martedì 21 febbraio 2017

Rassegna stampa 21 Febbraio 2017

Il futuro metropolitano:  «Risorse già disponibili, faremo una super città»

C'è una cosa che accomuna il sindaco della città metropolitana Massimo Zedda e il ministro della Coesione territoriale Claudio De Vincenti: il dono di semplificare le cose o, almeno, di farle apparire semplici. Accade così che avviare i progetti milionari che trasformeranno 17 comuni in una super-città del sud Sardegna possa apparire una cosa facile facile. «Perché - e questa è la notizia vera - i 168 milioni stanziati per le opere sono già disponibili».

LA CONFERENZA L'incontro nella sala consiliare al primo piano del Palazzo Viceregio arriva dopo un'ora di analisi «tecnica» a porte chiuse e il dibattito con i primi cittadini dell'area vasta ha da subito una connotazione pratica: una riunione per fornire le istruzioni d'uso necessarie a usufruire delle risorse a sei zeri. Per mettere in moto la macchina sarà sufficiente che «il responsabile di ogni procedimento si registri alla Banca dati unitaria e segua le indicazioni riportate nella lettera che è stata inviata dal ministero», spiega il rappresentante del governo Gentiloni. Come fosse il progetto di un cantiere qualunque, il referente dovrà attivare il codice unico e chiedere l'anticipazione del 10 per cento dell'importo totale per avviare la pratica. Tutto qua. Poi si andrà avanti per stati di avanzamento lavori.

I PROGETTI Quindi, a conti fatti, se tutti i responsabili attivassero subito le procedure per i progetti contemplati ne l piano della Città metropolitana ci sarebbero già 16,8 milioni di euro pronti da spendere. Soldi destinati alla riduzione del rischio idrogeologico, la mobilità sostenibile, i parchi urbani, l'edilizia scolastica e le strade extra-urbane, questo a volersi fermare all'agenda descritta dal ministro che ha indicato i temi cruciali del piano. E proprio sulla questione del rischio idrogeologico il sindaco di Quartu Stefano Delunas ha voluto sensibilizzare De Vincenti.

«Si tratta di un tema particolarmente delicato per noi amministratori che viviamo nel timore di ricevere un avviso di garanzia». Fedele alla capacità di semplificazione mostrata fin dall'inizio, il ministro ha ringraziato per l'osservazione e invitato tutti a «avvisarci subito se qualcosa non dovesse andare come previsto, così potremo intervenire».

Soddisfatto il sindaco Massimo Zedda, reduce dall'incontro di sabato mattina con il premier Paolo Gentiloni che ha portato 18 milioni alla città di Cagliari grazie al bando per le periferie. «Non posso che ringraziare il ministro per aver mantenuto l'impegno ed essere venuto a verificare tutti i progetti e lo stato di avanzamento delle procedure di gara. Ma soprattutto è venuto a fare chiarezza sulla perplessità legata alle risorse, sul quando arriveranno i soldi».

Messo da parte il capitolo, per nulla secondario, delle risorse da spendere, il sindaco ha spiegato che dovranno essere i singoli Comuni a portare avanti le pratiche. «Di certo partiamo in vantaggio su molti punti e in alcuni casi i progetti potranno basarsi sull'esperienza passata». Il primo pensiero è per il lungomare Poetto.

L'IMPEGNO DEI COMUNI «Il Comune di Quartu non dovrà fare altro che usare tutto quel che è già stato fatto dal Comune di Cagliari e uniformarlo perché il lungomare è unico». Progettazione, autorizzazioni e persino la scelta dei materiali da utilizzare per la riqualificazione del litorale sono già stabiliti. «I progetti sono presentati dalla Città metropolitana e dai 17 Comuni, come stazioni appaltanti perché questo consentirà di snellire le procedure».

L'invito del sindaco metropolitano ai colleghi è dunque quello di darsi da fare. «Le priorità sono date dalla bravura e dalla tempistica
di ogni singola amministrazione».

Mariella Careddu


Unione Sarda

E nell'Isola il congresso potrebbe slittare a maggio
I democratici sardi si preparano alla scissione e pensano a rinviare le primarie

Lo slittamento del congresso del Pd sardo è sempre più probabile.
Dipende tutto da ciò che accadrà oggi nella direzione nazionale
convocata da Matteo Orfini. Ma se, come sembra, il congresso nazionale
dovesse essere fissato per il 7 maggio, allora, sostiene il deputato
Dem dell'ex minoranza Pd, Siro Marrocu, «non c'è ragione per chiamare
gli elettori al voto due volte a distanza di nemmeno due mesi». Così,
invece che il 19 marzo, le primarie potrebbero essere celebrate
direttamente a maggio. Lo stesso potrebbe accadere agli altri due
congressi regionali convocati (Liguria e Veneto).
L'ATTESA «Abbiamo sospeso gli incontri già calendarizzati con i tre
candidati alla segreteria sarda, siamo appesi per la situazione che si
è venuta a creare a livello nazionale», ha detto il portavoce
dell'area dei Popolari riformisti (Cabras-Fadda), Giacomo Spissu. Che
aggiunge: «Chiamare per due volte al voto il popolo delle primarie e
degli iscritti comporta anche problemi dal punto di vista
organizzativo».

GLI ARGOMENTI Comunque sia, ha commentato il senatore Ignazio Angioni,
«il congresso sardo dovrà essere focalizzato sui problemi reali
dell'Isola, sull'operato della Giunta regionale». Angioni ha
partecipato alla drammatica assemblea di due giorni fa: «Per la verità
- ha ammesso - tutti in sala abbiamo pensato ad un allontanamento
dell'ombra della scissione quando ha parlato Michele Emiliano, per poi
scoprire con sconcerto che la posizione della minoranza non era in
realtà cambiata». Ancora, però, il senatore preferisce tenere il
giudizio sospeso, almeno fino alla direzione nazionale di oggi. Nella
speranza che la rottura venga evitata.

Intanto, non sembra che al momento ci sia qualcuno in Sardegna
disposto a seguire la minoranza rappresentata da Emiliano, Rossi e
Speranza. Almeno per il momento. La scissione, infatti, comporterebbe
la nascita di un nuovo soggetto politico. Si aprirebbe uno spazio e
questo potrebbe suscitare interesse.
Roberto Murgia

La Nuova

In Sardegna nessuna fuga dal partito
Restano tre i candidati alla segreteria, il congresso verso lo slittamento
SASSARI Nessuna fuga. Il Pd sardo davanti al rischio scissione si
mostra compatto. Gli scissionisti non abitano in Sardegna. Ma qualche
effetto sul congresso regionale sembra inevitabile. I tre candidati
non fanno passi indietro. Ma il voto per scegliere il nuovo segretario
dovrebbe slittare al 7 maggio, lo stesso giorno delle primarie. La
direzione nazionale questa mattina prenderà la decisione definitiva.
Con quello sardo devono svolgersi anche i congressi in Veneto e
Liguria ed è probabile che ci sarà una sorta di election day del Pd. I
tre candidati. Per ora nessuno dei tre candidati mostra incertezze.

Il senatore Giuseppe Cucca stronca sul nascere una voce incontrollata che
lo dava tra i senatori scissionisti. «Tutto falso – spiega –, mai
condiviso nulla del percorso di chi vuole andare via dal Pd. Al
contrario io lavoro per l’unità». Cucca parla del Pd sardo.
«Nell’isola non c’è la stessa agitazione che si registra a livello
nazionale. Abbiamo la stessa idea della necessità di un’azione
politica forte per il rilancio del partito. Credo che per evitare
eventuali tensioni congressuali ci sarà una concomitanza con quello
nazionale». Il deputato Francesco Sanna, che fa parte della direzione
nazionale continua il suo lavoro di cucitura. «Farò tutto il possibile
per evitare la scissione – spiega –. Secondo me sarebbe una sciagura.
Nel mio piccolo continuo a lavorare su questo aspetto. Credo che lo
strappo sarebbe una sproporzione. Se avviene l’uscita di amici e
compagni che hanno un loro significato nella storia del partito io
penso che sia un atto grave che ferisce in modo profonda chi resta».

E sul Pd isolano. «Io penso che il pd sardo abbia una relazione
indissolubile con quello nazionale. se e dovesse accadere la scissione
il congresso regionale dovrà fermarsi e capire se la straordinarietà
possa influire sulle cose sarde. Non si tratta di date, ma di
mantenere un patto di lealtà. Se qualcuno ha dubbi meglio lo dica
prima del congresso e non dopo». Anche il terzo candidato, Yuri
Marcialis, non ha dubbi. «Io faccio parte del Pd. Dico di più –
afferma – per me la data del congresso e le regole non devono essere
messe in discussione. Sento voci di possibili slittamenti. Non
concordo. Noi abbiamo presentato un progetto.

Un programma molto chiaro, un partito sardo autonomo e federato con Roma, questo è il progetto migliore per tenere unito il Pd sardo. Siamo convinti che se
quel progetto vincerà il partito sarà più forte e più unito. C’è un
problema di gruppo dirigente sardo. Noi abbiamo lanciato l’idea e
abbiamo fatto l’esempio di Cagliari. Abbiamo vinto grazie al
cambiamento. Dall’altra parte ci hanno risposto candidando un deputato
e un senatore». (l.roj)

Pd, il divorzio è inevitabile Appello del ministro Orlando: «Se serve, mi candido». Letta: «Non può finire così» Oggi la direzione del partito si riunisce senza la minoranza

ROMA Il giorno dopo l'assemblea dei veleni, non c'è tregua in casa Pd.
Alla direzione convocata oggi per scrivere le regole del congresso non
parteciperà la minoranza rumorosa riunita da Pier Luigi Bersani, che
però non annuncia ancora l'addio a un partito ormai spaccato. E mentre
Enrico Rossi, ala sinistra del tridente schierato contro Renzi, si
dice pronto a restituire la tessera, il ministro della Giustizia,
Andrea Orlando, prova a mediare tra le rissose anime Dem: «Mi candido
- avverte - se serve a evitare la scissione». In tutto questo marasma,
si leva un nuovo forte appello all'unità: «Non può finire così»,
implora i litiganti Enrico Letta invocando «generosità e
ragionevolezza».

LA MEDIAZIONE «Qualunque problema abbia il partito, l'idea che lo si
possa risolvere con la scissione è sbagliata: apre un fronte che
consente alla destra di rafforzarsi». Così Orlando ribadisce un
concetto più volte espresso negli ultimi giorni. Dice che non c'è
bisogno di «mettere altri candidati in pista» e di essere pronto a
correre per la segreteria se potrà essere utile a evitare divisioni.
«Noi – aggiunge - abbiamo troppo concentrato la nostra attenzione
sulle persone. Se le forze politiche stanno insieme solo su un leader
e non su un programma alla prima curva rischiano di ribaltarsi.
Dobbiamo dire prima di tutto come riposizioniamo il Pd dopo la
sconfitta al referendum del 4 dicembre». Distinti e distanti da Renzi,
ma dentro il partito. Una nuova area di ex Ds che metterebbe insieme
anche Gianni Cuperlo e Cesare Damiano. Dall'ex ministro del Lavoro una
mezza conferma: «Ci siamo sentiti con Cuperlo, Orlando e altri. In
queste ore ci sono moltissimi contatti. È in corso un ragionamento,
vediamo dove porta».

GLI SCISSIONISTI «Fino a martedì mi tengo le mani libere, lavoro fino
alla fine per un'intesa», promette Michele Emiliano, reduce dalla
muscolare assemblea di domenica. «Ma da Renzi - ammette deluso -
neanche mezzo segnale». Chi sembra invece avere pochi dubbi sulla
scissione è il tandem Speranza-Rossi. «Renzi ha alzato un muro e ci ha
dato solo bastonate», commenta amaro il governatore toscano in
un'intervista al Corriere della Sera . «La scissione è una sua scelta,
non ci resta che prenderne atto. È venuto con l'idea di darci una
spinta e pure l'ultimo tentativo di Emiliano è stato stracciato». E
quindi, «io non voglio stare nel partito di Renzi. Stavo pensando di
rispedire la tessera alla mia sezione, con una lettera». Ora
«lavoriamo ad un altro soggetto politico con l'intento di rafforzare
un nuovo centrosinistra». Nel futuro, insomma, c'è il divorzio: «Ci
sarà – prevede Rossi - un gruppo formato da chi esce dal Pd e chi esce
da Sinistra Italiana, ma sosterrà il governo Gentiloni».

LA MINORANZA Chiudendo l'assemblea nazionale, dopo le dimissioni di
Renzi, il presidente Matteo Orfini ha convocato per oggi alle 15 la
direzione nazionale che dovrà eleggere un'apposita commissione per
fissare le regole della fase congressuale. Tutto dovrà concludersi
entro quattro mesi con le primarie che indicheranno il nuovo
segretario del Pd. È stato questo uno dei punti di frizione tra ex
premier e minoranza, che aveva chiesto tempi meno veloci e anche una
conferenza programmatica per decidere la rotta del partito dopo la
batosta del referendum costituzionale. Alla direzione non ci saranno
gli otto componenti dell'area bersaniana, anche se non significa
immediata scissione. «Al momento non si può dire nulla perché niente è
ancora consumato», frena il deputato Nico Stumpo.

L'APPELLO Dopo l'accorato intervento di Walter Veltroni all'assemblea
e il nuovo invito all'unità di Piero Fassino, ieri l'ex presidente del
Consiglio, Enrico Letta – detronizzato da Matteo Renzi a Palazzo Chigi
– ha voluto affidare il suo sconforto a un post su Facebook. «Guardo
attonito al cupio dissolvi del Pd», scrive Letta. «Mi dico che non può
finire così. Non deve finire così. Mentre tutto a Roma sembra finire
mi guardo indietro». E qualcosa è cambiato: «A distruggere ci si mette
un attimo, a costruire una vita. Ricostruire da tutte queste macerie
sarà lavoro ai limiti dell'impossibile». Così, conclude Letta «oggi
non ho altro che la mia voce, e non posso fare altro che usarla così,
per invocare generosità e ragionevolezza». (p. st.)

In uscita Floris, Cherchi e Randazzo. Saranno sospesi per 18 mesi secondo la legge Severino: ma potranno essere reintegrati

La sentenza del tribunale di Cagliari innesca una reazione a catena
praticamente inarrestabile: l'esito, entro qualche mese, sarà la
sospensione dei tre consiglieri regionali condannati. E il
provvedimento, previsto dalla legge Severino, farà vittime illustri: a
partire dall'ex presidente della Regione Mario Floris, leader dell'Uds
e decano del parlamento sardo (fu eletto per la prima volta nel 1974).
E poi l'ex assessore all'Agricoltura Oscar Cherchi, di Forza Italia, e
un altro esponente azzurro di lunga esperienza in aula, Alberto
Randazzo.

Al loro posto entreranno i primi dei non eletti nelle rispettive liste
collegiali: Floris dovrà cedere il posto a Gennaro Fuoco, Oscar
Cherchi (eletto a Oristano) a Emanuele Cera, Randazzo (a Cagliari) a
Mariano Contu, anche lui ex assessore. Non saranno comunque
avvicendamenti immediati, perché il meccanismo della legge Severino è
alquanto articolato: «Il primo passo sarà la comunicazione della
sentenza alla prefettura di Cagliari», spiega il presidente del
Consiglio regionale Gianfranco Ganau, «poi a sua volta il prefetto la
trasmetterà alla presidenza del Consiglio dei ministri». Spetta
infatti a Palazzo Chigi il decreto di sospensione, che verrà
notificato al Consiglio regionale: «A quel punto noi potremo solo
prenderne atto», ricorda Ganau, «non è previsto alcun voto da parte
nostra e nessuna discrezionalità».

Si tratta però, come detto, di una sospensione e non di una decadenza:
i consiglieri condannati perdono il seggio per 18 mesi. Al termine, se
non è arrivata una sentenza definitiva, riconquistano il posto. Ma
possono riaverlo anche prima, in caso di assoluzione in appello. C'è
un precedente di un consigliere sospeso e reintegrato (per la revoca
di una misura cautelare): l'ex vicepresidente dell'assemblea Antonello
Peru (FI). Curiosità: i consiglieri sospesi continuano a ricevere l'indennità di
carica, benché decurtata del 20 per cento.


La Nuova

Pene dai 2 anni ai 5 anni e 6 mesi. Assoluzione solo per Giommaria Uggias
Peculato alla Regione condannati 13 consiglieri di Mauro Lissia wCAGLIARI

Ore tredici in punto, aula del tribunale:
c’è la folla dei grandi processi, confuse tra avvocati, cronisti e
curiosi le facce pallide di alcuni ex consiglieri regionali che dopo
tre anni di udienze attendono di conoscere il proprio destino
giudiziario in un’atmosfera rarefatta dalla tensione. La lettura del
dispositivo dura meno di quattro minuti, è il presidente Mauro
Grandesso a scandire nomi e pene senza tradire alcuna emozione: i
condannati per peculato aggravato sono tredici, assolto dalla stessa
accusa perché il fatto non costituisce reato soltanto l’olbiese
Giommaria Uggias. L’altra posizione che esce alleggerita dal giudizio
è quella di Giuseppe Atzeri, colpevole di due peculati e di falso, ma
non di maltrattamenti, lesioni e abuso d’ufficio.

Il tempo di chiedere
conferme e il tribunale si svuota, col viso stravolto Raimondo Ibba
incassa pacche sulle spalle e attestati di stima venati dall’imbarazzo
del momento. Carmelo Cachia ha gli occhi bassi, si alza e se ne va
senza aprire bocca. Non c’è Mariolino Floris, il decano del consiglio
regionale che dovrà lasciare l’aula di via Roma dopo una vita
sull’onda del potere, restano i difensori che si guardano l’un l’altro
in un silenzio esplicito. Il pm Marco Cocco col Procuratore capo
Gilberto Ganassi si allontanano impassibili e muti, facendosi strada
tra telecamere e taccuini. L’accusatrice. È finito il processo per i
fondi ai gruppi, il primo dibattimento, quello scandito dalla figura
della grande accusatrice Ornella Piredda, che l’ha aperto con le sue
denunce coraggiose e ha disertato con rara eleganza la passerella
finale. A saltare agli occhi dei cronisti è proprio la parte di
sentenza che la riguarda: l’ex capo del gruppo misto Giuseppe Atzeri è
colpevole di due fatti di peculato e del falso riferito all’ultimo
bilancio del gruppo - gli altri anni sono caduti in prescrizione - ma
se la scampa dalle accuse legate allo scontro con la Piredda.

Prende cinque anni e mezzo, per il difensore Agostinangelo Marras è un
successo perché saltate le imputazioni riferite al mobbing sfuma anche
l’obbligo di risarcire la parte offesa, patrocinata da Andrea
Pogliani. Per Atzeri il pm Cocco aveva chiesto sette anni. Vince la
Procura. In attesa delle motivazioni, il nocciolo della sentenza è
qui. Partito dagli esposti dell’ex funzionaria, l’impianto dell’accusa
ha superato perfettamente la prova del giudizio: chi non giustifica le
spese compiute con i soldi pubblici commette un reato perché se ne
appropria senza una ragione istituzionale certa. È cambiata però la
narrazione del procedimento, si è spenta la scintilla provocata dal
rapporto fra Atzeri e la Piredda all’interno del gruppo misto nella
legislatura 2004-2009, quel tentativo per l’accusa compiuto dal
capogruppo di mettere il bavaglio alla funzionaria che chiedeva il
rendiconto delle spese.

Niente mobbing. La Piredda ne è uscita a
pezzi, menomata nella salute: Ma agli atti del processo i giudici non
hanno trovato abbastanza per mettere in relazione le condizioni della
funzionaria con quanto, secondo il pm Cocco, ha dovuto subire. Le sue
parole, pronunciate nel corso della lunga requisitoria, non sono
bastate a convincere il tribunale: «Nell’attimo in cui la Piredda ha
chiesto spiegazioni sulle spese al presidente del gruppo misto
Giuseppe Atzeri e ha rivendicato i propri diritti, per lei è
cominciato l’inferno, una stagione da incubo della quale ancor’oggi
porta i segni e le conseguenze anche nel proprio fisico, come i periti
hanno testimoniato». È come se la funzionaria avesse detto la verità
su ogni dettaglio di questa vicenda di malapolitica e di uso
disinvolto del denaro pubblico esagerando sui dettagli della propria
storia, quella che conosce meglio. Una lettura sorprendente, da
spiegare nelle motivazioni.

Con l’uscita di quelle, tra novanta
giorni, si saprà come hanno ragionato i giudici e se la Procura o la
parte civile, o entrambi, ricorreranno in appello. Assolto. Per adesso
il solo a gioire sino in fondo è l’ex europarlamentare Uggias, che
esce indenne dal primo giudizio ma dovrà affrontare l’inchiesta-bis,
dov’è ancora accusato di peculato per il dopo 2009. Le pene. Restano
gli aspetti tecnici del verdetto: pene in linea con le richiesta
dell’accusa - da due anni e due mesi fino a cinque anni e mezzo -
mentre per Atzeri, Caligaris, Cherchi, Farigu, Cachia, Marracini,
Serra, Alberto e Vittorio Randazzo è scattata anche l’interdizione
perpetua dai pubblici uffici, per Amadu, Masia e Ibba solo per la
durata della pena. Altro dettaglio, significativo per la difesa: il
tribunale ha concesso le attenuanti generiche soltanto ai due
Randazzo, Masia, Amadu e Ibba.

Le sospensioni. Per tre consiglieri in
carica l’esperienza legislativa sarà sospesa: la legge Severino impone
che Floris, Cherchi e Alberto Randazzo escano dall’assemblea regionale
per diciotto mesi, periodo che potrebbe allungarsi o accorciarsi a
seconda del giudizio d’appello. Una curiosità: al posto del condannato
Randazzo dovrebbe entrare nell’aula di via Roma Mariano Contu,
indagato a sua volta per peculato: la Procura gli contesta spese
ingiustificate per circa un milione di euro. Le accuse. Ora le
condanne per il peculato sui fondi ai gruppi sono diciotto, cui
s’aggiungono due patteggiamenti. Altri due ex consiglieri - Francesca
Barracciu e Mario Diana - sono sotto giudizio e una cinquantina di
onorevoli ed ex onorevoli risultano indagati dal pm Cocco. Come dire:
ne dovremo riparlare.

Il ministro Claudio De Vincenti in missione a Cagliari: «Ammonta a
277,6 milioni» Il governatore Pigliaru: «Vogliamo spenderli bene e in fretta. I
progetti ci sono» Patto per la Sardegna, la prima rata all’incasso
di Umberto Aime

 wCAGLIARI Alla faccia di chi finora ha sghignazzato
sui 2.9 miliardi del Patto per la Sardegna. Altro che soldi dei
Monopoli, era l’accusa dei gufi: la Regione sta per incassare il primo
assegno circolare. Sarà di 277,6 milioni. «Siamo pronti, i progetti ci
sono e possiamo spenderlo», ha detto il governatore Francesco Pigliaru
nel faccia a faccia organizzato, a Cagliari, col ministro Claudio De
Vincenti. Tempi veloci.

Chi ha la delega per risollevare il
Mezzogiorno dalla recessione, l’ex sottosegretario alla presidenza del
Consiglio, ha fretta di dimostrare come non solo Renzi, a suo tempo,
ma anche il governo in carica – quello guidato da Paolo Gentiloni, che
sabato era a Cagliari – punti molto se non tutto sullo sviluppo del
Sud. «Perché se l’economia non cresce da Roma in giù, isole comprese,
sarà più difficile far uscire l’Italia dalla crisi», è stata la facile
profezia del ministro. Si sa: lui è impegnato nel mettere assieme un
filotto di risultati concreti, sono quelli che i «cittadini toccano
con mano», per far lievitare oltre al Prodotto interno lordo nazionale
anche il consenso popolare, oggi offuscato, di chi governa. Cabina di regia.

Così appena sette mesi dopo la firma dell’accordo a Sassari con
l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, il governatore
Pigliaru ha detto al ministro in trasferta quando e come la Sardegna
investirà i 200 milioni e oltre caricati quest’anno, tra l’altro con
una velocità sorprendente rispetto al solito calendario del Bel Paese.
«Nella prima riunione tecnica sul Patto – è stata la premessa di
Pigliaru – abbiamo stabilito tempi stretti e le sei grandi aree di
spesa, per evitare che i finanziamenti extra si perdano in mille
rivoli». La spesa. Il 50 per cento della prima tranche, 134 milioni e
mezzo, sarà destinato all’edilizia scolastica, in aggiunta al progetto
regionale Iscol@, e a quella sanitaria per migliorare la qualità degli ospedali.

Poi ci sono i trasporti, dal ferro alla gomma, che a marzo
riceveranno in dote altri milioni, sono all’incirca 300, grazie agli
accordi speciali con il gestore della rete ferroviaria, la Rfi, e
l’Anas. La lista è ancora lunga per l’anno in corso: smaltimento dei
rifiuti, distribuzione dell’acqua, bonifiche dei territori inquinati.
Con a seguire l’immancabile sviluppo economico e produttivo, poi il
turismo, sempre più indispensabile, e anche la «necessità di
rafforzare la macchina della pubblica amministrazione». Senza
dimenticare che 45 milioni sono serviti per pagare gli ammortizzatori
sociali: erano fermi dal 2014. La ripresa. «Il Mezzogiorno – sono
state le parole di De Vicenti – dal 2008 al 2014, sono gli anni della
grande crisi, ha bruciato intorno al 13,8 per cento del suo Prodotto
interno contro gli otto punti sempre in meno delle regioni del
centro-nord. Dunque, con la recessione, purtroppo la forbice che c’era
s’è allargata ancora. Anche se nel 2015 il Sud ha avuto uno scatto
d’orgoglio e recuperato l’uno per cento contro lo 0,8 nazionale. Sono
quei segnali di ripresa che con i Patti vorremmo accelerare». La
scossa. L’unica fetta del Mezzogiorno a essere rimasta indietro, con
un ulteriore meno 0,7, è la Sardegna. «Per questo – ha aggiunto il
ministro – qui serve uno sforzo maggiore. Da sola la prima tranche del
Patto vale infatti l’uno per cento del Prodotto interno loro regionale
e quindi è davvero un ottimo punto di partenza».

I progetti del possibile nuovo Piano di rinascita – ha confermato la Regione – sono
tutti pronti e già sul tavolo. «Partiamo – ha sottolineato Pigliaru –
con l’obbligo di dimostrare, in tempi rapidi, che ogni euro speso avrà
una ricaduta immediata sul territorio, per ricucire, come abbiamo
scritto nel dossier consegnato a Renzi nel 2015, lo storico strappo
provocato dall’insularità». E infatti il governatore ha ricordato
altri due temi caldi: la metanizzazione, con la dorsale sarda presa di
recente in carico dallo Stato, e i trasporti: 120 milioni spalmati su
quattro anni sono in arrivo da Roma per migliorare la continuità
territoriale aerea. Altri soldi. C’è dell’altro ed è la partita
finanziaria con il governo sui finanziamenti agli enti locali negati e
sugli accantonamenti esagerati, quest’anno sono 684 milioni. «Confermo
– ha detto De Vincenti – che è in corso una trattativa istituzionale e
tutti vogliamo trovare l’accordo». Sarebbe bello immaginare una
Sardegna ricca da un giorno all’altro di molti milioni nazionali,
ottenuti ex novo o rimborsati, per sperare in un futuro migliore. Che
per Pigliaru non è lontano: «Dobbiamo correre – ha detto – e il più in
fretta possibile».


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Federico Marini

skype: federico1970ca

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