giovedì 16 febbraio 2017

Rassegna stampa 16 Febbraio 2017

Unione Sarda

Pigliaru, il ritorno: «Io non mollo»
Anche una frecciata alla maggioranza nella prima uscita in Consiglio
dopo il lungo ricovero Ma ammette:  temevo che la malattia mi costringesse a lasciare

Alla fine la domanda arriva. In questo periodo ha mai pensato: adesso
mollo ? «No. Però c'è stato un momento in cui ho pensato: spero che la
salute mi consenta di non dover mollare». Francesco Pigliaru riappare
in pubblico, o meglio nella sala stampa del Consiglio regionale, dopo
i comunicati e la prima Giunta “post malattia” presieduta giovedì
scorso a Villa Devoto. E non nega un commento sulle voci, nate durante
il ricovero, di un disimpegno forzato.

Mollare, dice il governatore, «sarebbe stato un grande peccato.
Abbiamo fatto cose importanti, riforme profonde che prima nessuno
aveva avuto il coraggio di fare: sanità, enti locali, peste suina». E
adesso? «Sono assolutamente determinato ad arrivare fino alla fine
della legislatura, per dimostrare che quello che abbiamo fatto,
produce risultati».

TIMORI Poi ritorna sulla paura provata nel mese e mezzo di ricovero al
Brotzu per una patologia immunologica: la paura «di dovermi fermare,
perché la salute è fondamentale. Credo invece - ripete - che
riusciremo ad andare avanti con la massima convinzione».
Si sente ancora affaticato, ammette. E la politica come sta? «Ci sono
grandi movimenti a livello nazionale, tante cose che stanno cambiando
e che avranno riflessi anche qua, ma seguiremo tutto», garantisce il
governatore. «Abbiamo bisogno di una maggioranza più compatta, più
disposta ad aiutare le azioni di riforma rispetto a quanto è successo
nel recente passato».

Un concetto, per la verità, che Pigliaru aveva già ribadito appena
dimesso, il 28 gennaio, quando ha scritto agli assessori per
riprendere il controllo delle operazioni politiche della Giunta e
stringere i bulloni - un po' allentati, ultimamente - che uniscono la
maggioranza. E soprattutto per chiarire, in una fase in cui tutti
parlano di nuove vertenze con lo Stato, che la battaglia si combatte
assieme. «Ora più di prima - aggiunge - la parola chiave sia
inclusione , per far sentire tutti parte di un progetto unico».
LE PRIORITÀ Ricompattare ma non solo. Prioritari sono i contenuti.
«Abbiamo due anni di tempo, decisivi in tanti settori. L'agricoltura,
per esempio, è sempre nella mia testa, dobbiamo dare un'idea precisa
che il comparto può costituire davvero un grandissimo volano di
sviluppo per l'Isola».

Ma l'assessorato all'Agricoltura è vacante, gli si fa notare. Come
quello agli Affari generali. Quando saranno riempite le caselle?
«Stiamo lavorando per riempirle nel migliore dei modi». In ogni caso,
sottolinea, «in queste settimane la presidenza e il vicepresidente non
hanno mai smesso di lavorare, anche oggi in conferenza di capigruppo
si è parlato di come utilizzare i 14 milioni di euro stanziati per
arrivare a un prezzo del latte decente, fondamentale per i produttori.
Avere l'Organismo interprofessionale è una grande cosa che ci
permetterà di portare i benefici a tutta la filiera, specie fino ai
produttori che hanno esigenza di vendere il latte a un prezzo più alto
di quello che oggi il mercato sta offrendo».

LE VERTENZE Intanto i rapporti con Roma sembrano cambiati. Il
presidente lo sa bene, visto che la Giunta, su sua proposta, ha
impugnato la legge di stabilità dello Stato. «Abbiamo fatto un patto
con il governo, nel 2014, che non prevedeva ulteriori accantonamenti
di queste dimensioni. Stiamo aprendo un'interlocuzione netta e forte
su questo punto».

A tal proposito, è in programma oggi a Roma, alle 12 e 45, l'incontro
del vicepresidente Raffaele Paci col sottosegretario Gianclaudio
Bressa per discutere le rivendicazioni sarde. «Naturalmente siamo
consapevoli delle difficoltà enormi in cui si trova l'Italia»,
conclude Pigliaru, «ma dobbiamo esserlo ancora di più delle nostre
specifiche difficoltà, a fronte di una sanità che ha costi sempre più
alti, e che nelle altre regioni vengono finanziati dallo Stato. È un
discorso complesso che affronteremo nei minimi dettagli nei prossimi
giorni».
Roberto Murgia

La Nuova Sardegna

Il governatore in Consiglio dopo oltre un mese tra ricovero e convalescenza
«Sto meglio, adesso serve una maggioranza compatta. Priorità? L’agricoltura»
Pigliaru: «Ora più forti arriveremo fino alla fine»

Il Consiglio regionale discuterà mercoledì la mozione di sfiducia
dell’opposizione contro l’assessore all’ambiente Donatella Spano.
Firmata da 22 consiglieri, il primo è Pietro Pittalis, capogruppo di
Forza Italia, la contestazione è su come «Regione e Protezione civile
hanno affrontato l’emergenza neve di metà gennaio».

Secondo la minoranza, «nel peggiore dei modi tanto che troppi Comuni sono rimasti
isolati e sui sindaci è stata scaricata gran parte delle
responsabilità». In effetti, in quei giorni, erano stati più di uno i
confronti aspri a distanza e anche faccia a faccia fra i sindaci,
l’assessore e Graziano Nudda, è il capo della Protezione civile
regionale, proprio sui ritardi e sul mancato utilizzo degli
spazzaneve. Il chiarimento c’è stato una volta passata l’emergenza, ma
il centrodestra ha deciso di ritornare alla carica.CAGLIARI La sala
stampa del Consiglio regionale è ogni giorno un’arena. Chi entra e
chiede udienza spesso rischia grosso, ma non stavolta e non certo se
l’approccio è questo: «Sono qui solo per una visita di cortesia».
Bentornato,presidente. A farsi avanti, con passo deciso, è Francesco
Pigliaru. L’esordio di chi rientra, dopo un mese abbandonante fra
malattia e ricovero in ospedale, è di quelli che spiazza i presenti:
«Mi raccomando niente baci sulla guancia, i medici me li hanno
vietati». Il governatore sta molto meglio: lo davano dimagrito di
diversi chili, pallido e con la voce roca per colpa di un sindrome
autoimmune che l’ha fatto dannare.

Dimagrito lo è anche se molto meno
di quello che raccontavano nei corridoi, insieme ad altre mille altre
possibili disgrazie, ora tutte smentite. Anche il tono di voce è
baldanzoso, alternato a molti sorrisi. Niente baci, allora solo
strette di mano e gli intrecci danno vita, sostanza a un’improvvisata
e allegra catena umana. Che è l’anticipo di un’intervista volante ma
inevitabile, nel secondo passaggio pubblico di Pigliaru. Dopo aver
presieduto venerdì scorso la giunta, è in Consiglio per la riunione
dei capigruppo, un’altra possibile fossa dei leoni. Bentrovato,
presidente. «Grazie. Intanto so che me lo chiederete subito: sto
meglio, molto meglio.

Sono in pieno recupero. Ci vorrà ancora del
tempo, ma spero di essere presto al cento per cento». Non sfugga alla
prima domanda pesante: in queste settimane, ha pensato mai di
dimettersi? «No. C’è stato un momento in cui ho pensato invece: spero
che la salute mi permetta di non mollare, perché andar via sarebbe
stato un gran peccato». Da oggi in poi sarà solo avanti tutta? «Ho la
determinazione di arrivare alla fine della legislatura, per dimostrare
che le nostre riforme porteranno i risultati sperati. Ci aspettano due
anni importanti e decisivi». È un velo di commozione, mascherato a
malapena, a far intuire che la strada del ripresa personale e non solo
potrebbe essere in discesa. Quando non c’era, la maggioranza ha
vacillato poco o molto?

«Non guardo al passato. Sono convinto che la
Sardegna abbia bisogno di una maggioranza più compatta, più pronta a
sostenere le riforme rispetto a quanto è accaduto di recente». Scelga
una parola per dare e darsi la carica. «Inclusione: dobbiamo essere
compatti sui contenuti. Abbiamo approvato delle riforme, penso alla
sanità e agli enti locali, che nessuno finora aveva osato fare. In
questi due anni che mancano alla fine della legislatura, dobbiamo
raccogliere i frutti e consegnarli ai sardi». Dovunque la politica è
in grande fermento. «Alcune cose o forse molte stanno cambiando
soprattutto a Roma. Avranno riflessi anche qui da noi: seguiremo tutto
con molta attenzione». Una priorità. «L’agricoltura, non c’è dubbio. È
sempre nella mia testa ed è una delle leve fondamentali per far
ripartire lo sviluppo». Ma l’assessore non c’è. «Ci sarà presto, ma
devo dire che in queste settimane il vicepresidente Raffaele Paci e
gli uffici hanno lavorato molto bene». Il rimpasto è pronto? «L’arrivo
non è lontano». Con il governo è cominciato un altro braccio di ferro?
«Nel 2014, abbiamo firmato un patto che non prevedeva altri
accantonamenti pesanti a carico della Sardegna. Sono arrivati lo
stesso ed è su questo aspetto specifico che abbiamo aperto un
confronto netto e forte. Naturalmente siamo consapevoli anche delle
difficoltà enormi in cui si trova l’Italia in questo momento». La
Sardegna sta di sicuro peggio. «Le entrate purtroppo non sono
aumentate per effetto della grave crisi economica. Sono però
fiducioso, il governo ascolterà le nostre giuste richieste, e sono
anche ottimista. Perché, seppure con fatica, la Sardegna uscirà dalle
sabbie mobili». (ua)

RIMPASTO Pds frena sui tempi Forse chiederà un assessore in più

CAGLIARI Il Partito dei sardi frena sui tempi del rimpasto di giunta:
«Prima deve esserci un faccia a faccia fra i partiti della
maggioranza», ha scritto il segretario Franciscu Sedda in un lettera
aperta indirizzata a Pigliaru. Lettera in cui, dopo aver ricordato
l’ascesa del partito, pare rivendichi, seppure sotto traccia, un
secondo assessorato dopo quello ai lavori pubblici. «Ti scrivo perché
leggo di tue imminenti decisioni in merito alla nuova giunta e al
rilancio dell'azione di governo. Immagino che non sia così e sono
certo che hai già in mente di convocare i partiti per spiegare le tue
ipotesi e e i tuoi progetti.

Per ascoltare e mettere a frutto i nostri
suggerimenti. Attendo fiducioso, attendiamo fiduciosi, nella
convinzione, ribadita anche da te in altri vertici di maggioranza, che
una più forte ed efficace azione di governo passi sempre dalla
condivisione a monte di idee, obiettivi e scelte». Per poi aggiungere:
«Il Pds è oggi la seconda forza della coalizione (durante la
legislatura è passato da tre a cinque consiglieri regionali) e per
questo vorrebbe contribuire con più forza a far crescere la qualità
dell'azione di governo e aumentare la percezione che siamo tutti
impegnati in un grande lavoro per la Sardegna». È questo il passaggio
destinato presto a essere tradotto anche nella richiesta di una
seconda delega? Potrebbe essere. Lo si capirà meglio nei prossimi
giorni, quando tutti i partiti del centrosinistra scioglieranno le
ultime riserve.

campo progressista Manconi promuove Pisapia: utile a tutto il centrosinistra

SASSARI Anche il senatore Luigi Manconi aderisce al Campo progressista
di Giuliano Pisapia. «Seguo e condivido da molti anni la sua attività
pubblica – dice il parlamentare sassarese eletto in Sardegna nella
lista del Pd –. Quella di parlamentare prima e quella di sindaco di
Milano dopo. E, negli ultimi mesi, la sua riflessione sulla crisi
profonda del centrosinistra, e sulle esigenze e urgenze imposte
dall’attuale disastrato quadro politico. Al di là di alcune
divergenze, sulla scelta referendaria del 4 dicembre, ad esempio,
condivido la gran parte della sua analisi e della sua prospettiva.

Per questo, da cittadino, da militante politico e da parlamentare, intendo
aderire al progetto da lui promosso che prende il nome di Campo
progressista. Penso che sia una proposta utile a tutto il
centrosinistra, al fine di rilanciare l’iniziativa civica, il
rinnovamento delle idee e delle modalità dell’azione politica». Tra i
sardi che hanno già detto sì a Pisapia anche i parlamentari ex Sel
Luciano Uras e Michele Piras, il deputato del Cd Roberto Capelli e il
sindaco di Cagliari, Massimo Zedda.

Unione Sarda

Pubblicati sul web i programmi degli aspiranti leader in attesa degli
sviluppi nazionali
Pd sardo, ora il congresso può slittare Ma ai tre candidati l'ipotesi non piace

Appesi alle corse di Renzi, alle paturnie di Bersani. Se un battito
d'ali di farfalla scatena uragani dall'altra parte del mondo,
figurarsi quanti sconquassi può fare in Sardegna ciò che sta accadendo
nel Pd a Roma. L'ipotesi del congresso nazionale anticipato, che si
porta appresso i rischi di scissione, potrebbe far saltare - o
quantomeno ritardare - il percorso avviato nell'Isola per restituire
un segretario regionale a un partito che ne è privo da nove mesi.
In teoria le due vicende sono separate. Per il 19 marzo sono fissate
le primarie in Sardegna, e anche in Veneto e Liguria: nulla vieta che
si proceda regolarmente, anche in caso di accelerazioni della fase
nazionale. Ma è chiaro che la fretta renziana cambia tutto. Ha senso
chiamare due volte al voto iscritti ed elettori, a distanza magari di
poche settimane?

DIPENDE DALLA DATA A quel punto diventeranno decisivi i tempi. Per un
congresso nazionale anticipato si parla di un arco di tempo che va da
metà aprile a metà maggio. In ogni caso, non sembrano granché
favorevoli allo slittamento i tre candidati alla segreteria regionale
(che tra l'altro proprio ieri, come previsto dalla tabella di marcia
congressuale, hanno pubblicato sul sito web del Pd sardo le proprie
dichiarazioni programmatiche). Anche se lo dicono con sfumature
diverse.

«Personalmente non sono d'accordo al rinvio», fa sapere Francesco
Sanna: «Dopodiché, se invece la maggioranza del partito sarà di
diverso avviso, lo accetterò». Secondo Yuri Marcialis «un conto è un
differimento che sia davvero di pochissime settimane. In quel caso le
primarie contemporanee potrebbero anche essere una soluzione
ragionevole. Ma un rinvio a lungo termine, o addirittura un
annullamento del percorso fatto fin qui, sarebbe strano». Più prudente
Giuseppe Luigi Cucca: «Deciderà il partito nazionale, io mi atterrò
scrupolosamente a quella scelta. Però non vedo grossi problemi a
svolgere prima il congresso regionale e poi quello nazionale».
PERCHÉ NO La contrarietà degli aspiranti segretari nasce da
considerazioni molto simili tra loro.

«C'è la necessità che il partito
riprenda subito a dialogare con la gente - prosegue Cucca - e a
discutere dei problemi concreti dei sardi. Bisogna anche ritornare a
dare un forte supporto alla Giunta Pigliaru. In Sardegna il Pd è molto
sfilacciato, dobbiamo rimetterci in movimento: più tardi si fa, peggio
è». «Credo che le questioni sarde abbiano una loro specificità che
deve rimanere separata dal dibattito nazionale», è il ragionamento di
Francesco Sanna: «Io, in ogni caso, farò tutti gli sforzi possibili
per distinguere i due piani. Sul ruolo del Pd in Sardegna, a mio
parere, dev'essere preservata l'attenzione dell'opinione pubblica
senza le “distrazioni” indotte dalle primarie per la segreteria
nazionale».

Yuri Marcialis, oltre a condividere questa impostazione, è anche
scettico sull'utilità della brusca accelerazione proposta da Matteo
Renzi: «Al Pd il congresso serve, sicuramente, ma per discutere. Non
per contarsi e basta. Tempi così stretti non aiuterebbero, perché non
consentirebbero di avviare nessuna riflessione seria sulla direzione
da imboccare per il futuro del partito e del Paese».
Ma che cosa accadrà in Sardegna si potrà capire davvero solo dopo la
resa dei conti del prossimo fine settimana nell'assemblea nazionale.
Allora si saprà la data effettiva del congresso, ma soprattutto si
vedrà se verranno messe in pratica le minacce di scissione. Le corse
di Renzi e le paturnie di Bersani, si diceva: almeno fino a domenica,
il Pd sardo resta appeso.
Giuseppe Meloni

La Nuova

Ma i tre candidati alla segreteria regionale difendono la data del 19 marzo
Pd, il congresso ostaggio di Roma

CAGLIARI Il congresso regionale del Pd è nelle mani di Roma. O meglio
dell’assemblea nazionale di domenica in cui Renzi potrebbe presentarsi
dimissionario e poi aprire subito le danze per il vertice del partito.
Se così fosse, tutte le altre scadenze di marzo, oltre che in Sardegna
le primarie sono state annunciate in Liguria e Veneto, potrebbero
essere congelate fino a slittare all’inizio di maggio. Ma i tre
candidati alla segreteria regionale non sono così sicuri che questo
accadrà. Anzi, Francesco Sanna (soriano), Giuseppe Luigi Cucca
(renziani ed ex Diesse) e Yuri Marcialis (Sinistra Dem e La
Traversata) vorrebbero l’esatto contrario: la conferma del 19 marzo
come giorno in cui sarà eletto il successore del dimissionario Renato
Soru. Il motivo è lo stesso per tutti e tre: «Il Pd sardo ha bisogno
di una guida. Siamo da troppi mesi senza.

Il confronto politico è una
necessità e non può essere rinviato». Soprattutto perché la macchina
congressuale è in movimento da più di una settimana, con i programmi
dei candidati già pubblicati sul sito del Pd sardo, mentre il 4 marzo
saranno presentate le liste a sostegno di ciascuno dei tre. «Le
decisioni nazionali avranno il loro peso ma penso che il rinvio del
nostro congresso potrebbe essere al massimo di una settimana. Cioè:
sarà possibile solo nel caso in cui entro marzo, ai gazebo, si voti
anche per il segretario nazionale e allora sì che le doppie primarie
potrebbero svolgersi lo stesso giorno», è il pensiero del senatore
Giuseppe Luigi Cucca. Per il deputato Francesco Sanna, che in queste
ore ha lanciato l’hashtag Passione e non scissione, il ragionamento
non è molto diverso: «Dobbiamo evitare che il congresso nazionale
soffochi quello regionale.

Dopo troppe contrapposizioni, il Pd sardo
deve rappacificarsi e può succedere solo se non saremo distratti
troppo dagli avvenimenti romani». Chi non ha dubbi è Yuri Marcialis:
«Il nostro gruppo è da sempre per un partito autonomo e federato,
quindi andiamo avanti con i tempi decisi dall’assemblea regionale».
Sempre per Marcialis, in Sardegna è lontana anche la tempesta della
possibile scissione: «Penso anzi che il congresso sardo potrebbe dare
l’esempio su come possiamo stare uniti nonostante le differenze». Tra
l’altro oggi Cucca, Sanna e Marcialis avranno gli incontri bilaterali
chiesti dall’area dei popolari-riformisti, che un suo candidato non
l’ha presentato e deve ancora decidere chi sostenere. Con Giacomo
Spissu, portavoce della corrente, deciso nel dire: «Non possiamo stare
fermi in attesa di Roma. Per noi la data non cambia».

La scissione sembra più vicina
E intanto a Roma la battaglia si sposta sulla legge elettorale

Mentre sembrano fallire i tentativi di mediazione per evitare una
scissione sempre più probabile, la battaglia tra le aree del Pd si
sposta sulla legge elettorale. Ieri a Montecitorio una lunga assemblea
dei deputati Dem ha riaperto la discussione sulle regole del voto. I
bersaniani chiedono di eliminare il meccanismo dei capilista bloccati
(cioè indicati dai partiti, senza voto di preferenza).

Durante la riunione del gruppo il deputato Enzo Lattuca, vicino all'ex
segretario, ha depositato e chiesto il voto di un ordine del giorno
che «impegna attivamente» il gruppo per «giungere all'approvazione di
un sistema elettorale che, in coerenza con le determinazioni
dell'assemblea nazionale, sia imperniato sui collegi uninominali, e,
in ogni caso, qualora ciò non fosse possibile, superi il meccanismo
dei capilista bloccati nei collegi plurinominali». Diversa la
posizione del capogruppo Ettore Rosato: «Il Pd ha sua proposta, il
Mattarellum, votata all'unanimità dall'assemblea del partito. Ora si
avvia il confronto con le altre forze politiche».

Nel frattempo, ieri l'area dei Giovani turchi (con le due componenti
che fanno riferimento al ministro Andrea Orlando e a Matteo Orfini) ha
tentato una mediazione con un documento che propone «un confronto
programmatico nella fase iniziale del percorso congressuale».
L'intento era superare le obiezioni della minoranza interna, secondo
la quale l'anticipazione del congresso porterebbe a una conta senza
una seria riflessione sui contenuti. Ma la minoranza avrebbe già
respinto la mediazione dei Giovani turchi: «La nostra posizione è
chiara, congresso in autunno e voto nel 2018», ha detto Roberto
Speranza al termine di una lunga riunione dei deputati della
minoranza. Nell'incontro si è deciso di partecipare all'assemblea di
domenica: «Ci andremo», ha detto Pier Luigi Bersani, «ma non vediamo
novità».

Ciccolini-Deiana La battaglia dell'Anci: decisione entro febbraio

Non sono stati riuniti, ma è molto probabile che la decisione sui due
ricorsi presentati contro la sezione sarda dell'Associazione nazionale
Comuni italiani (Anci) dal sindaco di Bitti, Giuseppe Ciccolini (Pd),
saranno decisi contestualmente. Nell'udienza di ieri il giudice del
Tribunale civile di Cagliari, Ignazio Tamponi, ha chiuso la
discussione tra le parti ed è andato a decisione. Tra una settimana,
massimo dieci giorni, potrebbe arrivare il verdetto.

Sul tavolo ci sono dunque le due impugnazioni presentate dal primo
cittadino di Bitti. La prima contesta la decisione dell'ufficio di
presidenza dell'assemblea congressuale dell'Anci Sardegna che ha
bloccato la sua elezione al vertice dell'associazione per la mancanza
del quorum lo scorso 23 settembre. La seconda, notificata in seguito,
punta ad annullare l'elezione del 30 gennaio scorso di Emiliano Diana,
sindaco di Bortigiadas (sempre Pd) alla presidenza dell'Anci isolana.
Ad assistere Ciccolini c'era in udienza l'avvocato Francesco Stara,
mentre l'Anci è difesa dai legali Mauro Barberio e Stefano Porcu.
Andati a decisione i due ricorsi, il giudice si dovrà pronunciare
anche sull'istanza degli avvocati dell'associazione che hanno
sollecitato il trasferimento del procedimento al Tar. (fr. pi.)

MUNICIPIO. Il sindaco avverte: «Chi si dimette perde tutto»
Delunas a caccia di alleati Braccio di ferro in Giunta

Il clima in via Eligio Porcu è sempre più teso. Gli incontri
bilaterali che il sindaco sta portando avanti per cementare la
maggioranza stanno dando vita a un braccio di ferro tra le varie forze
in campo.

GLI SCENARI Sono settimane cruciali per la tenuta della Giunta perché
Delunas ha davanti a sé tre prospettive: una rosea e due drammatiche.
Se riuscisse a chiudere le trattative con tutti gli alleati potrebbe
restare in sella e passare indenne attraverso l'ennesima burrasca di
questa consiliatura. Se invece dovesse mancare il sostegno di qualche
esponente della maggioranza verrebbe giù l'intero castello e i
quartesi tornerebbero alle urne in primavera. Ma si potrà andare al
voto solo se la giunta cadrà almeno un mese e mezzo prima delle
elezioni, quindi il termine ultimo potrebbe essere la metà di aprile.
C'è, però, anche la possibilità che nessuno si assuma la
responsabilità di staccare la spina e il terremoto arrivi in Aula con
il bilancio, perché non è scontato che il sindaco abbia i numeri.
Sono giorni di grandi calcoli e ragionamenti e Stefano Delunas ne ha
approfittato per mandare un messaggio-avvertimento agli alleati
ricordando su Facebook che per i consiglieri comunali che meditano di
dimettersi e farlo cadere «la cessazione dalla carica comunale
comporta la decadenza da consigliere metropolitano». Tradotto: se
Tonino Lobina decide di voltargli le spalle deve tenere in
considerazione che lasciando Quartu deve abbandonare anche l'Aula di
piazza Palazzo.

ALLEATI CERCASI Sul fronte delle alleanze, dopo le precisazioni del
consigliere Upc Enrico Frau arrivano, anche quelle del suo segretario
provinciale sui rapporti con Delunas. «Si attende di conoscere da lui
i nominativi degli assessori e le modalità di rilancio dell'azione di
governo cittadino, basata sui programmi e le azioni future - commenta
Marcio Basciu -. Le continue dimissioni di vari assessori succedutesi
nei mesi scorsi, e in particolare del valido assessore Roberto
Cannarella, espressione di Quartu Riparte e riferimento Upc, lasciano
in sospeso il quadro politico della città».
Marcello Zasso

La Nuova Sardegna

Il leader: stop ai ricatti. Fassino e Martina: serve convenzione programmatica
Bersani strappa: «Saremo all’assemblea ma se non si aggiusta, la
storia è finita» Pd, la mediazione non riesce Renzi tenta l’ultima carta ma la scissione è a un passo di Gabriele Rizzardi wROMA

Deciso ad apparire come quello che non
vuole sfasciare il Pd, Matteo Renzi apre alla minoranza in un
tentativo estremo di ricucitura prima che lo strappo sia irreparabile.
«Il verbo del congresso non è andatevene, ma venite non sarà scontro
sulle poltrone ma confronto delle idee. Una scissione sulla data del
congresso» scrive l’ex premier nella sua e-news settimanale «sarebbe
incomprensibile. Inspiegabile far parte di un partito che si chiama
democratico e aver paura della democrazia. Il dibattito interno non
interessa i cittadini. Si riparte, ci si rimette in cammino, c’è
bisogno di tutti». Tanto per cominciare Renzi, che dà appuntamento dal
10 al 12 marzo al Lingotto di Torino, non sarà il segretario reggente
del Pd in vista del congresso.

Durante l’assemblea di domenica
prossima il testimone passerà al presidente del partito, Matteo
Orfini. Ed è questo un primo segnale di disponibilità inviato alla
minoranza interna. La scissione è inevitabile? A stretto giro arriva
la doccia gelata da Enrico Rossi, Michele Emiliano e Roberto Speranza,
che sono i tre candidati alternativi a Renzi. Prima una comunicazione:
«Sabato mattina saremo tutti assieme al teatro Vittoria, con
l’obiettivo di costruire un’azione politica comune e per impedire una
deriva dagli sviluppi irreparabili». Poi parte una freccia
“avvelenata” contro l’ex premier: «L’esito della direzione è stato
profondamente deludente e ha sancito la trasformazione del Partito
democratico nel Partito di Renzi, un partito personale e leaderistico
che stravolge l’impianto identitario del Pd e il suo pluralismo». Ce
n’è quanto basta per immaginare che senza una svolta nelle prossime
ore, la strada sia segnata.

E la conferma arriva da Pier Luigi Bersani
che ieri ha riunito i suoi alla Camera per capire se ci sono ancora
gli spazi per negoziare dentro il Pd: «Passi avanti non ne vedo.
Cerchiamo fino in fondo di non rompere. Vediamo se da qui a domenica
viene data risposta alle nostre richieste. Questa volta non si
scherza». La riunione dei bersaniani si conclude e Roberto Speranza
annuncia che domenica saranno all’assemblea del Pd. Poi fa capire qual
è la posta in gico: «La nostra posizione è chiara, congresso in
autunno e voto nel 2018». A Montecitorio le riunioni sono andate
avanti per tutto il giorno. Oltre ai bersaniani, si sono visti tutti i
componenti dei “giovani turchi” ma anche Emiliano ha fatto una
riunione di corrente mentre Renzi, due giorni fa, ha parlato a lungo
con Dario Franceschini. Tutti al lavoro per evitare la scissione.
Emiliano si dice d’accordo con Orlando sulla necessità di tenere una
conferenza programmatica.

Ma i “giovani turchi” in serata fanno sapere
di volere non una conferenza programmatica prima del congresso ma
un’assemblea programmatica tra l’avvio della raccolta delle firme ed
il termine della presentazione delle candidature (venti giorni). La
minoranza del Pd, comunque, ritiene non concreta l’ipotesi di una
conferenza programmatica che pure è stata avanzata da diversi settori
del partito come possibile mediazione. «Con l’annuncio di Renzi del
Lingotto il 10-12 marzo è evidente che non c’è alcuno spazio per una
conferenza programmatica. Renzi ha deciso di tirare dritto» taglia
corto un bersaniano. E pazienza se a provare una mediazione ci pensano
anche e soprattutto Piero Fassino e Maurizio Martina: «Proponiamo che
la Convenzione nazionale divenga pienamente Convenzione
programmatica». Quel che è certo è che la dead line di Renzi resta la
stessa: il congresso deve tenersi in ogni caso prima delle
amministrative. Ma l’exit strategy per evitare la scissione non c’è
ancora: «Io combatto per le idee, non per le liste. Se non si aggiusta
il congresso il Pd non c’è più» si sfoga Bersani.

Alta tensione fino a notte fonda all’incontro plenario dei parlamentari Dem
In discussione la legge elettorale. Alla minoranza piace il premio
alla coalizione

Boccia: «Ok Franceschini ma via i capilista bloccati»
di Maria Berlinguer
ROMA Si continua a cercare una mediazione per evitare le scissione e
anche per attribuire ad uno dei campi la rottura. Sono le 22 quando
Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio, lascia per
qualche minuto l’assemblea dei parlamentari del Pd dove la tensione è
palpabile. All’ordine del giorno la scissione, ma anche la legge
elettorale. Dario Franceschini ha riproposto di spostare il premio di
maggioranza dalla lista alla coalizione. «Un passo in avanti
importante», dice Francesco Boccia, presidente della commissione
Bilancio, molto vicino a Michele Emiliano. Ma Boccia ora chiede
cancellare anche i capolista bloccati. Uno degli strumenti con cui il
segretario del partito potrebbe far fuori tutti gli oppositori
interni. Restare o andare via è una questione di posti? «Assolutamente
no. Apprezzo il tentativo di mediazione che sta facendo Dario
Franceschini sulla questione del premio ma ritengo che il Pd dovrebbe
finirla di sostenere ipocritamente il Mattarellum visto che nessun
altra forza politica è d’accordo per votare almeno al suo interno per
cancellare i capolista bloccati. Mancano dieci mesi alla fine della
legislatura, c’è il tempo per cambiare la legge elettorale».
Franceschini e Orlando stanno mediando.

Ci sono ancora margini per
evitare lo strappo. Possibile che si tratti solo di una questione di
date del congresso? «Vedremo. Non è una questione di date ma di
sostanza. Noi chiediamo di discutere, di confrontarci sulla linea
politica, sulle scelte economiche che dovrà fare il Pd. La stagione
dell’uomo solo al comando non mi pare ci abbia portato lontano. Non si
può fare un congresso in due mesi per cercare un nuovo plebiscito con
le primarie. Bisogna avere il tempo per spiegare a militanti e
cittadini il programma dei candidati». Andrea Orlando ha proposto una
conferenza programmatica prima del congresso. Vi basta per restare?
«Sarebbe un segnale di apertura.

Certo, oggi mi sembra che ci siano
stati passi avanti. Renzi dice il verbo non è andate ma venite. Ma poi
al massimo è disposto a concedere primarie a maggio, invece che ad
aprile. Un po’ poco. Tra l’altro ormai vedo che c’è sfiducia totale.
Un pezzo di partito è già un passo fuori. Vedremo domenica cosa
succede. Tocca a Renzi provare a tenere unito il partito». Possibile
sia così importante la data del congresso? «Non è affatto un
dettaglio. La segreteria deve essere contendibile. I candidati devono
avere il tempo di girare nei territori per spiegare i programmi. Un
giorno, per ogni provincia che sono 180, fanno quattro mesi, si arriva
a settembre». Comunque Renzi è riuscito a compattare le minoranze. Per
ora i candidati alla segreteria sono tre.

E sabato a Roma, Roberto
Speranza e Michele Emiliano parteciperanno alla convention di Enrico
Rossi. E’ destinata a durare l’unità della sinistra dem? «Spero di sì.
Ed è fondamentale anche per le sorti del governo. Bersani in direzione
ha chiesto al partito l’impegno a garantire la fine della legislatura.
Ci sono un mucchio di cose da fare, c’è da correggere degli errori.
Dobbiamo intervenire sulla scuola e sugli Enti locali, Preoccuparci
della crescita.

Anche su questo punto però non sono stati presi
impegni. E’ stupefacente». Domenica andrete all’Assemblea nazionale?
«Sì andremo. Il nostro obiettivo non è andare via, ma cambiare questo
partito. E come ha spiegato ieri Emiliano è giusto partecipare
all’Assemblea. Noi speriamo fino all’ultimo di evitare strappi
definitivi». Il Pd però sembra in preda ad una crisi di nervi. Per
tutta la giornata ci sono state convulse riunioni e assemblea di
correnti. Vede scricchioli nella maggioranza che ha sostenuto fin qui
Matteo Renzi? «Ci sono ripensamenti. Il problema però ribadisco non è
solo quello del leader ma della politica che proponiamo al Paese. Sui
giovani, la crescita, il Mezzogiorno. Che ricette abbiamo? E
sull’Europa?» Questioni abbastanza complicate da risolvere in qualche
giorno... «Infatti, per questo serve un momento di riflessione. Basta
con questo mito della corsa frenetica, così si va a sbattere»

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Federico Marini
skype: federico1970ca



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