lunedì 13 febbraio 2017

Rassegna stampa 13 Febbraio 2017

La Nuova Sardegna

Il Pigliaru bis in settimana incertezza per ex Sel e Cd Barbara Argiolas alla cultura o al turismo. Filippo Spanu agli affari generali. Tra i nomi sicuri c’è il commercialista Pierluigi Caria, Pd: andrà all’agricoltura.

CAGLIARI Il conto alla rovescia comincia oggi. Per il rimpasto è solo questione di giorni: la giunta «Pigliaru-bis» in settimana (o al massimo all’inizio della prossima) potrebbe essere presentata. Non tutte le caselle sono ancora completate, ma venerdì il rientro del governatore a Villa Devoto ha confermato che il percorso della verifica politica sta per arrivare al capolinea. Il cambio in corsa degli assessori, due nuovi ma potrebbero essere anche tre gli esordienti, avverrà tra l’altro in giorni densi di appuntamenti.

Nell’agenda del Pd, è annunciato il confronto fra i tre candidati alla segreteria regionale e la corrente che un candidato non l’ha presentato, i popolari-riformisti dell’area Cabras-Fadda. Con un dubbio all’orizzonte: il congresso regionale del 19 marzo potrebbe essere sospeso o rinviato se oggi, a Roma, l’ex premier dovesse presentarsi dimissionario alla direzione nazionale. Ancora più a sinistra del Pd bisognerà vedere come evolverà la nascita del Campo
progressista di Pisapia e più.

Dopo aver riunito le anime sarde dell’ex Sel, col trasloco del deputato Michele Piras da Sinistra Italiana, potrebbe riportare a casa anche i tre consiglieri regionali – Daniele Cocco, Eugenio Lai e Luca Pizzuto – che di recente hanno sfiduciato l’assessore di riferimento, Claudia Firino (istruzione). Rimpasto. I tre nuovi assessori dovrebbero essere Filippo Spanu, Pierluigi Caria e Barbara Argiolas. Il primo è l’attuale capo di gabinetto del governatore, che tra l’altro simpatizza per la corrente renziana nazionale, avrà la delega per gli affari generali, dove succederà al dimissionario Gianmario Demuro. Anche Pierluigi Caria, renziano, dovrebbe prendere il posto di chi, sempre a dicembre, s’è dimesso: Elisabetta Falchi dei Rossomori.

Per l’ex consigliere regionale e commercialista gallurese dovrebbe esserci l’assessorato all’agricoltura, mentre sembra sfumata l’ipotesi dell’industria. Chi non sa ancora se avrà la delega al turismo o alla cultura è l’ex assessore comunale di Cagliari Barbara Argiolas, indicata dalla corrente soriana del Pd.

La scelta di Pigliaru dipenderà dalla conferma o meno di Francesco Morandi, Centro democratico, e di Claudia Firino, ex Sel. Per il primo, è legata al fatto se miglioreranno i rapporti fra Pigliaru e il deputato del Cd Roberto Capelli, che nono sono buoni. Ma l’annunciato ingresso di Capelli nel movimento Campo progressista potrebbe servire a ricucire lo strappo. Il futuro di Claudia Firino è invece legato a come si concluderà la disputa dentro Sel fra il gruppo del senatore Luciano Uras, anche lui fra i fondatori del Campo, e i tre consiglieri regionali dissidenti.

La conta. Se gli ingressi in giunta dovessero essere solo i tre ipotizzati, i rapporti di forza cambierebbero così. Il presidente avrebbe dalla sua un uomo in più, passando da tre a quattro. Filippo Spanu si aggiungerebbe al vicepresidente Raffaele Paci (bilancio), Donatella Spano (ambiente) e Luigi Arru (sanità). Ma alcune indiscrezioni danno Arru preso in carico dalla corrente soriana del Pd. Anche il Partito democratico aumenterebbe la forza in giunta: da quattro a cinque assessori. 

Nel dettaglio: due in quota alla corrente Cabras-Fadda (Cristiano Erriu all’urbanistica e Massimo Deiana ai trasporti), uno a testa per renziani (Caria all’agricoltura), ex Diesse (Virginia Mura al lavoro) e soriani (Argiolas al turismo o alla cultura). Usciti i Rossomori, subito dopo il referendum di dicembre, e in forse il Centro democratico, agli alleati del Pd rimarrebbero tre deleghe.

A cominciare dalla conferma di Paolo Maninchedda, Partito dei sardi, ai lavori pubblici, poi Maria Grazia Piras all’industria e alla quale l’Upc ha confermato piena fiducia e infine la casella destinata agli ex di Sel. Che è ancora da riempire: vincerà Uras, con la riconferma di Claudia Firino, o il trio dei consiglieri regionali con un nome nuovo? È questo l’ultimo dubbio della seconda giunta di Francesco Pigliaru. (ua)

Unione Sarda

Renzi, il passo indietro
La minoranza all'attacco su Jobs Act, Buona Scuola e Montepaschi
La tentazione di dimettersi oggi in Direzione Pd

ROMA Fibrilla, il Partito democratico, alla vigilia della direzione in
cui il segretario Matteo Renzi potrebbe rassegnare le dimissioni. La
mossa di oggi non trova conferme ufficiali, tanto che ieri il Pd ha
smentito i virgolettati attribuiti da alcuni giornali allo stesso
Renzi. Il passo indietro in realtà servirebbe a rilanciare la
possibilità di andare al voto in giugno, magari dopo un congresso
lampo in aprile.

SPERANZA E in attesa delle possibili dimissioni di oggi, la minoranza
attacca Renzi sulle sue riforme simbolo. «Dobbiamo recuperare la
fiducia di milioni di italiani che non hanno condiviso molte delle
scelte fatte negli ultimi anni - attacca Roberto Speranza. Dal Jobs
Act alla Buona Scuola, dalle politiche economiche e fiscali alle
riforme istituzionali, abbiamo sommato rotture a rotture e perso un
pezzo del nostro popolo. Ora si tratta di capire, a partire dalla
direzione di domani, se siamo in grado, tutti insieme, di rimettere il
treno sui binari ed evitare che questo straordinario patrimonio di
energie che è il Pd perda definitivamente la sua anima».

«GENTILONI GOVERNI» Toni simili a Firenze, all'iniziativa della
sinistra Pd “Può nascere un fiore. Di nuovo, la sinistra” preparata
dal deputato dem Francesco Laforgia, che invita tutti a lasciar
governare Paolo Gentiloni «fino a scadenza naturale» per «prendersi il
tempo» per fare la legge elettorale in modo che «l'Italia non resti
nella palude alle prossime elezioni politiche».

BANCHIERI E GOLFISTI Più duro il lettiano Francesco Boccia, presidente
della Commissione Bilancio a Montecitorio: «Non ho visto la sinistra
quando Jp Morgan ha nominato l'amministratore di Monte Paschi». Simile
la linea di un candidato alla segreteria, il governatore pugliese
Michele Emiliano: «siamo stati attentissimi alle esigenze di
petrolieri, finanzieri, banchieri e anche golfisti».
Un altro aspirante segretario, il presidente della Toscana Enrico
Rossi, chiede che Renzi «dia le dimissioni come ha annunciato, poi una
segreteria di garanzia come quella di Epifani che ci porti a fare il
congresso.
«STATUTO» Una formula che non piace al vicesegretario Lorenzo Guerini:
«Ora spunta la segreteria di garanzia. A tutti vorrei rispondere così:
se si anticipa il congresso, lo si anticipa davvero, senza formule
fantasiose, ma con le procedure e la strada indicata dallo statuto, e
cioè convenzioni nei circoli e poi elezione del segretario con
primarie aperte. Punto».

Quartu

Nicola Selloni e la posizione del Centro democratico
«I singoli non fanno scelte politiche»

«Ognuno parla a titolo personale, le scelte politiche vengono prese
dalla segreteria». Il segretario regionale del Centro democratico
Nicola Selloni cerca di fare chiarezza sul sostegno a Delunas. La
consigliera regionale Anna Maria Busia è dell'idea che il partito
debba riavvicinarsi alle altre forze di centrosinistra per fare fronte
comune mentre il consigliere comunale Marco Ghiani difende il suo
ruolo tra i responsabili.

«Ho piena fiducia nell'assessora Del Zompo, come ho precisato durante
un incontro col sindaco cui ho detto che lo abbiamo appoggiato e siamo
per andare avanti», precisa Selloni, «dagli esponenti del partito sono
arrivate posizioni personali che rispetto: condivido il ragionamento
di Busia sulla necessità di restare uniti, credo che a livello
regionale non si debbano perdere i Rossomori». Ma ci sono gli
equilibri incerti a Roma e Cagliari. «Le decisioni di carattere
politico vengono prese dalla segreteria regionale, non dai singoli. Ma
la politica è in continua evoluzione». (m. z.)

Regioni ai ferri corti
La Sardegna alza la voce per i tagli, giovedì si apre il tavolo a Roma
Scontro sulle risorse per sanità ed enti locali

«Lo Stato centrale si comporta come un Robin Hood al contrario».
L'assessore agli Enti locali, Cristiano Erriu, lo ha detto a proposito
del Fondo per le province, ma la stessa considerazione vale per la
Sanità e gli accantonamenti, cioè il contributo che bisogna dare al
disavanzo dei conti pubblici. E tra le Regioni è scontro aperto: le
risorse sono sempre meno, i tagli pesano, le accuse vengono lanciate
da più parti, con le “ordinarie” contro le “speciali” che non
farebbero «la loro parte». La Sardegna ha aperto una vertenza nei
confronti dello Stato, ha impugnato la Legge di Stabilità (anche dove
è chiamata a implementare il fondo sanitario nazionale dal quale però
è esclusa), chiede di avere una quota di copertura per i farmaci
innovativi (difficilissima da ottenere) e rivendica i soldi per
mandare avanti Province e Città metropolitana (che alle altre Regioni,
invece, spetterebbero). Giovedì prossimo a Roma l'assessore al
Bilancio Raffaele Paci incontrerà il sottosegretario agli Affari
regionali e alle Autonomie Gianclaudio Bressa per avviare il tavolo di
confronto.

L'IMPUGNAZIONE Giovedì scorso, i governatori e Bressa hanno firmato
l'accordo sul riparto dei 2,7 miliardi di “contributi alla finanza
pubblica” ancora da coprire. Sardegna, Valle d'Aosta, Sicilia e Friuli
Venezia Giulia, che hanno presentato ricorso alla Consulta contro la
manovra, si sono opposte e non intendono esaudire le richieste di
Roma. Così si è espresso il presidente Pigliaru: «La Giunta ha
impugnato la Finanziaria dello Stato rispetto agli accantonamenti, un
contributo straordinario all'equilibrio della finanza pubblica statale
che si è trasformato in un prelievo costante ai danni della Sardegna
che consideriamo ingiusto».

LE PROVINCE «La scelta del governo di perseverare nell'esclusione
della Sardegna dal riparto dei fondi a favore della Città
metropolitana e delle Province conferma una precisa e unilaterale
volontà, che non ho difficoltà a definire persecutoria, e una plateale
ingiustizia che obbliga ad una opposizione ferma e unanime»,
sottolinea Erriu, in riferimento alla esclusione dal riparto dei 900
milioni annui stanziati dallo Stato come contributo agli enti locali.
Il paradosso è che gli tutti gli enti locali intermedi della Sardegna,
i più disastrati d'Italia e tutti con bilancio in disequilibrio,
sarebbero chiamati a contribuire, con oltre 102 milioni di euro
all'anno e per sempre, al risanamento del debito pubblico dello Stato,
con buona pace del principio di leale collaborazione».
Red. Pol.

COMUNE. Anche Polo civico, Riformatori e M5S spingono per elezioni anticipate
«Tornare subito alle urne» Il Pd contesta la maggioranza che sostiene il sindaco Delunas

L'opposizione vuole tornare alle urne e il Pd lancia un appello a chi
sostiene Delunas: «Chi ha a cuore questa città, chiuda questa stagione
infausta: sediamoci a un tavolo tutti insieme per un nuovo progetto».
Il Partito democratico cerca di affondare il colpo sui punti deboli
della coalizione. «La situazione è tragicomica, pur di rimanere
abbarbicati in posizioni politiche allucinanti si stanno inventando di
tutto - commenta il capogruppo Marco Piras - è una maggioranza che ha
sempre vacillato, costruita per traghettare questo sindaco non si sa
per quanto tempo e sperando in non so cosa visto che c'è stato un anno
e mezzo di fallimenti».

Secondo il leader del gruppo Dem la situazione sta andando a rotoli:
«Non riescono a chiudere una partita, l'esempio peggiore è quello del
piano-parcheggi in alto mare. Il sindaco poi dice che tra qualche
tempo ci sarà il nuovo bando di igiene urbana ma servono tempi tecnici
lunghi - spiega Piras - tra un anno rischiamo di trovarci con la città
invasa dai rifiuti». Questo è un dei punti cruciali che stanno
agitando l'opposizione e il Pd insiste perché ci sia un cambio
radicale nella geografia del Consiglio. «Serve un tavolo di confronto
per dare un vero governo di salute pubblica a questa città che è in
ginocchio - attacca - se ne stanno andando tutti dalla Giunta perché
il sindaco gioca a fare l'accentratore senza esserne capace».

Anche dal Polo civico arriva l'invito a voltare pagina, a prescindere
dai rapporti nella coalizione. «Questa amministrazione deve andare a
casa per il fallimento politico e amministrativo, non per le mutazioni
sugli equilibri regionali: la nostra città è da sempre serbatoio di
voti per chi poi neppure si ricorda di ringraziare - commenta Tonio
Pani - Quartu merita ben altra considerazione e solo chi vive
quotidianamente i suoi problemi, le sue criticità, le sue priorità,
può incidere favorevolmente a una vera e propria rinascita».
Sperano che si torni al voto in primavera anche i Riformatori. «Oggi
più che mai sono sempre più convinta che la soluzione migliore sia
andare al voto quanto prima - commenta la capogruppo Marcella Marini -
questa striminzita e variegata maggioranza, non avendo un idea comune
sulle cose da fare, non ha margini di miglioramento, anzi ogni giorno
che passa aggrava una situazione già fortemente deficitaria, creando
un immobilismo amministrativo fuori da ogni controllo». Secondo Marini
la coalizione non è salda da tempo: «Le tensioni tra i vari alleati
non sono una novità, a scadenza regolare ci troviamo di fronte a
questa realtà - conclude - perché l'opportunismo e gli interessi dei
singoli personaggi ormai da tempo prendono il sopravvento rispetto al
bene della città».

Da più parti c'è il timore che il ritorno alle urne possa favorire i
Cinque stelle. «La maggioranza non ha un progetto definito per la
città di Quartu - commenta il capogruppo M5S Guido Sbandi - le
consultazioni di questi giorni non sono altro che un maldestro
espediente per non tornare al voto. Si stanno dividendo le briciole di
una città distrutta da un sistema politico obsoleto. La parola torni
ai cittadini che saranno i veri responsabili del futuro di Quartu».
Marcello Zasso

La Nuova Sardegna

Renzi: «Congresso o primarie, chi perde rispetti il voto». La
minoranza: segreteria di garanzia Direzione Pd per la resa dei conti

di Maria Berlinguer wROMA Per il Pd è arrivato il momento della
verità. Oggi in direzione Matteo Renzi scoprirà le sue carte mettendo
il partito di fronte a due possibilità: elezioni anticipate a giugno
(e comunque entro ottobre) o congresso in tempi strettissimi, da
convocare e chiudere prima delle amministrative e del referendum della
Cgil. E se, tramite l’ufficio stampa dem, l’ex premier fa smentire i
virgolettati usciti domenica sui giornali che davano per certe le sue
dimissioni, Renzi oggi si giocherà anche questa carta se sarà
indispensabile per ottenere un congresso lampo e una nuova investitura
popolare con le primarie. Come prevede lo statuto. In una lettera che
sarà inviata oggi a tutti gli iscritti, il segretario mette i primi
paletti: per rilanciare l'idea del Pd come «motore del cambiamento» in
una Italia che «sembra tornata alla prima Repubblica» e in un’Europa
minacciata da lepenismo e populismo - scrive Renzi - servono «un
grande coinvolgimento popolare e una leadership legittimata da un
passaggio popolare. Ma abbiamo anche bisogno che chi perde un
congresso o le primarie il giorno dopo rispetti l'esito del voto». La
minoranza affila le armi e continua a temere un blitz dell’ex premier
per celebrare un congresso «farsa» e andare a elezioni anticipate. Il
partito del voto subito è in netto calo, anche tra i renziani della
seconda ora. E anche Romano Prodi si è schierato in favore delle
elezioni a scadenza naturale, nel 2018. «Non sono iscritto al Pd da
tre anni, mai disturbare il conducente», dice Prodi a Giovanni Floris.

Ma il fondatore dell’Ulivo si inserisce gioco forza nel dibattito
interno al centrosinistra, confessando di provare «stima» per Giuliano
Pisapia impegnato nel tentativo di riunire la sinistra per un’alleanza
con il Pd capace di raggiungere il 40%. La smentita dell’ufficio
stampa dem sulle dimissioni del segretario agita le acque. Da Firenze,
dove si sono ritrovati alcuni dei leader della sinistra, Michele
Emiliano e Enrico Rossi riescono a far saltare i nervi al mite
vicesegretario del partito con la richiesta di un congresso vero, da
celebrare con tutti i riti del caso. «Renzi dia le dimissioni come ha
annunciato e come ha già fatto Bersani, poi una segreteria di garanzia
come quella di Epifani ci porti a fare il congresso e a discutere di
politica» chiede il governatore della Toscana, pronto a sfidare Renzi.

«Renzi si dimette? Ma è vero che si dimette? Magari stanotte ci
ripensa. Lui il congresso non lo voleva fare adesso lo vuole», spiega
Emiliano. «Renzi abbia il coraggio di dirci che cosa ha in testa, non
possiamo essere il partito di quelli che prendono le decisioni nei
salotti e negli ultimi tempi siamo stati attentissimi alle esigenze di
petrolieri, finanzieri, banchieri e perfino golfisti», infierisce
Emiliano. Parole che insieme a quelle contenute nel messaggio inviato
da Speranza a Firenze che invitano il partito a ricucire con milioni
di elettori che se ne sono andati, fanno arrabbiare Guerini.

«Ora spunta la segreteria di garanzia: se si anticipa il congresso lo si
anticipa davvero, con la procedura indicata dallo statuto: punto»,
ribatte Guerini. «Il resto mi sembra solo un voler perdere tempo con
il tentativo vano di voler logorare il segretario, correndo il rischio
di logorare il nostro partito», aggiunge. «Se si chiede il congresso-
rincara Matteo Orfini, presidente del Pd - si chiede il congresso non
una segreteria di garanzia».

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Federico Marini
skype: federico1970ca


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