mercoledì 28 marzo 2018

Rassegna stampa 28 Marzo 2018


Il sindaco di Uta: ponti chiusi e rischio esondazione, noi soli a gestire l'emergenza, Cixerri, c'è un guasto nella diga: più della metà dell'acqua in mare.

Nel bel mezzo delle attività di scarico del bacino, irrompe un guasto dell'impianto oleodinamico della diga Genna is Abis: è il sistema di controllo di una paratoia a ventola che regola il livello dell'invaso, mai come oggi in piena. Il danno comporta un aumento dell'acqua sversata in mare (la diga contiene circa 22 milioni di metri cubi e si stima che se ne dovranno eliminare ben 14) e il pericolo esondazione del fiume Cixerri.

L'allarme ha costretto il sindaco di Uta, Giacomo Porcu, a emanare un'ordinanza per la chiusura di due ponti che rischiano di essere sommersi: per almeno due giorni sono vietati traffico e transito del cavalcavia da e verso via Ponte e del ponte sommergibile sotto la sopraelevata di Sant'Ambrogio, passaggio strategico utilizzato da allevatori e agricoltori, per i quali gli sprechi d'acqua sanno di beffa.

L'ENAS «È in corso lo scarico parziale del serbatoio, anche – per limitare gli sprechi - con il trasferimento dell'acqua nel bacino di Bau Pressiu», fa sapere l'Enas. «L'intervento si concluderà entro venerdì». L'obiettivo? «Consentire l'immediata riparazione» del guasto, «assicurando condizioni di sicurezza per rischio idraulico a valle dello sbarramento». Una situazione comunicata a Giacomo Porcu lunedì notte: «In questo momento - dice il sindaco - siamo interessati a garantire la sicurezza dei cittadini».

STRADE PRESIDIATE Le strade saranno presidiate da volontari di associazioni locali, barracelli, protezione civile utese e regionale. «Abbiamo chiesto maggiore supporto a livello regionale», aggiunge Porcu: «Impossibile gestire un'emergenza del genere con le sole forze comunali». Porcu si lamenta per «essere stato avvertito solo in nottata: non era segnalata nessun tipo di allerta, quindi non eravamo preparati e il piano di protezione civile non prevedeva di avere adeguate forze in campo. In questi casi sarebbe opportuno che il piano di gestione regionale o un ente sovraordinato siano in grado di intervenire: è impensabile ipotizzare che in mezz'ora i volontari del Comune possano gestire un'urgenza come questa».

PILI L'ex presidente della Regione Mauro Pili denuncia lo «sversamento di 70 mila litri d'acqua al secondo in mare, su un potenziale di 24 milioni totali: uno scandalo senza precedenti, causato dal malgoverno regionale».

L'INCOMPIUTA La scorsa settimana, l'ennesima protesta per la mancata attivazione da oltre 30 anni del distretto irriguo Uta Nord: un impianto di oltre 1.700 ettari che eviterebbe lo spreco, garantendo il recupero di acqua, anche in casi di emergenza idrica, ai terreni agricoli di Uta, Villaspeciosa e, in parte, Decimomannu.

Lorenzo Ena


La Nuova

Dopo la batosta il Pd studia le contromosse
Domani l' incontro tra i consiglieri e Pigliaru: l'obiettivo è
rilanciare subito il programma di governo

CAGLIARIIl gruppo del Pd fa quadrato dopo lo scoppola incassata dal
partito nelle elezioni Politiche del 4 marzo. C'è stato un primo
confronto, in questi giorni, e domani mattina il secondo. Ma stavolta
sarà presente anche il governatore Francesco Pigliaru e gli argomenti
sul tavolo saranno diversi. L'incontro col governatore dovrebbe
servire a preparare anche un sempre più necessario vertice di
maggioranza annunciato subito dopo Pasqua.

Poi sul tappeto ci sono
anche i prossimi e ultimi dieci mesi di legislatura. Nei giorni
scorsi, il capogruppo Pietro Cocco avrebbe concordato con gli altri
consiglieri una possibile scaletta della priorità. In ordine sparso
gli argomenti dovrebbero essere questi; possibili correzioni alla
riforma della rete ospedaliera e della legge sul riordino degli enti
locali, tra l'altro annunciati sabato proprio da Pigliaru nella
convention organizzata a Cagliari da Campo progressista.

Poi c'è
l'argomento degli argomenti, la legge urbanistica, una prima verifica
sul piano straordinario per il lavoro, Lavoras, e anche su come
possono essere accelerati i pagamenti dei contributi in agricoltura.
Potrebbe essere messa al centro della riunione anche la legge
elettorale. Elencati gli argomenti, il vertice Pd-Pigliaru potrebbe
servire però ad affinare soprattutto l'azione politica, col Partito
democratico sempre più deciso a recuperare il rapporto con gli
elettori in vita delle Regionali del 2019 e finito in crisi, che
crisi, nelle elezioni politiche. «Dobbiamo puntare a una maggiore
partecipazione nelle scelte e venire incontro ai bisogni della gente,
soprattutto delle persone in maggiore difficoltà».

Con un occhio anche
molto attento a quanto hanno cominciato già a fare i prossimi
avversari. A cominciare dai Cinque stelle, che hanno aperto un primo
laboratorio per gettare le basi del programma 2019, ma anche Forza
Italia, sempre più decisa a coinvolgere i sindaci in questa lunga
campagna elettorale. In due parole, il Pd, dopo la sconfitta del 4
marzo, ha bisogno di ritrovare e domani lo farà subito incontrando il
governatore. Intanto a Roma, come ha fatto sapere l'assessore Luigi
Arru, sta per concludersi l'esame dei tecnici del ministero sulla
riorganizzazione della rete ospedaliera, approvata il 24 ottobre dal
Consiglio regionale. «Sta andando anche meglio del previsto - ha detto
Arru - Alla fine le osservazioni dovrebbero essere minime e riguardare
solo alcuni aspetti marginali all'interno dei piccoli ospedali». Dopo
aver ricordato che il dossier è stato inviato a novembre,

Arru s'è detto ottimista fino ad annunciare: «Il parere definitivo del
ministero potrebbe arrivare nei prossimi giorni e a quel punto vedremo
se le nostre previsioni sono state giuste». Se ci sarà davvero il via
libera tecnico alla Sardegna potrebbero essere presto trasferiti 250
milioni per l'edilizia sanitaria e invece finora bloccati in attesa
della riorganizzazione di reparti e posti letto. Sono i finanziamenti
più volte sollecitati dall'Asl unica e dalle altre aziende per la
ristrutturazione, in alcuni casi profonda, degli ospedali. (ua)

Vertice dopo Pasqua. Leader Lega: basta aut-aut. Il capo M5s: conta la
volontà popolare Di Maio-Salvini, ora è duello di Michele Esposito
ROMA

La premiership e Silvio Berlusconi: i due grandi nodi per l'alleanza
tra M5S e Lega emergono, dopo esser rimasti nel retropalco delle
partita per le Camere, ad una settimana dalle consultazioni. Sono temi
sui quali Luigi Di Maio e Matteo Salvini appaiono al momento distanti,
con il primo che non sembra voler rinunciare alla guida del governo e
il secondo che è tutt'altro che disponibile ad accettare aut aut. Il
tempo, la crescente necessità di un governo, e la prevedibile moral
suasion del Colle - verso, ad esempio, la scelta di una terza figura
per il governo - sono tuttavia destinati a smussare le angolature di
una convergenza difficile ma non impossibile.

Una convergenza sulla
quale, dopo Pasqua, il vertice Di Maio-Salvini potrebbe dare un primo
orizzonte. È Salvini a disegnare i contorni del duplice binario con il
M5S: quello del duello e quello del dialogo. «Se Di Maio dice "o io o
niente" sbaglia, perché oggi è niente», attacca Salvini che pone al
M5S un altro paletto: «se dicono fuori FI, arrivederci». Ed è questa,
alla lunga, che per Di Maio e i suoi risulterà la condizione più dura
da digerire con una parte non marginale dei gruppi (e dell'elettorato)
che al momento vedono come fantapolitica un'alleanza con Berlusconi.
«E Beppe che dirà?», si chiede un deputato immaginando anche una
reazione di Beppe Grillo. Nessuno, almeno in superficie, attacca
tuttavia Di Maio per le sue aperture.

«Ci muoviamo in una palude, in
terreni a noi inesplorati», spiega un esponente del M5S dando il senso
delle difficoltà del Movimento a scendere a patti fino a qualche tempo
mai neppure immaginati. Patti che, sulle Camere, si sono concretizzati
dando vita ad un dialogo ininterrotto. Di Maio e Salvini continuano a
sentirsi. E ieri il leader della Lega ha fornito una nuova sponda al
M5S sui vitalizi («alcuni sono immorali, serve un segnale»), definendo
i pentastellati «ragionevoli» mentre c'è chi, tra i leghisti, parla
già di liste dei ministri in cantiere.

Salvini annuncia poi un faccia
a faccia «la prossima settimana, in campo neutro, alla Camera o al
Senato». Sarà un colloquio che avverrà, probabilmente, prima che Lega
e M5S salgano al Colle e che potrebbe incrociarsi con gli incontri
annunciati da Di Maio con «tutte le forze politiche». Incontri che si
terranno prima delle consultazioni al Colle e che il leader del M5S
allarga a tutti i partiti tenendo, con tenacia, aperta la porta a un
Pd che al momento appare fermo nel suo ruolo di opposizione. I canali
tra M5S e Dem non sono però del tutto interrotti.

La risoluzione sul
Def che il Movimento sta preparando ha potenziali punti di convergenza
anche con il Pd mentre il governo conferma la volontà di non entrare a
gamba tesa. Il lavoro sul Def, si fa sapere da Palazzo Chigi, è di
puro rendiconto e non c'è alcuna intenzione di «golpe economici». E se
un esecutivo si formerà in tempi brevissimi l'attuale governo è pronto
a non avanzare più la sua proposta. Dopo una giornata di silenzio è
infine Di Maio a replicare a Salvini. Sulla premiership «non mi
impunto per una questione personale.

È la volontà popolare quella che
conta», sottolinea Di Maio ricordando il 32% incassato dal M5S. E
ribadendo il suo «no» a governi di scopo, tecnici, o di «perdenti». «A
Fico sono mancati 60 voti di FI», sottolinea infine Di Maio quasi
suggerendo, a Salvini, l'inaffidabilità del suo alleato. Un alleato
con cui, tuttavia, il leader della Lega al momento non può rompere
definitivamente. Toccherà ad uno dei due cedere, in una guerra di
nervi che, sulle Camere, alla fine ha sorriso ad entrambi.

Il primo presiede il gruppo della Camera, il secondo quello di Palazzo Madama
Martina pone la «fiducia» e ottiene il consenso, Renzi rinuncia
all'ipotesi Guerini Scontro rinviato nel Pd
Eletti Delrio e Marcucci

Graziano Delrio capogruppo alla Camera,
Andrea Marcucci al Senato. La mediazione nel Pd arriva quando si è a
un passo dalla rottura, in una riunione al terzo piano del Nazareno
presenti, con il reggente Maurizio Martina, tutti i «big», a partire
da Matteo Renzi. Gli «ultra-renziani» vorrebbero andare alla conta,
non mediare con la minoranza e la maggioranza non-renziana. Ma l'ex
leader accetta il passo indietro di Lorenzo Guerini, suo candidato
iniziale. E Martina porta in assemblea il tandem Delrio-Marcucci,
legando alla loro elezione il suo mandato.

Lo scontro è solo rinviato:
ad aprile in assemblea Martina potrebbe essere «promosso» segretario
ma in area renziana più d'uno ora dice che «se lo può scordare». È una
mossa di Martina, in mattinata, a riaprire i giochi: il braccio di
ferro non accenna a sbloccarsi, la minoranza chiede che almeno uno,
tra Guerini e Marcucci, faccia un passo indietro in segno di
discontinuità, e il reggente mette sul tavolo il nome del renziano
Tommaso Nannicini come possibile capogruppo al Senato.

Non esiste, per
i renziani, che rilanciano con il nome di Teresa Bellanova, gradita
all'ex segretario ma considerata dell'area Martina. Circolano altre
ipotesi, come Pinotti. Alla Camera si vede Walter Veltroni, ma
assicura di esser lì solo per andare in banca. Al dunque, Renzi apre
su due soluzioni: Delrio-Marcucci o Guerini-Bellanova. Guerini si dice
pronto al passo indietro per favorire l'intesa. Delrio, che frenava,
accetta. E dopo non poche tensioni, si chiude. Con una mediazione che,
affermano i «martiniani», è frutto del lavoro del reggente. Ma che
secondo i renziani nasce dalla scelta dell'ex leader di non rompere
andando alla conta.

Nelle assemblee, prima alla Camera, poi al Senato,
Martina porta i due nomi che incarnano, spiega, «spirito di squadra e
unità per il rilancio» del partito: vi presento queste due
candidature, afferma il reggente mettendo sul tavolo il suo incarico,
e vi chiedo di approvarle dando fiducia al lavoro da me fatto fin qui.

«Habemus papam», scherza poi all'uscita. La minoranza orlandiana
accoglie il nome di Delrio, renziano ma «eretico», come un «segnale
sulla via di un maggiore dialogo». Ma non tutti sono contenti.
Antonello Giacomelli non nasconde il disappunto: «Abbiamo scelto un
nome inclusivo attraverso la esclusione di Guerini». Ai più scontenti
Renzi, che si mostra soddisfatto, invia messaggi invitando alla
pazienza, in vista della partita che si aprirà ad aprile in assemblea.
Martina resta candidato al ruolo di segretario, fino al prossimo
congresso. «Ha saputo tenere unito il partito», lo elogia Franceschini.

Ma i renziani, che hanno la maggioranza, già lavorano a
un nome alternativo (come Richetti o Guerini). «Attende i capigruppo
un lavoro importante al servizio del Paese», si complimenta Paolo
Gentiloni. «Faremo opposizione ma saremo massimamente responsabili: il
Pd ha grande senso delle istituzioni», afferma Delrio. E Renzi con i
suoi sottolinea che il risultato è che con due capigruppo renziani si
blinda la linea del Pd all'opposizione.

Ma i «pasdaran» vicini al
segretario tengono alta la guardia: il «correntone» governista, con
cui Delrio mantiene ottimi rapporti, si va ingrossando - osservano -
ogni giorno. Prima delle consultazioni, però, c'è da chiudere la
partita parlamentare: Ettore Rosato e l'orlandiana Anna Rossomando
sono i nomi in «pole» per due vicepresidenze di Camera e Senato. Ma in
queste ore si sta trattando anche per ottenere un questore in ogni
ramo del Parlamento.

Unione Sarda

Le scelte dei partiti
Delrio-Marcucci capigruppo Pd, due donne per FI

ROMA Alla fine il Pd evita di spaccarsi sulla scelta dei capigruppo
parlamentari, come aveva chiesto il reggente nazionale Maurizio
Martina. I deputati eleggono per acclamazione il ministro uscente
delle Infrastrutture, Graziano Delrio; nello stesso modo i senatori
nominano Andrea Marcucci. Ma per evitare la conta interna lo stesso
Martina ha dovuto di fatto porre una questione di fiducia, mettendo
sul piatto il proprio mandato durante un vertice con Renzi e pochi big
del partito al Nazareno.

Decisivo il passo indietro su Lorenzo Guerini, coordinatore della
segreteria, che sembrava destinato a guidare il gruppo della Camera:
poi però la minoranza ha “strappato” Delrio, considerato più autonomo
rispetto a Renzi. «Nessuna bocciatura», ha detto alla fine Martina,
«nessun passo indietro», ha ribadito Guerini. «Bene così», ha concluso
Renzi. Per Delrio anche un tweet di congratulazioni del presidente
della Regione Francesco Pigliaru, che lo definisce «grande ministro e
grande amico della Sardegna».

Nessuna sorpresa nelle altre forze politiche. Forza Italia punta su
due donne, Anna Maria Bernini al Senato e Maria Stella Gelmini alla
Camera: in entrambi i casi all'unanimità. Per la Lega confermato Gian
Marco Centemero al Senato, mentre Giancarlo Giorgetti sarà il
capogruppo a Montecitorio. Il Movimento 5 Stelle aveva da tempo scelto
Giulia Grillo e Danilo Toninelli, rispettivamente alla Camera e al
Senato, che infatti avevano già partecipato alle conferenze dei
capigruppo nei giorni delle votazioni per le presidenze dei due rami
del Parlamento.

CARBONIA. Diverse astensioni in maggioranza all'esame degli emendamenti
Aria tesa tra i Cinque Stelle oggi allo scoglio del bilancio

Prima le dimissioni del quinto assessore M5S. Poi i segnali di
dissenso aperto o di malessere di cinque consiglieri durante la prima
giornata di discussione degli emendamenti al bilancio. E siccome nulla
succede per caso, tutto ciò non avviene in un momento qualsiasi della
stagione politica dei cinque stelle che dal 2016 guidano Carbonia ma
in un periodo di contestazione interna e nel pieno dell'esame del
documento contabile 2018 che stasera approda in aula per il voto.
Seguito, forse già domani, da un faccia a faccia risolutore fra Giunta
e consiglieri.

IL CLIMA Che tipo di voto sarà (anche se la maggioranza, pur risicati,
ha i numeri) è mistero. Perché è il contesto che non permette più di
fare facili previsioni, partendo dalle recentissime dimissioni
dell'assessore al personale Paola Argiolas motivate, ha detto, per
«cause politiche». Un duro colpo anche per il sindaco Paola Massidda
che anticipa: «Decideremo col gruppo se sostituirla o ridistribuire le
deleghe ad altri assessori, però dopo la sessione di bilancio». Ma
lunedì, alla seconda giornata di sessione, maggioranza ancora in
fibrillazione: da 2 a 5 consiglieri si sono (a turno ma talvolta pure
insieme) astenuti diverse volte nonostante le indicazioni della giunta
sul voto negativo agli emendamenti dell'opposizione. Se avessero
votato a favore, la maggioranza sarebbe andata sotto.

IL DISSENSO Di chi si tratta? Non è più un mistero il dissenso di Elio
Loi e Mauro Uccheddu. Loi parla di «profonda delusione a due anni
dall'inizio di questa avventura: fosse per me da domani si potrebbe
andare pure a nuove elezioni». In linea Uccheddu: «Il voto al
bilancio? Non so, si vive alla giornata: di sicuro ho accarezzato un
sogno che non esiste più e sono stato uno dei primi attivisti». Il
dissenso di Mauro Careddu è radicato da un anno, da quando
sottoscrisse un anno fa una lettera contro il sindaco. Sono quasi news
invece Maurizio Soddu (che un anno fa però si dimise dalla presidenza
della commissione Sport) e Marco Craig.

Pure Soddu è esplicito:
«Occorreva dare un segnale: molte cose sono da chiarire e ormai credo
sia questione di giorni». Parla di «segnale alla Giunta» anche Craig
che si è astenuto nelle votazioni degli emendamenti bocciati
nonostante l'esecutivo avesse spiegato che per le frazioni gli
interventi richiesti sono già programmati: «L'assessore lo ha
illustrato bene, ma erano emendamenti meritevoli». Ieri l'esame è
proseguito e oggi gran finale: «Confido nella responsabilità dei
colleghi - conclude il capogruppo Manolo Cossu - dissapori
riconducibili al fatto che siamo un gruppo eterogeneo capace di
esprimersi liberamente».
Andrea Scano


Il M5S insiste su Di Maio Salvini: «Così salta tutto»
Ma il leader pentastellato non molla: «Rispettare il voto popolare»

ROMA Matteo Salvini e Luigi Di Maio si vedranno la prossima settimana,
ma il dialogo tra Lega e Movimento 5Stelle nasce già con qualche
tensione: «Se Di Maio dice “o io o niente” allora salta tutto», ha
detto ieri il leader leghista dopo le rivendicazioni dei pentastellati
sulla premiership.

BOTTA E RISPOSTA Tutto è nato dalle affermazioni di Alfonso Bonafede,
deputato che nel M5S ha molta voce in capitolo (in campagna elettorale
è stato indicato da Di Maio come ministro della Giustizia di un
eventuale governo grillino). Intervistato in mattinata su Radio24, ha
dichiarato che «se noi ai cittadini presentiamo un altro candidato
premier, non eletto dai cittadini», rispetto allo stesso Di Maio,
«determiniamo il definitivo allontanamento dalla politica. Ai
cittadini va data una risposta e questa, secondo noi, non può
prescindere dalla presenza di Luigi Di Maio come premier».

Nel pomeriggio la risposta di Salvini è arrivata durante la puntata di
Porta a porta. Se da un lato il segretario del Carroccio ha confermato
alcune aperture al M5S, in particolare sul reddito di cittadinanza
(«sono disponibile a studiare e a capire, se serve a riavviarsi al
lavoro possiamo parlarne»), dall'altro è stato abbastanza netto sulla
questione del premier: «Se Di Maio dice “o io o salta tutto” sbaglia,
non puoi andare così al governo». E se i pentastellati pretendono di
fare fuori Forza Italia, «allora non se ne fa niente. Abbiamo preso i
voti con loro, io parto dal centrodestra».

MEDIAZIONI Salvini ha confermato invece di non mettere la stessa
pregiudiziale sul proprio nome per Palazzo Chigi, e anche sulle
proposte programmatiche che intende rivolgere al M5S ha chiarito che
«non diciamo prendere o lasciare, si può discutere». Un monito ai
pentastellati è arrivato anche dal neo capogruppo leghista Giancarlo
Giorgetti: «In politica bisogna saper mediare».

Di Maio però sembra confermare la linea enunciata da Bonafede, dato
che in serata ha scritto sul blog delle Stelle che «il premier
dev'essere espressione della volontà popolare: il 17% degli italiani
ha votato Salvini premier, il 14 Tajani, oltre il 32% ha votato il
sottoscritto come premier». Non è un'impuntatura per questioni
personali, ha aggiunto, ma «è finita l'epoca dei governi non votati da
nessuno».

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Federico Marini
skype: federico1970ca


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