lunedì 26 marzo 2018

Rassegna stampa 26 Marzo 2018


Salvini: «Noi siamo pronti Premier al centrodestra». Giorgetti apre al reddito di cittadinanza: «Vediamo se declinarlo in altro modo» Meloni: «Cerchiamo una cinquantina di voti». Alta tensione in Forza Italia. di Francesca Chiri

«Parlo con tutti». È il mantra di Luigi Di Maio che da giorni, e tanto più all'indomani del patto di ferro stretto con la Lega sulle Presidenze, non intende affatto restare imbrigliato nella rete di un'alleanza di governo con Matteo Salvini. Una cosa è l'accordo per le Camere, un'altra il governo, ripete il candidato premier del M5s che sembra consigliare di non fidarsi della fin troppo facile equazione tra l'accordo istituzionale e quello politico. «Lasciatelo lavorare bene, in pace, tranquillo» chiede Beppe Grillo, soddisfatto per i termini dell'intesa raggiunta fin qui, o perlomeno del ribilanciamento ottenuto con la nomina di Roberto Fico, «una persona straordinaria».

Di Maio ha inoltre convinto il garante del M5s sull'affidabilità del Carroccio. «Salvini è uno che quando dice una cosa la mantiene, il che è una cosa rara» ripete il fondatore del Movimento riprendendo l'ammissione del candidato premier: «Salvini ha dimostrato di essere una persona che sa mantenere la parola data» dice dopo aver festeggiato nella notte l'elezione di Fico con Di Maio, Alessandro Di Battista e, tra gli altri, l'ex candidato Riccardo Fraccaro. Ma un governo con il Carroccio sarebbe altro. C'è il nodo di Forza Italia, con cui Salvini non può rompere anche per non danneggiare le amministrazioni governate dal centrodestra e quello dell'ingombrante figura di Silvio Berlusconi.

E c'è il nodo Movimento dove, nonostante le lodi di Di Maio e Grillo e dopo aver digerito il voto alla Casellati, la prospettiva di un'alleanza in salsa leghista è difficile da mandare giù. Ne è convinto, ad esempio, Marco Travaglio, direttore del quotidiano a cui guardano di più gli elettori «grillini». «Se facessero un governo insieme, i 5 stelle sarebbero linciati sulla pubblica piazza» è convinto. Anche gli iscritti al Movimento che commentano le parole di Di Maio sul blog sono divisi.

«Benissimo usare la Lega, ma enorme attenzione... a non farsi usare da essa» mette in guardia Di Maio un iscritto. La senatrice Paola Nugnes lo sottolinea: per le presidenze si è votato «nel rispetto della volontà popolare» senza «alcun inciucio», «bisogna rimarcare con forza che queste scelte non hanno nessuna implicazione per la formazione del futuro governo».

Anche il segretario reggente del Pd li incalza: «Per i 5 Stelle è la perdita dell'innocenza, perché hanno siglato un'intesa con Berlusconi» dice Maurizio Martina. Ma il tempo lavorerà per una soluzione: così come ha reso possibile la quadratura dell'accordo con il Carroccio che sembrava impossibile, ora potrebbe portare a diversi consigli il Pd. Oppure spianare la strada ad un governo di tutti. Per ora è tempo di festeggiare l'elezione di Fico: Alessandro Di Battista è commosso: «la giornata di ieri resterà nella storia» e Fico «è il M5s fatta persona, è l'etica fatta persona: se lo merita».

E il neopresidente della Camera non intende deludere i 5 Stelle e adotta subito un profilo sobrio: giornata in famiglia e rientro a Napoli in seconda classe. «C'è un affetto delle persone che mi commuove. È un bel momento per il Paese», assicura.

La Nuova

L'ex senatore di Cp dopo il ko: «Puniti per le troppe questioni
aperte: dall'insularità alle entrate»
Uras: la sinistra deve riprendere ad ascoltare

CAGLIARI
La batosta di marzo è alle spalle, ma fa male ancora. Ad ammetterlo è
l'ex senatore Luciano Uras. Alle Politiche era candidato come
indipendente nel Pd visto che è e continua a essere un portavoce di
Campo progressista. Ma anche lui, come tutto il centrosinistra, ha
preso una legnata: solo terzo classificato.

Peggio di così.«Mi
piacerebbe non iniziare dalla sconfitta dell'intero centrosinistra, o
dal disastro della sinistra divisa e auto-dissolta. Preferirei parlare
dei valori che dobbiamo riaffermare e difendere, dei bisogni dei sardi
e del destino della Sardegna».Un attimo, il crollo poteva essere
evitato: sì o no?«Non amo ritirarmi nel momento delle difficoltà. Per
questo ho accettato la candidatura conoscendo bene dati e sondaggi.
Per me sarebbe stato facile stare a guardare e poi giudicare. Ma non è
nel mio stile».È caccia ai colpevoli.

«Le elezioni non sono una
lotteria fra i partiti, riguardano i cittadini. Per questo mi
preoccupa non la sconfitta, ma le conseguenze delle nostre
insufficienze fra e con la gente».Che sono state?«Potrei riassumerle
così. Ci siamo isolati e alla fine ci hanno etichettato come un corpo
estraneo. Alcuni del centrosinistra sono stati considerati non più
portatori dell'uguaglianza, ma della disuguaglianza, e per questo alla
fine siamo stati travolti».Ricostruire non sarà facile.

«Campo progressista è già al lavoro. Sabato, a Cagliari, abbiamo organizzato
un'iniziativa con un solo obiettivo: reagire».Soprattutto in casa.«Noi
ci siamo fatti avanti con il nostro progetto per la Sardegna. A
presentarlo è stato un gruppo di giovani donne ed è un altro segnale
di cambiamento».Il secondo passo sarà?«Ritrovare l'unità del e nel
centrosinistra. È questo il primo valore da riconquistare».Campo
progressista risorge. «Sì, per ricostruire una coalizione che in
Sardegna si colora della cultura autonomista, del sardismo
democratico, di forze serie per l'autogoverno e personalità dallo
spirito indomito».Le macerie sono troppe.«Purtroppo giunta, Consiglio
e tutto il centrosinistra non sono riusciti a convincere gli elettori.
E questo non è colpa dei sardi.

Troppe questioni aperte».Ad
esempio?«Il mancato riconoscimento della condizione di insularità che
colpisce i diritti dei sardi come cittadini europei».C'è dell'altro di
sicuro.«È sempre aperta la vertenza con lo Stato. Nella Legge di
bilancio del governo sono stati stanziati 15 milioni di simbolica
caparra a giusta memoria della trattativa che dovrà esserci fra
governo e Regione sugli accantonamenti. Pigliaru ha fatto bene ad
opporsi all'ultima Legge di stabilità. Però avrebbe fatto ancora
meglio se, a suo tempo, non avesse rinunciato al contenzioso già
aperto con Roma».

Cosa non deve più accadere?«Che a fronte di tante
iniziative legislative e finanziarie a favore della nostra economia ci
sia un rapporto difficile con i sardi che lavorano e fanno impresa.
Non potrà neanche più accadere che quanti vivono nella povertà si
sentano abbandonati dal centrosinistra. Dobbiamo riprendere ad
ascoltare e condividere problemi e soluzioni».Chi sarà il vostro
candidato?«Prima di tutto la coalizione dovrà deciderne le
caratteristiche e dopo cercare la donna o l'uomo giusto».Proporrete
Massimo Zedda?«Fino al 2021 è impegnato nel costruire la città
metropolitana di Cagliari».Allora chi?«Non è il momento delle
lotterie. Oggi ho una sola certezza ed è questa: Francesco Pigliaru
sarà il governatore fino al 2019». (ua)

Il presidente del consiglio regionale racconta l'attualità dello
Statuto speciale:
l'isola deve ancora mettere in pratica in modo completo un testo fondamentale
Ganau: una Carta viva difende i diritti dei sardi

di Luca RojchwSASSARINon scivola sulla retorica della celebrazione. Il
presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau spiega perché lo
Statuto sardo è vivo, dinamico, pulsante. Non carta ingiallita dai 70
anni di età, ma uno specchio della realtà. Uno strumento che i sardi
possono usare per far crescere la loro isola. La Regione ha deciso di
celebrare in modo speciale i 70 anni dello Statuto. Un nuovo logo e
una serie di manifestazioni che hanno un obiettivo. Dimostrare il
valore fondamentale che questa sorta di costituzione sarda ha per
l'isola. Una sorta di testo in cui sono già rivendicati molti dei
diritti che i sardi vogliono avere dallo Stato e dall'Europa.

Presidente perché è importante ancora oggi parlare di autonomia in
Sardegna?«Per prima cosa perché non è stato un regalo, ma il
riconoscimento della specialità della Sardegna. Uno status che deriva
da una serie di motivi che caratterizzavano l'isola 70 anni fa. Il
forte autonomismo, la distanza dal resto della penisola,
l'arretratezza economica e sociale, la difficoltà dei collegamenti.
Aspetti che la ponevano in una condizione oggettiva di isolamento.
Motivi che mettevano in primo piano la necessità di avere il
riconoscimento di una specialità».

Il messaggio è ancora
attuale?«Certo. La specialità è un valore attuale. Perché lo Statuto e
l'autonomia ci consentono di affrontare una condizione che vede la
Sardegna ancora distante rispetto al resto dell'Italia. Basta pensare
alla difficoltà nei trasporti. Anche quelli interni. L'isola è lontana
rispetto al resto dell'Italia, ma è anche difficile muoversi dentro la
Sardegna. L'energia rimane ancora un ostacolo allo sviluppo delle
imprese. Siamo l'unica regione senza il metano. Abbiamo un forte
deficit di infrastrutture che hanno come prima conseguenza una forte
difficoltà anche di collegamenti interni. Un esempio su tutti è
costituito dalla rete ferroviaria. È stata abbandonata per oltre 50
anni. Se si fissa a 100 lo standard nazionale di qualità la Sardegna è
a 17,5. Ma ci sono altri indicatori poco confortanti.

Il tasso di disoccupazione giovanile è al 56 per cento, il più alto in Italia.
Quello di dispersione scolastica è al 18 per cento. Per non parlare
della mancanza di una vera continuità territoriale marittima e aerea
pe le persone e le merci. Ecco che ancora oggi l'isola vive una
condizione di forte difficoltà. Questo la porta a trovare ancora nelle
rivendicazioni presenti nello Statuto uno strumento attuale, anche a
70 di distanza».Molte Regioni, come Lombardia e Veneto, cercano il
riconoscimento di una loro autonomia. Oggi ha ancora senso lo statuto
speciale per la Sardegna?«Su questo si deve essere chiari e fa testo
quello che dice il titolo V della Costituzione sulla cui base queste
regioni hanno fatto il referendum. Non sono nuove regioni speciali, ma
chiedono maggiore autonomia. Vogliono un tipo di regionalismo diverso
che risponda meglio alle esigenze dei loro territori. Ma non chiedono
di diventare regioni a statuto speciale.

C'è un aspetto sbagliato
nell'operazione portata avanti da Lombardia e Veneto che riguarda la
cancellazione della solidarietà tra le Regioni, uno dei pilastri della
Costituzione». Alcuni sostengono che lo statuto non sia stato attuato
appieno. È così?«Sì, ci sono alcune parti che non state sviluppate e
applicate fino in fondo. Serve una piena attuazione dello Statuto
speciale. Forse è più importante questo aspetto che le richieste di
modifiche che possono essere ottenute con altre strade. Come per
esempio il riconoscimento dell'insularità». Secondo lei lo Statuto
andrebbe aggiornato?«Ci sono parti che andrebbero potenziate. Non per
esempio presente il tema del diritto alla mobilità, il tema dei
collegamenti interni, quello delle reti energetiche. È superficiale su
argomenti fondamentali come scuola, educazione, lingua. Mancano temi
che 70 anni fa non esistevano come le reti digitali e internet. Manca
un riferimento all'eccesso di servitù militari che l'isola deve
sopportare. Da sola la Sardegna ne ospita oltre il 60 per cento del
totale nazionale. Per questo servirebbe un adeguamento, ma in questo
momento non ci sono le condizioni politiche.

Ma lo Statuto resta uno
strumento preziosissimo. Grazie a questo sono stati avviati i piani di
rinascita. Ci ha consentito di superare l'analfabetismo, la povertà
diffusa, sconfiggere le malattie. Ha consentito di affrontare e
superare gli squilibri socio economici dell'isola. E mette le basi
perché questa condizione possa essere rivendicata ancora oggi. Nel
1944 il commissario speciale raccontava che il popolo era nudo e
scalzo. Denunciava una situazione di arretratezza drammatica. Grazie
allo statuto la Sardegna è uscita dal medioevo ed è entrata nell'era
moderna. Ma restano criticità». Oggi si parla molto di principio di
insularità, secondo lei è il tema centrale per il futuro
dell'isola?«Assolutamente sì. Io ho anche firmato per il referendum
che chiede il riconoscimento dell'insularità per la Sardegna. Credo
che il tema identitario vada portato avanti.

È una battaglia giusta.
L'essere isola condiziona il nostro sviluppo. Deve essere consentito
alla Regione di agire anche con interventi straordinari per colmare
questo gap. Siamo l'unica regione di Italia senza metano. Questo
penalizza le nostre imprese e ne mina la competitività». Mi pare che
anche il rapporto con l'Europa sia spesso complicato.«Oggettivamente
ci sono difficoltà. Spesso siamo trattati come se avessimo possibilità
alternative per spostarci. Ma la nostra condizione di isola e il
nostro diritto alla mobilità devono essere garantiti. Per questo la
battaglia sull'insularità deve essere portata avanti, anche in
Europa». Serve un nuovo piano di rinascita per superare i gap
dell'isola?«Non lo chiamerei cosi, certo esiste un Patto per la
Sardegna che è sostenuto anche dallo Statuto.

Un documento in cui lo
Stato riconosce il gap infrastrutturale dell'isola e si impegna in
modo concreto, con risorse e obiettivi, per colmarlo. Credo che questo
da solo sia sufficiente per dimostrare l'attualità e la forza dello
Statuto. Ecco perché ne celebriamo i 70 anni. Ecco perché porteremo
avanti una serie di manifestazioni per festeggiare questa nostra
Carta. E faccio una piccola anticipazione. Il 28 aprile, il giorno di
Sa die de sa Sardigna, faremo un regalo a tutti i sardi. Qualcosa che
unirà le nostre radici alla contemporaneità, proprio come il nostro
Statuto».

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Federico Marini
skype: federico1970ca

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