mercoledì 28 settembre 2016

Dopo il Partito Comunista Italiano ecco la FGCI.



Cari compagni, care compagne

È molto difficile nascondere l’emozione per un giorno così importante, soprattutto se si è lottato tanto per arrivarci. Dopo la ricostruzione del Partito Comunista Italiano ci apprestiamo a ricostruire anche la mitica FGCI. In un era politica così piena di incompetenza, lassismo, benaltrismo e becero legalitarismo questo congresso rappresenta una piccola luce in un paese buio. Davanti a noi abbiamo sfide che definirle complesse è un eufemismo; non è solo la ricostruzione di un paese abbandonato a sè stesso, preda della finanza internazionale e di politici che non esagero a definire non all’altezza di tale ruolo ma è la formazione di una nuova classe dirigente, preparata e competente che in un giorno non molto lontano deve prendere in mano le redini del paese e portarlo fuori da questa epoca buia, medioevale, depressa.

Nelle nostre analisi, compagni, ripetiamo spesso un errore comune, soprattutto a sinistra: confondiamo sempre causa ed effetto, li invertiamo. Il forte disinteresse per la politica da parte della nostra generazione (e aggiungo, di quella prima) non è la causa ma è l’effetto di una seconda repubblica che ha reso inumana e sterile la vita istituzionale, che ha dato alle fiamme ogni barlume di idealità all’interno dei partiti, oramai comitati d’affari e non più strumento di democrazia e partecipazione.

Ecco, definirei così la nostra missione politica ad oggi: riportare le idee, l’idealità, all’interno della politica. In Italia troppo spesso sottostimiamo la capacità che questo paese ha avuto nel seguire e difendere le idee. Quando le ideologie non erano ancora “il male del mondo” in Italia milioni di persone facevano politica attivamente e più del 90% votava e lo faceva con grande passione. Oggi, senza idee, senza sezioni, senza esempi da seguire il disinteresse e l’apatia hanno preso il sopravvento, è ora di cancellare questo grigiore. Mi rendo conto dell’enormità di questo compito, ma noi siamo comunisti, se non siamo noi a porci grandi obbiettivi chi lo fa?

Concludiamo oggi un congresso diverso da tanti altri, un congresso dove non c’è un documento politico scritto prima, ma un documento pensato, analizzato e costruito da tutti noi che siamo presenti qui oggi. Perché è fondamentale per noi trovare anche nuove forme di partecipazione alla vita del partito da parte dei compagni e delle compagne, senza contravvenire mai alle linee dettate da Lenin sulla forma partito ma allo stesso tempo senza rimanere imbalsamati rischiando di trasformare il partito in un rito, in una tradizione che va bene solo a chi non ha più scopi da raggiungere.

Questo documento rispecchia il pensiero e le volontà dei gruppi di lavoro e sarà da oggi la nostra linea politica. Personalmente vorrei soffermarmi su alcuni aspetti specifici: autonomia, organizzazione e formazione. La FGCI non è la copia del PCI, ma un corpo indipendente che amplifica l’azione del partito e che ha obbiettivi ben precisi, da sviluppare nel corso del tempo nei luoghi che gli sono più congeniali. Non dirò che dobbiamo stare nei luoghi di studio e di lavoro, inutile dirlo a chi già sa e pratica ciò ogni giorno. Vi dirò invece che non vi deve essere spazio per una nostalgia infantile che ci fa apparire, agli occhi delle masse che dobbiamo coinvolgere nelle lotte, poco più che folklore. Le persone ci giudicheranno dai fatti, dalla concretezza delle nostre azioni e dalle nostre proposte, non da facili scorciatoie che inorgogliscono ma allontanano ogni responsabilità politica. I fortini non sono e non saranno mai la nostra casa.

Prepariamoci, saranno anni duri e complessi. Il mondo cambia ad una velocità doppia rispetto a quello che riusciamo a percepire e vedere. Sono tempi di mobilitazioni forti e veloci e noi dovremo essere pronti in ogni momento, curiamo maniacalmente l’organizzazione dei territori, teniamo in contatto i compagni tra loro in modo continuo. Il successo della nostra FGCI passa principalmente per questo. E’ dura, ma va affrontata senza paura. Ci saranno momenti di scoramento, ma io vi dico non mollate mai perché la forza delle nostre idee non viene mai meno, ma anzi si amplifica proprio nei momenti di difficoltà. E poi, non viviamo esattamente le stesse difficoltà nel lavoro e nello studio di chiunque in questo paese? Quello che serve a noi serve pure a chi ci rivolgiamo, né più né meno, non complichiamo ciò che è semplice.


Studiamo, studiamo, studiamo. Lo diceva Gramsci, lo diciamo noi oggi. La scuola di partito che ha visto i suoi natali poco tempo fa sarà il nostro bene più prezioso ed ogni compagno avrà l’obbligo morale e politico di parteciparvi. Per troppo tempo giovani compagni sono stati rovinati da troppe nomine e poca formazione, carriere fulminanti che hanno avuto il solo risultato della disgregazione e dell’immobilismo del partito. La Federazione Giovanile Comunista Italiana che nasce oggi si prende l’onere e l’onore di formare la nuova classe dirigente che presto dovrà prendere in mano le redini del Partito Comunista Italiano dando il via a quello slancio, a quella spinta propulsiva di cui tanto abbiamo bisogno per tornare grandi. Non siamo rottamatori, non crediamo nel nuovismo o nel mito dell’età anagrafica; solo chi sarà in grado di crescere e imparare potrà arrogarsi il diritto di chiamarsi classe dirigente, non ci sono scorciatoie, ma solo duro lavoro.

Un dirigente comunista, importante, che io considero il migliore degli ultimi 25 anni, una volta ha detto una frase che mi è rimasta impressa nella mente: “non saremo noi che abbiamo vissuto prima del 1989, a poter ricostruire il partito comunista in Italia, ma chi quell’anno non lo ha vissuto ed è nato solo dopo”. Fino a questo momento ciò non è stato applicato, siamo al punto di non ritorno, non è più sopportabile un mondo del lavoro che propone solo precarietà a vita, non è più sopportabile una scuola tornata di classe e trasformata in fabbrica di sfruttati e oppressi, non è più sopportabile un popolo che rinuncia a curarsi perché la sanità costa sempre di più ed è sempre meno accessibile, non è più sopportabile che un operaio venga assassinato dai padroni e la CGIL non proclami sciopero generale!

Quando il compagno Bertolt Brecht scriveva Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto? Qualcosa o tutto ? Su chi contiamo ancora Siamo dei sopravvissuti, respinti via dalla corrente? Resteremo indietro, senza comprendere più nessuno e da nessuno compresi? Chi non ci si è riconosciuto? Io sì, sono domande che mi sono fatto nei momenti più critici che ho vissuto in questo partito. Ogni tanto me le ripeto e la risposta che mi do è sempre la stessa: No, non siamo dei sopravvissuti, non resteremo indietro, comprenderemo e ci faremo comprendere. Questi versi si concludono con l’invito a non aspettare da altri le risposte, ma solo da noi stessi, ed è proprio quello che ho intenzione di fare, con voi. 

di Nicolò Monti.



Nessun commento:

Posta un commento