lunedì 4 dicembre 2017

Rassegna stampa 04 Dicembre 2017

La Nuova

Il Partito dei sardi rilancia: noi guida della coalizione,di Luca Rojch

ALGHERO. Da piccolo satellite nella galassia sterminata dei partiti indipendentisti a stella di prima grandezza. Il primo congresso del Partito dei Sardi è una muscolare affermazione di potenza. In quattro anni il Pds ha piazzato 5 consiglieri regionali, un assessore, diversi sindaci. Ma sarebbe riduttivo pensare al Partito dei sardi come prima forza indipendentista dell'isola. Il congresso ha fatto capire qualcosa di più nel panorama politico dell'isola. Il Pds è il pilastro intorno a cui costruire una coalizione di maggioranza. Un progetto di governo.

Parole e gesti. Il glossario lo fornisce il presidente Franciscu Sedda. «Noi siamo indipendentisti e ci dobbiamo rivolgere ancora a chi non lo è. In questi anni si è chiesto autonomismo. Non più libertà, ma più soldi. Ora serve altro. Serve uno Stato sovrano, una repubblica. Un processo da costruire attraverso il governo anche con chi ancora non la pensa come noi. Abbiamo dei temi portati avanti che hanno dato dei risultati. L'Agenzia sarda delle entrate. La vertenza sugli accantonamenti, le servitù militari. Nulla ci impedisce di fare come in Corsica, creare una coalizione indipendentista. In Corsica vince. Potrebbe accadere anche qua- Siamo pronti a dialogare con tutti».

Corteggiatissimo. Ma la vera notizia la si vede nella prima fila che sul palco. Uno dopo l'altro prendono la parola il leader di Forza Italia Ugo Cappellacci, quello dei Riformatori, Pietrino Fois, il segretario del Pd Giuseppe Luigi Cucca, quello del Psd'Az Christian Solinas. Poi Bustianu Cumopstu di Sardigna Natzione e Gianluca Collu di Progres. Tutti mostrano una grande apertura verso le proposte politiche del Pds. Cappellacci ha ricordato i punti che uniscono Forza Italia e il Pds, come l'Agenzia delle Entrate sarda e la questione accantonamenti. Fois ha ricordato la battaglia dei Riformatori per l'insularità e per la stessa Aes. Ma le aperture maggiori sono arrivate dal segretario del Pd Cucca. Appena 24 ore prima la direzione del Pd era finita in una feroce polemica con Renato Soru, proprio sulla questione alleanze.

La maggioranza ha dato mandato a Cucca per discutere delle alleanze. Soru puntava su una delegazione. Ma sottobanco lo scontro era anche con chi allearsi, con i soriani che non gradivano il Pds e i Riformatori. Cucca ha parlato di «unità delle forze politiche sarde e del risultato che in Parlamento hanno avuto quando si sono portate battaglie comuni».

Collu e Cumpostu hanno naturalmente sposato la causa indipendentista e si sono detti pronti al dialogo. Ci sono anche il sindaco di Alghero Mario Bruno e Nanni Campus, a capo di un progetto per guidare Sassari. Il segretario del Psd'Az. Christian Solinas, ha parlato di convergenza di linguaggio, obiettivi e ideali. «Nel patrimonio linguistico comune sono entrati termini introdotti dal Psd'Az. Il dialogo è in corso da tempo, in alcune realtà si governa insieme al Pds. Ora serve una linea politica comune e un grande progetto di governo». In altre parole il Pds scopre di essere una dama bellissima e corteggiatissima da tutti i partiti, da destra a sinistra. Scopre anche di poter avere un ruolo chiave in qualsiasi alleanza. Se riuscirà a fare massa critica e creare un "pacchetto indipendentista" da mettere sul tavolo con gli altri partiti.

Maninchedda. A guidare le grandi manovre elettorali sarà il nuovo segretario Paolo Maninchedda, che da tempo lavora per proporre una sua leadership come candidato governatore. E nel suo intervento introduttivo l'ex assessore della giunta Pigliaru parla già da protagonista. «La cosa più inattesa per l'Italia è l'unità della Sardegna - dice -. Abbiamo dimostrato che sappiamo governare e abbiamo un'idea precisa di governo e di Stato. Ma governeremo con responsabilità. E proprio sulla difesa dei diritti e del lavoro vogliamo partire in un progetto che sia davvero condiviso».

Elezioni, le soglie della discordia
Congiu, Pds, e Deriu, Pd, contrari all'ipotesi di uno sbarramento
nelle coalizioni

CAGLIARI Nessun allarme, «su ogni passaggio della riforma elettorale
non ci saranno forzature, e sarà fondamentale marciare sempre uniti».
È questa la replicata misurata del presidente della commissione
autonomie del Consiglio regionale, Francesco Agus, Campo progressista,
alle polemiche sollevate dopo l'ipotesi che la prossima correzione
della legge regionale dovrebbe essere su un possibile sbarramento
interno alle coalizioni. Gianfranco Congiu, capogruppo del Partito dei
sardi ha attaccato: «L'introduzione di quella soglia - scrive - non è
un passaggio banale, tradisce una vocazione verticistica e
centralista, propria di chi vide le coalizioni imperniate su un
monoblocco, un partito egemone, con attorno le costellazioni minori,
preferibilmente mute e silenti, a portare consensi».

Per concludere: «Noi del Partito dei sardi siamo ostili a questa visione che, a ben
vedere, non riguarda solo noi ma tutte quelle formazioni, penso alle
liste civiche e ai movimenti, che prese singolarmente, avrebbero
serissime difficoltà a superare lo sbarramento interno, anche se
contenuto al 2 per cento. Se questo è l'orizzonte politico che
intravvede l'attuale maggioranza nei rapporti con gli alleati, basta
dirlo e trarremo le nostre conclusioni». Il vicecapogruppo del Pd,
Roberto Deriu, ha scritto in un post su Facebook: «Sono contrario a
qualunque modifica del sistema elettorale che desertifichi il panorama
politico e modifichi il pluralismo all'interno del Consiglio, e in
commissione salvaguarderò la possibilità di accesso alle cariche
pubbliche da parte dei cittadini e all'assemblea regionale da parte
delle forze politiche».

Ma il presidente Francesco Agus è deciso nello
smorzare le polemiche: «Tutti sappiamo, com'è stato detto in aula al
momento dell'approvazione della doppia preferenza di genere, che la
riforma elettorale non è un argomento esaurito. Ma sia chiaro:
qualunque futura modifica sarà condivisa». Proprio la condivisione è
il punto centrale delle due prese di posizione contro le possibili
fughe in avanti anche sulle soglie di sbarramento all'interno delle
coalizioni. «Il pluralismo di partiti nel Consiglio regionale va
salvaguardato sempre e comunque», ha scritto Deriu. Mentre da parte
del Partito dei sardi è evidente la richiesta che «sulla riforma della
legge elettorale regionale sia indispensabile prima far chiarezza nel
centrosinistra».

Un anno fa il referendum che avrebbe dovuto sopprimerle
Oggi hanno le casse vuote e non possono garantire i servizi
Province, è un'agonia - Senza i fondi statali si rischia la bancarotta

di Alessandro PirinawSASSARI. Hanno provato in tutti i modi a
cancellarle, erano considerate il simbolo della casta, dello spreco
pubblico. Eppure quando si è presentata l'occasione gli italiani hanno
scelto di salvarle. Esattamente un anno fa, il 4 dicembre 2016, una
valanga di no ha seppellito la riforma costituzionale Renzi-Boschi che
avrebbe dovuto spazzare via le province. E così dodici mesi dopo
continuano a vivere. O meglio a sopravvivere tra casse sempre più
vuote, funzioni ridotte al minimo e personale demotivato. Ma se nel
resto d'Italia il governo prova a mettere una pezza con iniezioni di
finanziamenti statali, in Sardegna quei soldi non arriveranno.
L'isola, insieme alla Sicilia, è stata tagliata fuori. Le 4 sarde sono
state escluse dalla ripartizione dei 352 milioni stanziati per le
province. Uno schiaffo che rischia di mettere l'isola in ginocchio,
non permettendo agli enti intermedi di garantire la manutenzione di
strade, scuole e verde.

Funzioni che finora le province, guidate da
commissari in scadenza ma prossimi a una terza proroga, sono riuscite
a garantire con difficoltà. Referendum del 2012. Sì, perché in realtà
l'agonia delle province in Sardegna ha avuto inizio nel 2012, con il
referendum regionale che di fatto le aveva cancellate tutte. Le
quattro storiche e le quattro di nuovo conio. Ma se per le seconde
bastava il responso del referendum, per le prime era necessario
mettere mano alla Costituzione. E, infatti, Olbia Tempio, Ogliastra,
Medio Campidano e Carbonia Iglesias hanno cessato di esistere il 30
giugno 2016, mentre il destino delle altre era appeso al responso del
referendum costituzionale del 4 dicembre. Ma la bocciatura della
riforma Renzi-Boschi le ha messe in salvo.

Il no di un anno fa era di
rango superiore al sì del 2012 e così Sassari (che ha assorbito la
Gallura, dove però si sta già lavorando a una nuova autonomia), Nuoro
(che si è ripresa l'Ogliastra) e Oristano hanno ricominciato a vivere.
Cagliari, invece, nel frattempo è diventata Città metropolitana ed è
stata così istituita la Provincia del Sud che raccoglie Sulcis, Medio
Campidano e quasi tutto il vecchio territorio di Cagliari.Casse vuote.
Province salve, ma senza soldi. Perché dal 2013 lo Stato ha prima
ridotto i trasferimenti poi li ha azzerati. Da allora alla Sardegna
mancano circa 46 milioni all'anno per permettere agli enti di
funzionare. Con l'introduzione del Fondo unico di solidarietà,
infatti, le province come gli altri enti locali sono chiamati a dare
il loro contributo: la Sardegna dovrebbe dare 102 milioni di euro
all'anno, di cui circa 36 delle Province.

Che, però, hanno le casse
vuote e vanno avanti con gli avanzi di bilancio. A quel punto lo Stato
trattiene le uniche due entrate che spettano alle province: gli
incassi dell'imposta di trascrizione e della Rc auto. Circa 26 milioni
di euro che vengono sottratti ogni anno alla manutenzione di strade,
scuole e verde pubblico. Rischio bancarotta. Ecco perché oggi nelle
casse delle province non resta quasi nulla. Finora sono andate avanti
con gli avanzi di bilancio. L'unica senza obblighi è la Provincia del
Sud, considerata di nuova istituzione. Sassari, grazie al ritorno a
casa di una Gallura in piena salute, ha fatto ricorso agli avanzi
quest'anno per la prima volta.

Diverso il caso di Oristano, al terzi
anno di fila. Peggio è andata a Nuoro, che qualche settimana fa ha
ricevuto dalla Regione un finanziamento di 2,5 milioni proprio per
evitare il dissesto. Soldi che però consentono al massimo di
provvedere all'ordinaria amministrazione. Vietato fare programmi. Ma
nel 2018 sarà anche impossibile garantire i servizi principali, ormai
neanche le più virtuose dispongono di avanzi di bilancio. Dunque, o il
governo cambia rotta ed equipara la Sardegna al resto d'Italia oppure
le province sarde saranno costrette a dichiarare bancarotta.

Grasso in campo per l'alternativa
Di Maio a Milano: «La classe media è al nostro fianco»

Tiene il punto Luigi Di Maio convinto che dalle elezioni di primavera
il Movimento 5 Stelle uscirà come la prima forza del nuovo Parlamento
e l'unica in grado di governare. Il candidato premier, ancora
impegnato nel tour al Nord, che dopo la Lombardia lo porterà in
Veneto, resta convinto che sarà lui a condurre la partita post-voto se
non ci saranno accordi che potrebbero sopperire all'eventuale mancanza
di una maggioranza predefinita. «Non so che cosa sia un governo del
presidente», ha replicato Di Maio alla ricostruzione del Corriere
della Sera, secondo la quale il suo partito appoggerebbe un'iniziativa
del Quirinale. «L'ho letto, ma non credo che rientri neanche nelle sue
prerogative». Un'altra cosa, il candidato del M5S, ritiene sicura. Che
la partita sarà con il centrodestra.

Perché «il centrosinistra è
spaccato almeno in due, e questo lo pone fuori dalla partita per
andare al governo», ha detto dopo l'investitura di Pietro Grasso. Per
Di Maio, nemmeno è ipotizzabile un dialogo con le forze alla sinistra
del Pd sul ripristino dell'articolo 18. «Tutte queste sedicenti realtà
di sinistra, inclusi alcuni sindacati, le ho viste all'opera in questi
anni -. ha sostenuto prima di una visita al Pio Albergo Trivulzio di
Milano - e sono quelle che promettevano di stare dalla parte dei
lavoratori dipendenti e poi li hanno traditi. Io con queste persone
non ho molto da dire, voglio parlare coi cittadini».

Se la sfida è con
il centrodestra, il candidato premier del M5S non ha perso tempo e ha
iniziato a replicare alle accuse di inaffidabilità espresse da Silvio
Berlusconi. Al Trivulzio, Di Maio ha garantito che fra le sue priorità
c'è l'aumento delle pensioni minime «sopra i 780 euro, con tutte le
coperture economiche», mettendo in dubbio che Berlusconi le abbia
(accusa ribaltata da Lucio Malan, secondo il quale nel programma
grillino «neppure una parola» è spesa per le pensioni). Poi, in un
post sul blog di Grillo, l'affondo: l'ex premier «non ha fatto
praticamente nulla di quello che promise» nel 1994, ha scritto Di
Maio, mentre ora il M5S «è al 30%, quindi basta fare i calcoli, in cui
Berlusconi è bravissimo, per capire che la classe media sta con
noi».di Serenella MatterawROMA«Le dimissioni dal Pd sono nate da
un'esigenza interiore.

Poi mi hanno offerto seggi sicuri, mi hanno
chiesto di fermarmi un giro, di fare la riserva della Repubblica. Mi
dispiace, questi calcoli non fanno per me». Si presenta così, Pietro
Grasso. È il giorno della sua discesa in campo, davanti a una platea
gremita che lo acclama leader tra standing ovation e applausi
scroscianti. «Io ci sono!», esclama. E tiene a battesimo la nuova
«cosa» della sinistra. «Liberi e uguali», il nome lo ripete tre volte
sul finale, commosso. La lista che sfiderà la coalizione a trazione
Pd, la destra e il M5s, nasce dalla fusione di Mdp, Si e Possibile, ma
non sarà solo «rossa», promette il presidente del Senato. «Il nostro è
un progetto più grande» che ambisce a raccogliere «l'unico voto
veramente utile», quello della «metà d'Italia che non vota».

All'Atlantico di Roma affluiscono «cinquemila persone», molti restano
fuori. Nessuna scenografia, solo tre vele colorate. Sfilano i «big»
della sinistra, ma nessuno di loro ha un posto in prima fila: Pier
Luigi Bersani che sventola «la bandiera dei valori», Nichi Vendola,
Antonio Bassolino, Vincenzo Visco, Guglielmo Epifani. Massimo D'Alema
scommette su un «10% ora più vicino», respinge «l'inutile piagnisteo
di appelli all'unità tardivi e contraddittori, visto che - rimarca -ci
avevano detto che eravamo irrilevanti». E (dopo una stoccata a De
Benedetti: «Non ho interesse per lui, non avendo io insider trading»),
assicura che il nuovo soggetto è di sinistra ma va oltre.

In sala ci sono il cattolico Enzo Carra e la leader della Cgil Susanna Camusso.
In prima fila, i tre «ragazzi» Roberto Speranza, Nicola Fratoianni e
Pippo Civati, segretari dei partiti fondatori. Sul palco fanno
staffetta rappresentanti della società civile e i tre giovani leader.
«Renzi e Berlusconi, facce della stessa medaglia, stanno allestendo
coalizioni da incubo. Pisapia, dove campo vai?», gioca con le parole
Civati, che lancia un appello a quelli del Brancaccio e ai promotori
del «no» al referendum di un anno fa. «Il Pd ha demolito cattolicesimo
democratico e sinistra», attacca Fratoianni. E Speranza, che già
scommette sulla nascita di un partito dopo la lista elettorale, tira
la volata a Grasso: «Se tu sei con noi, siamo dalla parte giusta». Il
presidente del Senato, accompagnato dalla moglie Maria, sale sul palco
schivo: «È un'emozione grande».

In un discorso lungo mezz'ora, parla
alla «base» e a chi vorrebbe includere nel soggetto «largo e aperto»
(«Società civile, sinistra, cattolici, democratici e progressisti»).
Dice «sinistra» una sola volta. Disegna una proposta di «radicale
cambiamento e discontinuità», «senza rancori o nostalgie». Ma, in
ossequio al proprio ruolo istituzionale, evita attacchi agli
avversari. Ricorda la propria storia di lotta alla mafia e promette di
battersi per i «valori». Ma aggiunge che «mai» si farà «scudo del
passato». Non sarà, promette, «un uomo solo al comando circondato da
yes man». A giorni sarà svelato il simbolo, poi, tra metà dicembre e
gennaio, un programma «partecipato» fatto «con i migliori». I
Pisapiani e il Pd accolgono la discesa in campo di Grasso con un
gelido silenzio: c'è «amarezza», spiegano, per chi «decide di dividere
il centrosinistra» ma «nessun rancore».

Sardos si prepara alle "regionali
Primo incontro pubblico a Sassari con i gruppi dell'area identitaria

SASSARI
Sardos, la nuova associazione politico-culturale nel panorama isolano,
si presenta ai sassaresi e scalda i motori per le prossime elezioni
regionali e amministrative. Solo la settimana scorsa Sardos, i cui
promotori girano la Sardegna da mesi per raccogliere le idee dei sardi
e condividere le proprie, ha messo le carte in tavola e si è
presentato come pilastro del «Polo dell'autodeterminazione»,
raggruppamento dell'area identitaria che comprende Rossomori, Liberu,
Irs, Sardigna Natzione, Gentes, Comunidades e Sardegna Possibile, che
nel 2014 avevano sostenuto la candidatura di Michela Murgia alla
presidenza della Regione.

Nei giorni scorsi l'associazione, il cui
portavoce è Anthony Muroni, ex direttore di L'Unione Sarda, ha fatto
la sua prima uscita ufficiale a Sassari, dove l'associazione si è
fatta promotrice del convegno «La vivibilità a Sassari e il suo ruolo
di città guida nella rete metropolitana», ospitata nella sala convegni
della Camera di commercio, in via Roma. Con Muroni hanno fatto gli
onori di casa gli ex consiglieri comunali Antonio Cardin,
vicepresidente dell'associazione, e Mariolino Andria e l'avvocato
Luigi Satta, coordinatore di «Sassari Libera», soggetto politico nato
la scorsa estate e associato dai più alla figura dell'ex sindaco,
senatore e consigliere regionale Nanni Campus.Si sono puntati i fari
sul malessere di un capoluogo in declino, dalla disoccupazione
giovanile alla crisi delle imprese, dal problema dell'accoglienza ai
migranti alle difficoltà sociali, urbanistiche e programmatiche.


-----------------
Federico Marini

skype: federico1970ca

Nessun commento:

Posta un commento