mercoledì 1 marzo 2017

Rassegna stampa. 01 Marzo 2017

Dp debutta ed è già rissa col Pd. D'Alema: alle primarie M5S e Fi per Renzi. Laforgia: ma il governo non perde un voto.

ROMA Debuttano i gruppi parlamentari di Democratici e Progressist ed è subito guerra di poltrone. Non quelle governative: come spiega a “Un giorno da pecora” Arturo Scotto, che ha lasciato Sinistra Italiana durante il congresso fondativo del partito nato da Sel per confluire nella formazione degli ex Pd, «non vogliamo assolutamente entrare nel governo.  Abbiamo lasciato le nostre poltrone, non abbiamo l'abitudine di cercarne altre».

I posti a sedere contesi sono nell'emiciclo: i bersaniani vogliono sedere a sinistra del Paritto Democratico, che però non ha intenzione di slittare al centro. Una situazione che curiosamente si propose già negli anni Ottanta con un altra Dp, in questo caso Democrazia Proletaria, che voleva prendere posto a sinistra del Pci ma i berlingueriani non intendevano spostarsi fisicamente - e simbolicamente - un po' più al centro.

In attesa di trovare una collocazione adeguata nella geografia dell'aula, il capogruppo Dp a Montecitorio eletto ieri mattina, Francesco Laforgia (al Senato il capogruppo è Cecilia Guerra, ex viceministro nel governo Letta) rassicura il premier Gentiloni: «Il governo non perde un solo numero dell'attuale maggioranza. Non c'è un timore di instabilità, semmai c'è una sfida positiva per allargare la maggioranza. Nessuno potrà scaricare su di noi la responsabilità dell'instabilità, semmai qualcun altro avrà questa tentazione».

Se è un riferimento a Renzi, di sicuro è un attacco più velato di quello lanciato da Massimo D'Alema ieri a Genova: alle primarie del Pd «oltre a Forza Italia, che voterà in massa per Renzi in modo organizzato, andranno a votarlo anche quelli del 5 stelle. Mi hanno detto: “Ci stanno mobilitando. Dio non voglia che non sia Renzi il segretario del Pd, se è Renzi siamo sicuri di vincere le elezioni”. Non è una battuta: le primarie del Pd sono una specie di festival di Sanremo, non una cosa seria».


La Nuova

Pigliaru ora perde pezzi-Progressisti verso l’addio
Il valzer degli assessori bocciato da ex Sel area Pisapia e Centro democratico
Uras: ormai siamo al riciclo degli scarti. Capelli: il mio gruppo voterà contro
di Umberto Aime

CAGLIARI Il rimpasto a costo zero non ci sarà: potrebbero esserci
invece più di una lacrima e forse anche molto sangue. L’allarme è
suonato: all’orizzonte c’è una tempesta politica in arrivo che venerdì
potrebbe mettere a rischio il varo, annunciato festoso, della seconda
giunta Pigliaru. Tutto è deciso: chi entra (Filippo Spanu, Barbara
Argiolas e Pier Luigi Caria) e chi esce (Francesco Morandi del Cd e
Claudia Firino ex Sel) lo si sa da giorni. Però fuori da Villa Devoto,
roccaforte dell governatore, il mare è grosso.

Tempesta in arrivo. Chi
è stato escluso dal rimpasto, il Campo progressista di Luciano Uras e
Roberto Capelli, con anticipo ha cominciato a lanciare fulmini e
saette. Eccoli, i primi: «La mia sfiducia nei confronti del presidente
è nota da tempo, siamo pronti a votare contro», ha detto Capelli,
deputato e segretario del Cd. Oppure: «Dalla giunta dei professori,
passeremo a quella dei trombati e degli inutili capi di gabinetto», è
l’accusa al vetriolo scaricata da quella parte degli ex Sel, Uras e
più, che hanno perso la sfida con i tre consiglieri, anche loro ex
Sel, Daniele Cocco, Eugenio Lai e Luca Pizzuto, prossimi pare a
entrare nel movimento dei Democratici e progressisti, fondato a Roma
dagli anti-renziani fuoriusciti dal Pd. Impossibile trattare. È un
clima da resa dei conti, nel centrosinistra, anche se i pompieri non
mancano e ripetono con insistenza: «Tutti volevano un rimescolamento
delle carte e il rilancio dell’azione di governo.

Ora che sta per
esserci, saltano fuori gli scontenti e sono sempre i soliti». In
questo momento Pigliaru pare comunque deciso a non avere ripensamenti:
la nuova squadra è scelta, accada quello che dovrà accadere. Anche una
clamorosa crisi? Quella è esclusa – dicono i matematici del Consiglio
regionale – perché comunque e nonostante due o tre abbandoni – quelli
possibili di Francesco Agus ex Sel di Uras e Anna Maria Busia del Cd –
Pigliaru dovrebbe avere sempre i voti in aula per chiudere la
legislatura nel 2019. Effetti collaterali.

Certo, il terzo strappo
politico in tre anni – con l’addio probabile del Campo progressista
dopo quello di Rossomori e Rifondazione comunista – potrebbe essere
addirittura un prezzo troppo pesante da pagare per la coalizione che,
nel 2014, ha vinto le elezioni regionali e forse non più destinata a
ricompattarsi nelle Politiche del 2018 o forse anche prima. C’è
dell’altro: se il Pd, con due assessori per corrente, in totale avrà
sei deleghe, due in più rispetto a tre anni fa, sembra aver risolto
almeno una parte del caos interno, il Partito dei sardi è in fermento.

S’aspettava un rimpasto – testuale – di più alto profilo e presto
potrebbe essere molto critico nei confronti della giunta e allora sì
che sarebbero guai seri per il governatore. A essere tranquillo è
l’Upc di Antonio Satta, ancora una volta rimasto saldo in sella.
L’ultima giunta. La Pigliaru uno ha chiuso di fatto bottega 24 ore fa.
Presenti i partenti Firino e Morandi, dicono che la riunione si sia
svolta in un clima abbastanza tranquillo. Anche se l’ormai ex
assessore alla cultura, Claudia Firino appunto, pare sia rimasta
spesso in disparte. Poco prima aveva detto: «Come sempre accade, il
diretto interessato sarà l’ultimo a sapere».

Morandi, invece, ad
alcuni è apparso sereno: andrà via dall’assessorato al turismo, ma per
lui – che a questo punto dovrà per forza prendere le distanze da
Capelli e dal Cd – è pronto un posto di consulente a Villa Devoto.
Silenzi e dubbi. Della prossima giunta, nell’ultima riunione di quella
vecchia, nessuno ha parlato: il rimpasto è ancora un segreto(di
Pulcinella) anche se ormai i giochi sono scoperti. C’è un solo dubbio:
Barbara Argiolas (Pd-Soru) designata al turismo potrebbe scambiarsi la
delega con Giuseppe Dessena, scelto per la cultura dai consiglieri
regionali ex Sel, cioè Cocco più due. Perché? Dessena è stato il capo
di gabinetto della Firino, che poi l’ha defenestrato, e la vendetta
postuma potrebbe essere ora fin troppo cruenta. Meglio sarebbe avere
un po’ più di stile, sostengono alcuni.

Gli esclusi. Impegnato a
lanciare il Campo progressista, Uras ha tagliato corto: «Non
polemizzo, ma lasciatemelo dire: altro che Prima Repubblica, siamo al
riutilizzo degli scarti e al riciclaggio dei rifiuti». Ancora più
forte, la levata di scudi di Capelli: «Qualcuno ci liberi da Pigliaru,
da soli non ce la facciamo», ha dichiarato all’Agenzia Dire. Per
andare in crescendo: «Ritengo irrispettoso, se non volgare umanamente
e politicamente, il silenzio del governatore a tutte le illazioni, o
fatti, che la stampa riporta sugli assessori. Finora nessun partito ha
avuto la fortuna di essere convocato dal presidente per il rimpasto.
Quella annunciata sui giornali è dunque una decisione tutta del
governatore e del suo cerchio magico, composto tra gli altri
dall'inaffidabile, per usare un eufemismo, Raffaele Paci, il
vicepresidente che s’è scelto».
filippo spanu

Il braccio destro del governatore promosso agli Affari generali
Per i primi tre anni di governo, Filippo Spanu è stato un fedelissimo
del governatore e i due sono amici storici da una vita. Francesco
Pigliaru l’aveva scelto come capo di gabinetto. Spanu, ex direttore di
Confartigianato, ha fatto tutta la campagna elettorale accanto al
futuro governatore. Collaborava già con il professore quando Pigliaru
era assessore nella giunta di Renato Soru. Dopo la vittoria alle
elezioni la nomina come capo del gabinetto. E ora dopo tre anni
passati a risolvere le situazioni più complicate è arrivata la
promozione.

O forse il nuovo complicato incarico agli Affari generali.
Prenderà il posto di un altro fedelissimo del presidente, Gianmario
Demuro, che si era dimesso subito dopo il risultato del referendum del
4 dicembre. Da allora Pigliaru aveva tenuto per sé l’interim, convinto
che il rimpasto sarebbe stato questione di qualche giorno. Ma le
turbolenze del Pd nazionale e di quello regionale hanno prolungato il
periodo di interregno. Spanu, cagliaritano, è sì un tecnico, ma è
anche un Pd della prima ora. Nel 2007, in occasione delle prime
primarie della storia dem, Spanu fu uno dei possibili outsider nella
corsa per la segreteria regionale. Quella sfida che, per certi versi
ancora in corso, tra Antonello Cabras e Renato Soru. Ha dalla sua l’ex
ministro della Difesa Arturo Parisi, ma alle primarie non andrà oltre
il 7 per cento. Messa da parte la politica, s’è dedicato alla
Confartigianato. Fino al 2014, quando Pigliaru l’ha voluto al suo
fianco. È il suo braccio destro. E infatti ora lo chiama a guidare gli
Affari generali. Nel Pd è schierato con i renziani, ma più con quelli
nazionali che con i sardi fedeli all’ex premier.

pierluigi caria

Commercialista ed ex dirigente Asl, pronto per l’Agricoltura
Per 4 volte ha provato a entrare nell’aula di via Roma, riuscendoci
una sola volta, ma poi un ricorso lo ha mandato a casa. Il quinto
tentativo sembra essere la volta buona, ma anziché come consigliere
Pierluigi Caria arriverà a Cagliari come assessore. Il suo nome è
destinato all’Agricoltura. A prendere il posto dell’imprenditrice
agricola Elisabetta Falchi, designata a suo tempo dai Rossomori, sarà
dunque il commercialista olbiese, 48 anni, nipote dell’ex
sottosegretario Bruno Dettori, da più di 20 anni protagonista della
politica gallurese. Non ha neanche 27 anni quando nel 1995 il neo
sindaco di Olbia Giommaria Uggias lo nomina assessore. Due anni dopo
la giunta cade e lui segue Uggias in una civica. Perdono contro
Settimo Nizzi, ma Caria entra in consiglio, dove rimarrà fino al 2006,
quando la giunta Soru lo nominerà direttore amministrativo della Asl
di Olbia. Il suo obiettivo però è il Consiglio regionale. Nel 1999 il
primo tentativo con i Democratici di Prodi va a vuoto. Cinque anni
dopo ci riprova con la Margherita, ma si classifica terzo e a Cagliari
arriva proprio il suo scopritore Giommaria Uggias. La terza volta, nel
2009, sembra essere quella buona. Caria batte la concorrenza interna
al Pd e conquista un posto in Consiglio, ma il secondo arrivato, Elio
Corda, presenta un ricorso e lo vince: il commercialista era
ineleggibile a causa del precedente incarico di dirigente Asl e deve
lasciare Cagliari. Ci riprova nel 2014 a sostegno di Pigliaru, ma
Giuseppe Meloni prende 1.500 voti in più. Ora, a 4 anni di distanza
per Caria, super sponsorizzato dai renziani della prima ora, arriva il
lasciapassare per Cagliari. Destinazione giunta.

barbara argiolas

La rivincita dell’imprenditrice soriana di ferro: per lei il Turismo
Indicata dall’area soriana come assessore, Barbara Argiolas prenderà
il posto di Francesco Morandi (Centro democratico) alla guida del
Turismo in Regione. Argiolas, cugina dell’ex governatore Renato Soru,
è stata assessore comunale alle Politiche per lo sviluppo economico e
turistico dal 2011 al 2016 nella giunta del Comune di Cagliari guidata
da Massimo Zedda. S’era parlato anche di una sua possibile candidatura
a sindaco prima che Zedda confermasse la propria volontà di fare un
secondo mandato. Nata nel 1969, laureata in Economia politica, Barbara
Argiolas ha il primo incarico pubblico come consulente di Soru
presidente della Regione: è assegnata a lei la direzione organizzativa
e il coordinamento degli eventi collaterali al G8 che si sarebbe
dovuto tenere nel 2009 a La Maddalena. Negli anni è anche consulente
di Tiscali e responsabile delle relazioni esterne dell’Istituto di
designe Ied di Cagliari. Nel 2010 è socio unico e amministratore di
una società che si occupa di organizzare eventi. Nel 2011 il salto in
politica. Quando Massimo Zedda (allora Sel) vince, quasi a sorpresa,
le elezioni comunali di Cagliari contro Massimo Fantola, Barbara
Argiolas è fin da subito una delle certezze della giunta. E infatti
all’imprenditrice viene affidato il Turismo. Nel 2014, all’indomani
della vittoria di Pigliaru, il suo nome è tra i più gettonati proprio
per l’assessorato al Turismo, che poi però andrà a Francesco Morandi,
sostenuto da Roberto Capelli. Quattro anni dopo arriva la rivincita:
il professore indicato dal Centro democratico deve lasciare il posto
all’imprenditrice soriana di ferro.

GIUSEPPE DESSENA

Dal siluramento nello staff della Firino alla poltrona della Cultura
Nuorese, 44 anni, Giuseppe Dessena è candidato a diventare il nuovo
assessore regionale alla Cultura. Dessena arriva da Sel, e non è al
suo primo incarico. È stato assessore Provinciale nel 2010-2014 al
Lavoro, all’Industria, alle Politiche sociali e all’Immigrazione,
nella giunta di centrosinistra guidata da Roberto Deriu. Si è dimesso
nel 2014 subito dopo la nomina a capo gabinetto nell’assessorato
regionale all’Istruzione. In quella legislatura, sempre in Provincia,
avevano dato le dimissioni dopo essere stati eletti in Regione anche
l’allora presidente Roberto Deriu e il consigliere di maggioranza
Daniela Forma, entrambi del Pd. Dessena è da sempre tra gli esponenti
di spicco di Sel nel Nuorese. È stato anche coordinatore provinciale
dei vendoliani. Al centro della sua attività politica l’emergenza
lavoro in una delle province in cui il tasso di disoccupazione è tra i
più alti. È stato anche consigliere comunale di maggioranza a Nuoro
dal 2010 al 2015 sotto il sindaco Alessandro Bianchi, eletto sempre
nelle liste di Sel. Il prossimo assessore aveva tentato di entrare
nell’aula di via Roma anche da consigliere. Dessena è stato candidato,
sempre con Sel, alle elezioni regionali del 2014 nel collegio di
Nuoro. È stato il più votato del suo partito in provincia, con 872
preferenze, ma non è riuscito a portare a casa l’elezione. La sua
nomina è anche una piccola rivincita personale dopo il siluramento
subito neanche un mese fa come capogabinetto. Scelta che aveva portato
tre consiglieri regionali di Sel a chiedere le dimissioni
dell’assessore Claudia Firino.

Unione Sarda

Giunta, tensione in maggioranza
In settimana i nuovi assessori. Capelli (Cd): se va via Morandi,
togliamo la fiducia

I nomi sono pronti e in settimana il governatore dovrebbe assegnare le
nuove deleghe, intanto il clima in maggioranza si avvelena. Dopo le
dimissioni di Elisabetta Falchi e Gianmario Demuro, la seconda Giunta
Pigliaru farà quasi certamente a meno anche di Claudia Firino (ex Sel,
vicina a Luciano Uras e Francesco Agus) e Francesco Morandi (Centro
democratico). Al posto dei quattro, entrerebbero Pier Luigi Caria (Pd)
all'Agricoltura, Filippo Spanu (ora capo di gabinetto di Pigliaru)
agli Affari generali, Giuseppe Dessena (ex capo di gabinetto di
Firino) alla Cultura, Barbara Argiolas (Pd) al Turismo. Ieri, proprio
Firino non ha nascosto una certa amarezza: «Sul mio futuro non so
nulla - ha detto a margine di una conferenza stampa - ma di solito gli
assessori sono gli ultimi ad essere informati.

Per quanto mi riguarda
continuo a svolgere il lavoro come sempre, come è tenuto a fare un
assessore nell'esercizio delle sue funzioni». E infatti stamattina
terrà un'altra conferenza stampa, sui giganti di Mont'e Prama. Quanto
a Morandi, molto duro il deputato del Cd, Roberto Capelli: «La mia
sfiducia nei confronti del presidente è ormai datata - dice
all'agenzia Dire - non so quali siano le sue intenzioni per il
rimpasto, ma credo sia opportuno che il Centro democratico ora, e il
Campo progressista (al quale Capelli aderirà), ufficialmente dopo,
tolgano la fiducia a questo presidente: se sostituirà Morandi la
sfiducia sarà un atto conseguente».

Clima teso, dunque. Tanto che, proprio per evitare che Dessena vada a
prendere il posto di chi l'ha rimosso da capo di gabinetto, l'ex
assessore al Lavoro della Provincia di Nuoro potrebbe essere destinato
al Turismo e, a quel punto, Argiolas andrebbe alla Pubblica
Istruzione. Ma per l'ufficialità si dovrà aspettare almeno sino a
venerdì. Non è detto, inoltre, che prima di allora Pigliaru convochi
un vertice di maggioranza.
Roberto Murgia

Landini: desertificazione industriale nell'Isola e in tutto il Paese
Il segretario della Fiom a Cagliari: «Spero che Gentiloni al governo
faccia meglio di Renzi
«Il problema è la crisi di lavoro»

La crisi che sta vivendo la sinistra in Italia, segnata dalla lotta
all'interno del Partito democratico e con i pezzi che vanno in ordine
sparso, rappresentano in questo momento il problema minore. «Il vero
problema non è che cosa succede dentro al Pd, ma quello che accade ai
lavoratori. Questa crisi nasce dopo il voto del referendum del 4
dicembre, quando gli italiani si sono recati alle urne in massa per
dire a quel governo che ne avevano piene le scatole di quelle
politiche», afferma Maurizio Landini. Il segretario generale della
Fiom-Cgil, ieri a Cagliari per partecipare al rinnovo dei vertici
provinciali dei metalmeccanici e illustrare le novità dell'accordo sul
contratto raggiunto con Federmeccanica, non si sottrae alle
riflessioni sulle divisioni del mondo politico progressista e sulle
possibili conseguenze per i lavoratori.

IL DIBATTITO POLITICO «Ho il massimo rispetto per la discussione
politica, e il dibattito non mi spaventa. Anzi, mi preoccupa quando ce
n'è poco e soprattutto l'idea che si è affermata negli ultimi anni che
bastasse un solo uomo al comando, di destra o di sinistra, per
risolvere tutti i problemi. Ma io», aggiunge, «sono un sindacalista e
in tasca ho solo la tessera della Cgil e quella dell'Anpi»,
l'associazione dei partigiani, risponde a chi gli domanda se il suo
progetto di “Coesione sociale” presentato due anni non fosse un
tentativo di amalgamare i pezzi della sinistra in Italia. «Non ho mai
tentato nessuna azione politica, la mia era solo un'idea per unire il
mondo del lavoro. Personalmente, quindi, non so cosa debba essere la
sinistra, quindi quello che farà il Pd lo deciderà il partito»,
sottolinea. Il problema, invece, «che viene prima della necessità di
ricostruire una sinistra in Italia, è quello di realizzare un'unità
sociale del mondo del lavoro che purtroppo oggi non c'è. Quando in un
Paese passa l'idea che si possa comprare e vendere il lavoro delle
persone, mi sembra che ci troviamo di fronte una situazione più
preoccupante».

IL CONFRONTO Governo Gentiloni, «che auspico faccia di più e anche
meglio di quanto fatto dall'esecutivo di Matteo Renzi» il numero uno
dei metalmeccanici rivolge richieste chiare: in primo luogo, occorre
fissare la data dei referendum sui voucher lavoro e sulle modiche al
contratto degli appalti promossi dalla Cgil. «Noi riteniamo che la
data dei referendum debba coincidere con quella delle amministrative,
perché questo consentirebbe di spendere bene i soldi, e metterebbe i
cittadini nelle condizioni di esercitare il diritto di voto. Speriamo
che il Governo vada in questa direzione, anche perché portare 26
milioni di italiani al voto», la maggioranza che servirebbe per
raggiungere il quorum, «non è cosa semplice».

In secondo luogo, serve modificare la riforma della scuola e il Jobs
act, infine rinnovare gli ammortizzatori sociali e rimettere mano alle
pensioni. Sullo sfondo, resta, però, «la necessità, e questo vale
soprattutto per una regione come la Sardegna, di avere un'idea di
crescita che oltre a quella industriale sia anche uno sviluppo che
punta sul turismo e sull'agricoltura. Insisto su questo, non si può
lasciare questo obiettivo a ogni singolo territorio, occorre una
visione di insieme, un piano nazionale che finora secondo me non c'è
stato».

LA CRISI NELL'ISOLA All'assemblea dei metalmeccanici sardi, Landini
lascia un messaggio di speranza: «In Sardegna, e più generale nel
Paese, è in atto un processo di desertificazione industriale, ma la
possibilità che la vicenda Alcoa si possa chiudere positivamente entro
marzo fa pensare che sia possibile invertire la rotta, rimettendo al
centro proprio il lavoro».

Intanto, Sandro Banchero è il nuovo segretario provinciale della Fiom.
Cinquantaquattro anni, di Cagliari, Banchero prende il posto di
Samuele Piddiu, entrato a far parte della segreteria regionale della
Cgil. Mauro Madeddu




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Federico Marini
skype: federico1970ca


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