piena campagna elettorale, anche se mancano ancora dieci mesi alle Regionali del 2019». Non è proprio così: il Pd non ha nessuna intenzione di far chiudere in anticipo la legislatura e tanto meno che i prossimi mesi finiscano per trasformarsi in un conto alla rovescia, più o meno accelerato, verso la scadenza elettorale.

Col sostegno degli altri alleati, da Mdp all'Upc, il Partito democratico è convinto invece che dalla riunione di questo pomeriggio possa arrivare «l'attesa svolta politica», tra l'altro necessaria per «ridare forza all'azione di governo» soprattutto dopo la pesante sconfitta incassata nelle elezioni politiche di marzo. È la voglia del cambio di passo è così dirompente che potrebbe sfociare persino in alcune inattese richieste. Da quella del cambio in corsa di alcuni assessori o almeno che ci siano «alcune sostituzioni significative negli staff degli assessorati».

Si sa che sul rimpasto Pigliaru non è d'accordo, mentre il rimescolamento delle carte negli uffici di gabinetto potrebbe passare. Così il vertice convocato per discutere solo o quasi di legge urbanistica e lotta alla disoccupazione potrebbe prendere tutt'altra piega. Anche se per il capogruppo del Pd, Pietro Cocco, «prima di tutto Pigliaru ci ha convocato per decidere quali sono le priorità e su come affrontarle da qui alla fine naturale della legislatura».

Per questo il governatore, che al vertice dovrebbe presentarsi senza assessori al seguito, dalla riunione vorrebbe uscire solo con l'agenda delle cose da fare e lasciare il resto delle polemiche fuori dalla porta. Non sarà facile, ma ci proverà. È evidente comunque che non è possibile neanche azzardare una o più previsioni su come potrebbe finire il faccia a faccia di questo pomeriggio. Gli ultimi tira e molla col Partito dei sardi qualche effetto collaterale l'hanno scatenato, ma non si sa ancora di quale portata.

La tensione è arrivata a un punto tale che Franco Sabatini del Pd ha detto: «Un vertice di maggioranza potrebbe non bastare. È arrivato il momento di una riunione collegiale del centrosinistra col coinvolgimento non solo dei consiglieri regionali ma anche dei segretari di partito e dei nostri parlamentari eletti a marzo». È una possibilità, ma prima c'è un vertice di maggioranza da portare a casa senza però che nel frattempo a crollare sia invece proprio la casa. (ua)


UNIONE SARDA

Oggi il vertice di maggioranza senza il Partito dei sardi
Il centrosinistra si ritrova dopo la sconfitta alle Politiche per
rilanciare il programma

Il giorno dei buoni propositi è arrivato: a poco più di un mese dalla
sconfitta alle elezioni politiche e con un clima non sempre idilliaco,
il centrosinistra prova a ricucire gli strappi. Questo pomeriggio alle
15 la coalizione che governa la Regione si incontrerà con il
presidente Pigliaru per analizzare i motivi della disfatta alle urne e
capire come agire negli ultimi dieci mesi di legislatura.
Ma già ai nastri di partenza la situazione si presenta in salita,
visto che i 5 consiglieri regionali del Partito dei sardi non
parteciperanno alla riunione.

Per il capogruppo Gianfranco Congiu,
«non ci sono le condizioni, ci aspettavamo risposte su temi importanti
come sanità e lavoro, ma tutto tace». La scelta dell'Aventino da parte
del Pds è stata confermata dal fatto che Congiu ha abbandonato la
riunione dei capigruppo di ieri pomeriggio, durante la discussione
sulla legge elettorale. Si tratta di uno degli spigoli che la
coalizione dovrà limare perché gli argomenti fonte di malumore sono
diversi.

Nella riunione di questo pomeriggio si parlerà della legge urbanistica
e di come tagliare il traguardo senza rischiare ulteriori spaccature.
Negli ultime settimane, il gruppo di Art.1-Sdp è stato più volte sul
piede di guerra a causa di una divergenza di vedute sia sul metodo di
discussione sia sul merito della legge. Atteggiamento che non è
piaciuto all'assessore Cristiano Erriu e al presidente della
commissione Antonio Solinas (Pd). L'altra questione riguarda i
passaggi chiave che possano essere efficaci anche in chiave
elettorale.

Per Lavoras e Reis i consiglieri regionali chiedono di dare gambe a
provvedimenti importanti per i quali il Consiglio regionale ha
stanziato rispettivamente 130 e 45 milioni di euro. Infine, potrebbe
esserci anche il tempo per capire se questo centrosinistra sarà lo
stesso anche per le prossime regionali, aspetto tutt'altro che
scontato. La separazione tra il Partito democratico e la sinistra
confluita in Liberi e Uguali, non ha premiato nessuna delle due
formazioni, a dimostrazione del fatto che i problemi non erano
soltanto circoscritti ad alleanze e confini di coalizione.
La posizione del Partito dei sardi, inoltre, è il sintomo che il
centrosinistra, così come tarato in questo momento storico, non è
particolarmente gradito alla formazione indipendentista. Oggi sarà
l'occasione per capire quanto il collante della coalizione funzioni,
perché è parere di tutti che il risultato delle prossime regionali,
senza un cambiamento, sia già scritto. (m. s.)

Gli altri eletti a Roma si dimetteranno presto, in arrivo Coinu,
Lancioni e Cacciotto
Lampis giura, è consigliere al posto di Cappellacci

Cambia ancora una volta - dovrebbe essere l'ultima - la composizione
dell'Assemblea sarda. Effetto dell'elezione in Parlamento di quattro
consiglieri: Ugo Cappellacci (Forza Italia), Pietro Pittalis (Forza
Italia), Gavino Manca (Pd) alla Camera dei deputati e Christian
Solinas (Psd'Az) al Senato. Sinora si è dimesso solo l'ex presidente
della Regione, e ieri ha potuto prestare giuramento chi è subentrato
al suo posto: Gianni Lampis (Fratelli d'Italia), 29enne originario di
Uta. Per lui si tratta di un ritorno in Consiglio regionale dove aveva
occupato un posto per due mesi per aver scalzato Modesto Fenu (Zona
Franca), dichiarato decaduto dal Consiglio di Stato lo scorso luglio
insieme a Efisio Arbau (Zona Franca), Michele Azara (Idv) e Gavino
Sale (iRs).

Due mesi dopo, però, Lampis aveva dovuto abbandonare il
seggio per decisione del Tar della Sardegna che aveva accolto il
ricorso dell'ex sindaco di Buddusò, Giovanni Satta, candidato dell'Uds
nella circoscrizione Olbia-Tempio alle Regionali del 2014.
Ancora non si sono dimessi, ma lo faranno presto Pittalis, Solinas e
Manca. Il deputato nuorese ha precisato ieri che si dimetterà
mercoledì prossimo in Aula: «Dopo 24 anni da consigliere mi piace
guardare la gente in faccia e ringraziare i colleghi». Al suo posto
subentrerà Stefano Coinu, ex sindaco di Fonni.

L'ex capogruppo si è
però già dimesso dalla Giunta delle elezioni lasciando il posto al
vicepresidente del Consiglio regionale, Antonello Peru. Christian
Solinas, eletto al Senato, sarà sostituito dal sardista Nanni
Lancioni, mentre al posto del renziano Gavino Manca approderà in
Consiglio l'algherese dem, Raimondo Cacciotto.

I tre parlamentari devono optare per il seggio in Parlamento perché le
due cariche sono incompatibili. Sino ad allora, non percepiranno la
doppia indennità. Quella di Camera e Senato, infatti, è congelata sino
a quando i tre non rinunceranno alla carica di consiglieri.
Ro. Mu.

Due ricorsi alla Camera
Giagoni e Murgia vogliono il seggio di Deidda (Fdi)

Due ricorsi per annullare l'elezione alla Camera di Salvatore Deidda,
deputato di Fratelli d'Italia. A contestare l'assegnazione del seggio
sono Dario Giagoni, candidato con la Lega alle ultime Politiche, e il
parlamentare uscente Bruno Murgia, anche lui candidato in Fdi come
Deidda, ma nel collegio Sardegna 2, che comprendeva Nuorese e
Sassarese. I ricorsi sono stati presentati nei giorni scorsi alla
Giunta per le elezioni di Montecitorio, l'organo competente in questi
casi.

Per Giagoni e Murgia sarebbe stato violato il criterio di
rappresentatività. Salvatore Deidda ha affidato il suo commento a
Facebook: «Lavoro serenamente. Ci penseranno i miei avvocati a
rispondere. Sappiamo di essere nel giusto. Non abbiamo scritto noi la
legge elettorale. Se avrà ragione uno di loro tornerò a militare come
sempre ho fatto. Se avremo ragione noi, continueremo a lavorare».
Il Rosatellum bis prevedeva la divisione dell'Isola in due collegi
elettorali (a grandi linee: Cagliaritano e Oristanese per il primo,
Nuorese, Sassarese e Gallura per il secondo) ai quali erano stati
assegnati rispettivamente sei e cinque seggi.

In concreto, però, i
posti assegnati sulla base dei collegi plurinominali sono diversi. Al
“Sardegna 1” sono stati attribuiti sette posti, uno in più del
previsto, mentre il “Sardegna 2” ne ha ottenuto solo quattro. Sono
questi i motivi che hanno portato Giagoni e Murgia a presentare il
ricorso alla Giunta per le elezioni, che deve ancora entrare in
carica.

CONSIGLIO.
Naufraga la nuova legge elettorale I partiti bocciano la proposta di Ganau
I capigruppo chiudono il dibattito: «Non è la priorità». Il
presidente: «Occasione persa»

La possibilità di cambiare la legge elettorale naufraga in una
conferenza di capigruppo. Forte del mandato di tutte le forze
politiche, ieri Gianfranco Ganau si è presentato con la sua proposta
per «garantire una migliore rappresentatività dell'elettorato
all'interno del Consiglio regionale». Un testo scritto apposta per
evitare l'effetto “Michela Murgia”, la scrittrice non eletta nel 2014
nonostante un dieci per cento personale e un otto per cento della
coalizione, e per scongiurare tutti i ricorsi che hanno reso girevoli
le porte dell'Assemblea sarda.

LA BOCCIATURA Buoni motivi, ma non sufficienti: dopo pochi minuti il
capogruppo del Partito dei sardi, Gianfranco Congiu, ha detto che la
legge elettorale non è una priorità, per poi sfilarsi dalla
conferenza, azzerando di fatto la discussione. Di fronte alla
spaccatura l'opposizione ha fatto notare che mancavano le condizioni e
quasi contemporaneamente è arrivata una nota del neo deputato e
capogruppo (prossimo alle dimissioni), Pietro Pittalis, di sostegno al
sistema vigente: «Ritengo che non sia una priorità per i sardi la
modifica della legge elettorale che, peraltro, secondo il gruppo di
Forza Italia, garantisce la governabilità ed assicura una maggioranza
certa all'interno del consiglio regionale. Dunque, nessun mutamento e
nessuna furbata per accreditare partiti e persone che solo il voto
popolare può legittimare».

IL PRESIDENTE È bastato - ha spiegato dopo Ganau - «per prendere atto
del fatto che non esistono le condizioni per portare avanti la
modifica della legge elettorale. Non credo che il Consiglio abbia
tempo di elaborare, né ci sono le condizioni politiche, altre proposte
elettorali, quindi si va ad elezioni con questa legge, con tutti i
limiti che sono stati più volte segnalati e denunciati». Resta il
fatto che se fino a due giorni fa il presidente dell'Assemblea aveva
un mandato preciso, ieri non gli è stato confermato. «Io», ha
ribadito, ho avuto l'incarico da parte di tutti i capigruppo per
formulare una proposta ampiamente condivisa, e a questo mi sono
attenuto». E allora cos'è successo? «Posso ipotizzare che ci siano
timori a metter mano alla legge per interpretazioni che potrebbero
essere date da forze attualmente non presenti in Consiglio, ma questa
era una proposta rispettosa che favoriva la partecipazione».

IL TESTO La legge che ieri Ganau ha consegnato ai colleghi si basava
«sulle osservazioni che sono state sempre fatte in termini di
rappresentatività della legge e dalle modifiche imposte dalla
magistratura con interpretazioni e disinterpretazioni che hanno
caratterizzato l'entrata e l'uscita in Consiglio di numerosi
consiglieri». In particolare - ha spiegato - «si configurava con un
abbassamento delle soglie per le coalizioni dal 10 all'8% e quelle dei
partiti e delle liste singole dal 5 al 3%».

Questo per dare la
possibilità di «riconoscere l'elezione del candidato presidente che
superava la soglia dell'8%, così da evitare quanto successo nel 2014
con Michela Murgia». Altra modifica prevista: «L'inserimento della
soglia di sbarramento all'interno della coalizione fissata al 2% e la
modifica del premio di maggioranza in conformità con quanto stabilito
dalla Corte Costituzionale sull'Italicum da portare dal 25 al 35%».
VOTO ROSA Insomma, l'unica novità nel sistema per votare alle
regionali del 2019 sarà la doppia preferenza di genere. Per il resto,
«il Consiglio ha perso un'occasione per correggere una pessima legge»,
ha concluso. D'altra parte, per come si sono messe le cose, non poteva
finire in altro modo.

«In genere le leggi elettorali si fanno con
l'apporto di tutte le forze politiche, sia di maggioranza che di
minoranza - ha commentato il capogruppo del Pd, Pietro Cocco - si
tratta di un tema delicato, mancano pochi mesi alla fine della
legislatura, in questo caso si è tirato fuori dalla discussione il
Partito dei sardi, ma poteva essere chiunque». In ogni caso: «Le
modifiche da apportare sarebbero comunque poche, non si possono
cambiare le regole alla fine della legislatura». E nel merito:
«L'elezione diretta del presidente della Regione non dovrebbe essere
toccata, e chi vince le elezioni dovrebbe avere un premio di
maggioranza tale da consentirgli di governare».
Roberto Murgia

Il segretario reggente del Pd chiude ancora la porta a un accordo con il M5S
Martina: «Dai Cinquestelle una proposta irricevibile»

ROMA «Se Di Maio pensa di spaccare il nostro partito, sappia che non
ce la farà mai. Il Pd non si spacca, discute, anche con punti di vista
differenti. È quello che si fa in un grande partito, non siamo in una
caserma e, soprattutto, non ci facciamo comandare da qualcuno. Di Maio
non può fare il pane in due forni». Il segretario reggente del Pd
Maurizio Martina chiude le porte a un accordo con il M5S. «Proposta
irricevibile». Lo dice all'assemblea dei parlamentari Dem, convocata
in vista del secondo giro di consultazioni. Alla riunione non ha
partecipato l'ex segretario Matteo Renzi. Assente anche il presidente
del Consiglio Paolo Gentiloni.

IL CASO RENZI Ma ieri Martina ha anche risposto alle domande di chi lo
stuzzicava sulla possibile uscita di Matteo Renzi dal Pd, per creare
un nuovo soggetto politico. «Renzi farà un movimento politico? No,
Renzi ha già smentito. Il problema non è andare oltre il Pd, abbiamo
bisogno fuorché di formule divisive, di ennesimi contenitori. ll tema
è il rilancio del nostro progetto non è una questione di andare
indietro o di andare oltre», ha detto il reggente, che poi ha
aggiunto: «Renzi è un'energia per questo partito e per il Paese.
Abbiamo lavorato insieme, quando si governa è chiaro che si facciano
anche errori ma questo non ci far venire meno alla consapevolezza che
abbiamo fatto tanto.

L'energia espressa in questi anni è un valore».
ASSEMBLEA Intanto Renzi ha confermato la sua intenzione di parlare
soltanto il 21 aprile, nel corso dell'assemblea nazionale del partito.
I mille delegati saranno chiamati a decidere il percorso del Pd dopo
le sue dimissioni da segretario. Le opzioni, da Statuto, sono due:
l'assemblea elegge un nuovo segretario in carica fino alla scadenza
naturale, nel 2021, oppure decide di sciogliersi e anticipare così il
congresso.

La Nuova

Nuova legge elettorale:
salta l'intesa tra i partiti

politica regionale
CAGLIARILa legge elettorale del 2014 rimarrà quella che è: un
pasticcio. L'anno prossimo il Consiglio regionale sarà eletto con
quella stessa legge che dai giudici amministrativi è stata bocciata e
rivoltata in più di una sentenza dal 2015 in poi. Tutte le buone
intenzioni di correggere gli errori sono svanite all'improvviso:
l'accordo politico è saltato.

Il colpo di scena s'è consumato durante
la riunione dei capigruppo, convocata dal presidente Consiglio,
Gianfranco Ganau, proprio per presentare quella che sarebbe dovuta
essere la bozza su cui cominciare a lavorare da subito e poi votare
massimo entro maggio. A far saltare il banco è stato, ancora una
volta, il Partito dei sardi, che in questi giorni sembra essere
arroccato su un Aventino da cui pare non voler scendere. Dopo aver
annunciato che non sarà presente al vertice del centrosinistra di
questo pomeriggio, il capogruppo pds Gianfranco Congiu ha sbarrato la
strada anche alla riforma elettorale.

Entrato nella sala grande
dell'ufficio di presidenza del Consiglio, ha detto in apertura: «Non
parteciperò alla riunione, perché per noi questa legge non è fra le
priorità». Per il Pds, si sa, le urgenze sono altre - dalla vertenza
Ottana alla sanità - e per questo diserterà il vertice, e ora quelle
stesse emergenze le ha messe anche davanti a una riforma che fino
all'altro giorno sembrava essere necessaria per tutti. Sta di fatto
che l'arrivederci e grazie di Congiu, secondo molti tutt'altro
inaspettate visto le sue risapute resistenze sulle soglie di
sbarramento del 2014, è stato sfruttato subito dall'opposizione.

La vicecapogruppo di Forza Italia, Alessandra Zedda, ha detto: «Prendiamo
atto che la maggioranza è spaccata e quindi non ci sono più le
condizioni per andare avanti». A quel punto, in un battibaleno, la
riunione dei capigruppo s'è sciolta e mai la riforma sarà fatta. Con
la stessa Forza Italia che dopo il rompete le righe ha fatto sapere:
«La legge che c'è per noi va bene così, perché garantisce comunque la
governabilità». E il centrosinistra come ha commentato? Preso atto
dell'ennesimo strappo col Pds, ha detto: «Peccato, è un'occasione
mancata, ma per le riforme elettorali ci vuole l'accordo di tutti e
chi oggi non è d'accordo si prenderà tutte le responsabilità di aver
negato ai sardi una legge elettorale più giusta ed equa».

Presa d'atto.
«Non esistono più le condizioni per portare avanti la riforma - è
stata la dichiarazione ufficiale del presidente Ganau - Dopo questo
stop non credo ci sarà più neanche il tempo per presentare altre
proposte. Quindi resta in vigore la legge che c'è, con tutti i limiti
più volte denunciati. È stata persa un'occasione per correggere quella
che tutti sappiamo essere una pessima legge». Per poi lasciarsi andare
anche a questo commento: «Eppure, sino a pochi giorni fa, tutti i
partiti s'erano detti pronti a discutere la riforma e infatti dai
capigruppo avevo ricevuto il mandato di proporre una proposta che
tenesse conto delle varie richieste interne ed esterne al Consiglio».
Fino ad arrivare a una conclusione ancora più amara: «Purtroppo mi
pare che in molti, con largo anticipo siano già in campagna elettorale
ed è per questo che il clima è cambiato».La proposta. Per fortuna che
la doppia preferenza di genere è stata approvata nei mesi scorsi e
quasi all'unanimità, altrimenti viste le ultime tensioni forse sarebbe
saltata anche quella.

Nella proposta di Ganau, le principali
correzioni sarebbero dovute essere queste: sbarramenti più bassi degli
attuali per le coalizioni (dal 10 all'8 per cento) e i partiti (dal 5
al 3), con però in più la soglia del 2 per cento interna alle alleanze
e solo chi la supererà potrà partecipare alla suddivisione dei seggi.
Ancora: l'elezione anche dei candidati-presidenti che superano lo
sbarramento dell'8 per cento, oltre ovviamente a quella del vincitore
e del primo degli sconfitti. Infine, il ridimensionamento del premio
di maggioranza. Niente da fare: quello che era teoria rimarrà una
teoria, mentre la vecchia legge elettorale, dai più definita una
schifezza, purtroppo è sopravvissuta. (ua)

fratelli d'italia
Lampis in Consiglio al posto di Cappellacci

Strano ma vero: c'è un consigliere regionale che ha giurato due volte
fedeltà alla Costituzione. È Gianni Lampis di Fdi. Nel 2015, la prima,
poi dopo un anno di pausa, l'ha dovuto rifare ieri. Colpa di una legge
elettorale che dopo averlo ammesso d'ufficio in aula, due anni f al
posto del consigliere Modesto Fenu (Zona franca), l'ha ricacciato
fuori all'indomani della sentenza, nel 2016, del Consiglio di stato,
che invece ha aperto le porte a Giovanni Satta dell'Uds.

Stavolta Lampis è ritornato in Consiglio al posto del neo deputato Ugo
Cappellacci, Fi, e quindi ha rigiurato nonostante non fosse un
esordiente. Mercoledì dovrebbero dimettersi dalla carica di
consigliere Pietro Pittalis, Fi, e Christan Solinas, Psd'Az, anche
loro eletti in Parlamento. Poi dovrà farlo anche il neo deputato
Gavino Manca del Pd.

Puddu: «Della vicenda se ne occupano lui e lo staff. Solidarietà a Vittoria»
La senatrice su Facebook: se la prendono con me solo perché ce l'ho fatta
M5s, il caso Bogo Deledda nelle mani di Di Maio

di Alessandro Pirina
SASSARI
Il caso Bogo Deledda finisce nelle mani di Di Maio. Tra una telefonata
con Salvini e un corteggiamento al Pd l'aspirante premier del
Movimento 5 stelle si dovrà occupare anche della vicenda che vede
protagonista la senatrice Vittoria Bogo Deledda, eletta a Palazzo
Madama dopo 8 mesi di malattia e rientrata al lavoro al Comune di
Budoni appena tre giorni prima dell'avvio della campagna elettorale.

Un caso, sollevato in tv dalle Iene, che dal piccolo schermo si è
trasferito sui banchi del Parlamento, con la presentazione di
interrogazioni e richieste di ispezioni da parte di parlamentari Pd.
Sulla vicenda il Movimento 5 stelle sposa una linea garantista,
rimandando ogni decisione finale allo staff, e in particolare al
leader Luigi Di Maio.

«Ho visto in tv il servizio delle Iene e come
prima cosa non posso che esprimere la mia solidarietà a Vittoria -
dice Mario Puddu, sindaco di Assemini, già coordinatore della campagna
elettorale grillina e ora ritornato soldato semplice, pur rimanendo
uno degli uomini simbolo dei 5 stelle nell'isola -. È una donna
gentile ed elegante e mi è dispiaciuto vederla coinvolta in quella
aggressione. Di tutta la vicenda è a conoscenza lo staff e ce ne
stiamo occupando. Di più non dico, se non che ogni altra
considerazione è lasciata allo staff e allo stesso Di Maio». Puddu,
insomma, rimanda ogni decisione ai vertici del Movimento, ma non prima
di lanciare uno stoccata allo show di Italia 1.

«Prima di esprimere
giudizi e opinioni bisogna conoscere bene i fatti - aggiunge -. Spesso
certe trasmissioni tv dipingono le cose come non sono e tendono a dare
una interpretazione faziosa delle cose. Sono certo che lo staff e la
stessa Vittoria avranno modo di spiegare bene come sono andate le
cose». Per ora la senatrice, eletta nel collegio del Nord Sardegna,
non parla. Le sue uniche parole le ha affidate a un post pubblicato su
Facebook poche ore dopo la messa in onda delle Iene. «Tutto questo per
aver lavorato troppo, non poco. Basterebbe vedere le mie agende degli
appuntamenti socio-assistenziali di 25 anni - scrive la parlamentare
di Posada -.

Tutto questo perché chi avrebbe dovuto non ha voluto
verificare le fonti per dare informazioni veritiere e complete, come
la corposa cartella Inail con fitta relazione e ben 60 allegati, forse
poco funzionale alla costruzione di un caso mediatico, ma rivelatrice
di ben altra storia. Tutto questo per avercela fatta dopo un lungo e
graduale percorso. Tutto questo per essermi messa a disposizione della
politica, forte di una dura esperienza personale e professionale,
pensando a chi si ammala sul lavoro e non trova vie d'uscita».
Insomma, il M5s fa muro intorno alla senatrice che appena un mese fa
ha sbaragliato un big della politica come il presidente del Consiglio
regionale, Gianfranco Ganau.

Ma ovviamente le immagini trasmesse da
Italia 1 fanno discutere parecchio, soprattutto sui social. Anche
perché l'incursione della iena Filippo Roma a Budoni è finita con la
troupe dello show spintonata dal marito della senatrice. Chi non ha
perso tempo sono stati gli altri partiti, Pd su tutti, scatenati sia
in Parlamento, con una interrogazione di Michele Anzaldi che chiede
una ispezione di ministero e Inps, che sui social. «Grazie ai grillini
ora abbiamo anche i furbetti del Parlamento - twitta Alessia Morani -
Bogo Deledda del M5s è stata in malattia per 243 giorni. Il 29 gennaio
viene candidata e il 2 febbraio guarisce del tutto. Di Maio dirà
qualcosa o è troppo occupato a bisticciare con Salvini?».

I gruppi Pd si riuniscono ma lo scontro resta aperto
Renzi non si presenta per non condizionare il dibattito, parlerà il 21
in assemblea
I dem ancora sulla linea dell'opposizione, ma Franceschini spinge: «Cambiare»

Il reddito di cittadinanza proposto dal M5s va nella giusta direzione:
quella cioè di dare più sicurezza ad un mondo del lavoro diventato più
flessibile e di conseguenza più precario. A promuovere la proposta dei
grillini è l'economista inglese Guy Standing, che non a caso è il
teorizzatore del reddito di base universale, un'idea ancora più ampia,
che prevede di riconoscere una certa somma di denaro a ogni persona
residente in un Paese, ricca o povera che sia, che lavori o meno.

«L'aspetto più importante del reddito di cittadinanza proposto dai M5s
è che ha cambiato la prospettiva e portato una politica vitale
all'interno del dibattito pubblico italiano. È fondamentale muoversi
nella direzione del reddito di base in Italia come in tutti gli altri
Paesi», spiega Standing. «Un reddito di base avrebbe effetti molto
benefici sull'economia italiana», aggiunge l'economista che venerdì
parteciperà al Festival Internazionale del Giornalismo:
«Incoraggerebbe la produzione localizzata di beni e servizi e darebbe
ai precari una maggior fiducia e la capacità di investire e assumersi
rischi imprenditoriali. Questi effetti sono stati raggiunti in altri
paesi e secondo me sarebbero probabilmente più forti in Italia».

Inoltre, secondo l'economista, non si rischia di incorrere in problemi
con l'Europa: «Muovere nella direzione di un reddito di base - e
questo è quello che farebbe la proposta M5S, anche se lo farebbe solo
in parte - sarebbe perfettamente compatibile con le politiche Ue,
specialmente se finanziato al posto di spese non produttive o
progressive, come i sussidi». Per questo Standing si augura che il M5s
«non perda le proprie radici profonde» e non abbandoni la strada verso
un reddito di base.


-----------------
Federico Marini
skype: federico1970ca

Nessun commento:

Posta un commento