giovedì 9 marzo 2017

Rassegna stampa 09 Marzo 2017

La Nuova Sardegna

Il Consiglio di Stato sta per decidere se dare il via libera al progetto immobiliare dei Cualbu Tuvixeddu, il piano potrebbe rinascere.

CAGLIARI Bocciato nel 2011 da una sentenza tombale del Consiglio di Stato, il piano immobiliare di Nuova Iniziative Coimpresa per il colle punico di Tuvixeddu potrebbe resuscitare almeno in parte se gli stessi giudici di palazzo Spada dovessero accogliere il ricorso presentato dall’impresa dei costruttori Gualtiero e Giuseppe Cualbu il 10 aprile 2013 contro lo stop imposto il primo febbraio 2012 dal direttore del servizio per la tutela paesaggistica al completamento delle opere di urbanizzazione.

Il provvedimento era basato sul parere negativo espresso il 10 giugno 2011 dalla Soprintendenza per i beni paesaggistici e architettonici: l’autorizzazione paesaggistica risultava scaduta. La decisione dei giudici amministrativi di Roma, dopo che il Tar sardo ha dato ragione alla Soprintendenza, è data per imminente e potrebbe coincidere con un’altra sentenza attesissima, che riguarda l’appello al lodo arbitrale in base al quale la Regione ha dovuto versare all’imprenditore circa 80 milioni di euro a titolo di risarcimento per il blocco imposto al progetto dall’amministrazione Soru.

Se la Corte d’appello civile di Roma dovesse respingere il ricorso presentato dall’ufficio legale della Regione la somma passerà definitivamente nelle tasche dei Cualbu senza che questo garantisca la conclusione di un contenzioso ormai più che decennale, giocato sul filo del diritto amministrativo e delle norme paesaggistiche con l’intervento di associazioni autorevoli come Italia Nostra e Legambiente.

Il costruttore infatti non ha mai rinunciato alla possibilità di realizzare il progetto edificatorio attorno all’area della necropoli punico-romana, i milioni di euro che gli arbitri gli hanno assegnato sono legati soltanto agli anni di ritardo accumulati sul programma dei lavori, perché - a leggere la sequenza di ricorsi ai tribunali amministrativi e i vari atti della contesa legale – gli accordi di programma firmati nel 2000 che davano il via libera all’intervento per la Regione non sarebbero più validi, ma per l’imprenditore sì.

Nelle 95 pagine del ricorso ora sotto giudizio del Consiglio di Stato i legali dei Cualbu ripercorrono analiticamente le fasi del contenzioso per concludere con una tesi del tutto esterna agli aspetti del diritto, ma utile per rendere l’idea di quanto - secondo il costruttore - è avvenuto finora a Tuvixeddu: se la torre Eiffel o il Pantheon fossero stati costruiti soltanto in parte, non sarebbero monumenti storici ma elementi d’offesa per il paesaggio.

Completi come sono, rappresentano esempi fondamentali di alta architettura. Per questa ragione - secondo i legali - aver interrotto la validità dell’autorizzazione paesaggistica per le opere di urbanizzazione a Tuvixeddu non sarebbe un atto di difesa del paesaggio ma al contrario un danno. Opposta la tesi dell’ufficio legale della Regione, fondata all’origine su una circostanza considerata insuperabile: le autorizzazioni concesse nel 2000 a Nuova Iniziative Coimpresa sono precedenti alle norme del Codice Urbani e alla scoperta all’interno dell’area di Tuvixeddu di centinaia di sepolture sconosciute all’epoca dell’accordo fra Regione, Comune di Cagliari e impresa.

In altre parole: negli anni in cui i Cualbu avrebbero potuto costruire è maturata una sensibilità nuova nei confronti del paesaggio storico tradotta in una legge dello Stato, che ha indotto la Regione a dichiarare il notevole interesse pubblico del compendio. Con quello è arrivato il vincolo sull’area, esteso fino a 120 ettari. Un vincolo la cui legittimità è stata confermata finora in ogni grado di giudizio. (m.l)


Debutto in aula della nuova giunta: nessuna crisi, adesso riprendiamo la corsa
Pigliaru: delusi dallo Stato ora la sfida del rimpasto
di Umberto Aime

CAGLIARI Il centrosinistra c’è e lotterà ancora insieme al suo
presidente. Ad esempio contro uno Stato – parole del governatore – che
«su alcune partite ha dato molto o abbastanza, ma su altre ci ha
deluso». Per ora è così, un domani si vedrà se gli strappi degli
ultimi giorni si trasformeranno in squarci. Ma se accadesse, se la
crisi scoppiasse per davvero e fosse senza ritorno, tutti sanno che,
in un battibaleno, andrebbero a casa dal primo all’ultimo, amici o
nemici che siano. Francesco Pigliaru è uscito bene dal dibattito sul
rimpasto di un terzo della giunta, quattro assessori su dodici. Anche
gli alleati più critici, a cominciare dal Partito dei Sardi, gli hanno
rinnovato la fiducia (che in Regione non si vota, come accade invece
in Parlamento), mentre quelli ormai lontani, lo sono i fondatori sardi
del Campo progressista, hanno preferito il silenzio al possibile
litigio in piazza. Dalla parte del presidente si sono schierati senza
se e neanche un ma il Pd e i tre consiglieri ex Sel prossimi a far
nascere il Movimento dei Democratici progressisti, in Italia zeppo di
chi contesta il segretario Renzi. Il presidente.

«La sfida che ci
aspetta – ha detto Francesco Pigliaru – è di quelle avvincenti e non
possiamo perderla. Escludo categoricamente che ci sia una crisi
politica all’interno della maggioranza. Qualcuno dai banchi
dell’opposizione la auspica, ma non esiste». Chiusa parentesi, chiuso
il rimpasto: «Riprendiamo a camminare uniti», ha detto Pigliaru. Il
Pd. Dietro le quinte e anche prima del confronto in aula, nel partito
di maggioranza relativa qualche malumore c’è stato. Non tanto per la
suddivisione dei posti in giunta, ogni corrente è rappresentata da due
assessori a testa, quanto per l’esclusione di alcuni territori. Chi è
stato tagliato fuori, sarà ricompensato in futuro. Di certo la
manutenzione è finita, ha detto il capogruppo Pietro Cocco. «Serviva
una scossa all’azione di governo – ha aggiunto – e l’abbiamo data. È
arrivato il momento di superare le divisioni, puntare ai risultati
dopo l’importante stagione delle riforme, erano tutte necessarie, e
trovare insieme la strada per far uscire la Sardegna dalla crisi». Il
Pd ha preso l’impegno di «essere di nuovo un collante», ma ha ancora
diversi problemi, troppi, da risolvere al suo interno.

Gli ex Sel. I
tre rimasti all’interno della giunta, hanno scelto un assessore, sono
sicuri che «i risultati arriveranno anche se saranno due anni
durissimi, ma dobbiamo essere ottimisti», ha detto il capogruppo
Daniele Cocco, a nome di Eugenio Lai e Luca Pizzuto. Il quarto ex Sel,
Francesco Agus, che ha aderito al Campo progressista di Pisapia e
passato al Gruppo Misto, invece in aula non ha parlato. Ma si sa che
da quelle parti la cacciata dalla giunta mai sarà accettata. I
sovranisti. Alla vigilia del dibattito, il Partito dei sardi non aveva
salutato il rimpasto con un applauso corale, anzi. Il capogruppo
Gianfranco Congiu ha confermato che «l’aria del dissenso esiste», ma
«restiamo in maggioranza e vogliamo concludere la legislatura senza
che nessun territorio si senta tagliato fuori e ancora meno le zone
interne finora rimaste invece schiacciate nel confronto fra Nord e Sud
della Sardegna».

Gli altri. L’Upc, con Pierfranco Zanchetta, ha
ribadito che «la lettera di mandato consegnata ai nuovi assessori vale
come un contratto. I contratti si rispettano e noi vigileremo».
Gaetano Ledda (La Base) ha sottolineato che «i problemi aperti sono
tanti, ma possiamo risolverli se Consiglio e giunta riprenderanno a
dialogare». Per Fabrizio Anedda (Sinistra sarda): «In questi primi tre
anni, c’è stato poco lavoro di squadra ed è invece fondamentale
coinvolgere di più anche gli amministratori locali nelle decisioni,
perché la gente deve capire quello che la giunta fa». Infine chi in
maggioranza c’era fino a pochi mesi fa, i Rossomori. Emilio Usula ha
detto: «Siamo lontani mille miglia da quello che è stato solo un
restauro uscito male».

il giuramento
Ecco i quattro neo-assessori
Il GIURAMENTO. I quattro nuovi assessori Filippo Spanu, Barbara
Argiolas, Giuseppe Dessena e Pier Luigi Caria hanno giurato, in piedi,
fedeltà alla Repubblica Italiana, ma Attilio Dedoni, capogruppo dei
Riformatori, ha auspicato che «un domani chiunque entri in quest’aula,
eletto o nominato, giuri fedeltà anche al bene dei sardi». GLI
ASSENTI. Dieci assessori schierati insieme al presidente Pigliaru
davanti al Consiglio, due non presenti e pare giustificati: Paolo
Maninchedda e Massimo Deiana. Anche se sull’assenza di Maninchedda
sono stati diversi i commenti. La sintesi è questa: «È un altro
segnale del malumore del Partito dei sardi dopo il rimpasto». LE
DIMISSIONI. Sono ufficiali quelle di Anna Maria Busia dalla giunta per
le elezioni, che – si fa per dire – è il tribunale interno e si occupa
delle possibili incompatibilità degli eletti. La consigliera del
Centro democratico-Campo progressista le aveva presentata a dicembre
dopo essere stata bocciata da un centrosinistra confuso nella corsa
verso la vicepresidenza del Consiglio.

Carta parla di questione morale: «Presidente, lei è onesto e noi
confidiamo in lei» A sorpresa l’apertura del Psd’Az

CAGLIARI Il Consiglio regionale, si sa, ha di suo diverse condanne e
carichi pendenti sulle spalle. Le ultime sentenze sull’incredibile
utilizzo, in passato, dei fondi ai gruppi non sono state ancora
metabolizzate dal Palazzo e altri verdetti arriveranno presto. La
questione morale interna può essere sintetizzata così, ma c’è anche
l’allarme lanciato, in aula, sulla questione morale esterna. Non per
far dimenticare la prima, ma destinata invece a far puntare
l’attenzione sui «troppi squali che non vengono da fuori eppure
nuotano da tempo nel Mar di Sardegna», ha detto Angelo Carta,
capogruppo del Psd’Az. Senza fare i nomi degli ultimi predatori, ha
messo assieme diversi fatti preoccupanti, secondo la sua
ricostruzione. «Ci sono in atto – ha detto – troppe operazioni
sottotraccia che continuano ad allargare la frattura fra i partiti e
il mondo reale».

Poi per zittire il brusio intorno a sé, ha riletto le
storiche frasi dette, in un lontano 1981, dall’allora segretario del
Pci Enrico Berlinguer e raccolte da Eugenio Scalfari, al tempo
direttore de La Repubblica: «I partiti non fanno più politica.
Gestiscono interessi, i più disparati e contraddittori, comunque senza
alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umano emergenti, oppure
distorcendoli, senza perseguire il bene comune. Hanno degenerato nel
potere, nel clientelismo ed è questa l’origine dei malanni d’Italia».
Dalla citazione Carta è passato in un attimo all’attualità: «Anche in
Sardegna è accaduto, accade e potrebbe accadere questo nuovo
schiavismo della politica verso i cittadini». Per spiegarlo in quella
che è stata una requisitoria: «C’è chi dispensa soldi non suoi senza
essere controllato.

C’è chi, attraverso le assunzioni interinali, si
costruisce una schiera di devoti. C’è chi dispensa favori e in cambio
ottiene tessere di partito». Sono gli «ultimi squali sardi» – ha
sottolineato – che «stringono l’isola in una morsa micidiale». Certo,
le accuse sono state generiche e neanche sostenute da precise notizie
di reato, ma – sempre citando Berlinguer – Carta ha aggiunto: «Lo
sappiamo, esistono boss e sotto-boss dal potere infinito». A stanarli,
scoprirli e perseguirli non devono essere i magistrati: «È un dovere
della politica liberarsene», ha sottolineato. Fino a guardare dritto
negli occhi Pigliaru e domandargli: «S’è chiesto se tutto questo male
abbia radici anche in Sardegna? Se non l’ha fatto, lo faccia. Lei è
onesto e in lei confidiamo perché sia fermata la piovra maledetta».
Per chiudere così: «Se vuole e lo vuole scacciare gli squali, non deve
sentirsi solo: noi siamo pronti a schierarci al suo fianco». Alla fine
della seduta, Pigliaru s’è avvicinato a Carta e gli ha stretto la
mano. (ua)


La Nuova Sardegna

Pigliaru, guerra ai tagli: «Fardello inaccettabile»
Il caso accantonamenti al centro del programma di fine legislatura

Nella sua versione aggiornata, post-rimpasto, la Giunta Pigliaru non
crede più alla collaborazione leale con lo Stato. O meglio: crede
ancora al principio di lealtà ma si fida meno, e soprattutto ha capito
che senza mostrare i denti non si ottiene granché. Il discorso
programmatico del governatore in Consiglio regionale, in occasione
della presentazione dei nuovi assessori, conferma questo scatto
reattivo, per altro già emerso negli ultimi mesi. La parola magica che
lo determina è: accantonamenti.

È un concetto tecnico ma si può tradurre in soldoni (e stavolta non è
un modo di dire): quasi 700 milioni che il governo nega alla Sardegna.
Risorse che Roma trattiene - come fa con tutte le regioni - per
mettere una pezza al suo debito pubblico. «Quella cifra per noi è
assolutamente inaccettabile», dice Pigliaru in aula, «e per questo
siamo impegnati in una vertenza molto seria con Palazzo Chigi: voglio
ribadire che non cederemo di un passo».

LA SVOLTA Non è chiaramente il frutto di una conversione tardiva,
questa voglia di litigare col governo. Semmai, le parole pronunciate
dal presidente in aula appaiono come il completamento di un cambio di
registro che è iniziato almeno un anno fa.
Il buon rapporto con il premier Renzi aveva consentito alla Giunta di
portare a casa alcuni risultati (la chiusura della vertenza entrate
con la definizione delle norme di attuazione, il superamento del patto
di stabilità, e più di recente il Patto per la Sardegna). Ma Pigliaru
si aspettava assai di più.

Ora è arrivato il tempo di dirlo senza giri di parole. «Su vari
fronti, le risposte arrivate dal governo sono state insufficienti. Dal
cantiere della Maddalena alla chimica verde», confessa ai consiglieri.
«Abbiamo perciò aumentato la pressione sui nostri interlocutori
politici e su quelli che, come l'Eni per Porto Torres, possono
aiutarci a chiudere quelle vertenze». E non finiscono qua i motivi di
delusione: «Speravamo in una ripresa dell'economia, che non c'è stata,
ma anche in un sostegno più deciso delle politiche nazionali per
l'occupazione», prosegue Pigliaru. «Queste ultime hanno aiutato solo
in minima parte le nostre iniziative sul fronte dell'inclusione
sociale».

IL LAVORO Proprio su quest'ultimo aspetto il governatore promette un
deciso rilancio dell'azione di governo. «Parleremo presto di nuovi
strumenti per il welfare», annuncia, iniziando a elencare gli impegni
per l'ultima parte della legislatura. Uno di quelli a realizzazione
più immediata dovrebbe essere la legge urbanistica: «Abbiamo un testo
ormai pronto, presto lo approveremo in Giunta e poi lo discuteremo con
il Consiglio». Serviranno invece tempi più lunghi - ma l'operazione
partirà al più presto - per centrare un altro grande obiettivo: la
riforma della macchina amministrativa regionale.

E poi, nel programma per i prossimi due anni, riappare la forte
attenzione per le zone interne di cui Pigliaru parla spesso da alcuni
mesi: «Contiamo di varare un piano in grado di varare finalmente una
vera lotta allo spopolamento. Ci sono 150 milioni di euro, nel Patto
per la Sardegna, per finanziare azioni efficaci in tale direzione».
Non saranno interventi generici, come a volte è capitato in passato,
promette il presidente: «È nostra intenzione discuterli anzitutto con
i sindaci».

LA NUOVA AGRICOLTURA Al rilancio delle zone interne dovrà affiancarsi
anche quello dell'agricoltura: «Intendiamo affrontare le cause che
tengono bassa la redditività delle imprese in questo settore, in
particolare puntando sulle nuove tecnologie e la cosiddetta
agricoltura di precisione». Con questa impostazione, secondo Pigliaru,
«sarà possibile attirare molti più giovani istruiti verso l'impegno in
questo tipo di attività, che possono essere molto moderne».
Impegni che il presidente assume in prima persona, ma che mette in
carico anche a tutta la sua maggioranza, cui rinnova l'appello alla
coesione: «Avremo successo solo se eviteremo liti miopi e
incomprensibili», avverte. Nel farsi male da solo il centrosinistra ha
una lunga esperienza: Pigliaru, per una volta, vorrebbe sfatare la
tradizione.
Giuseppe Meloni

Che cos'è la trattativa sugli accantonamenti
Braccio di ferro da 684 milioni: «Soldi dell'Isola»

Sono soldi che spettano a te, ma li tengo io per pagare i miei debiti.
Terra terra, ecco che cosa sono gli accantonamenti. Storia vecchia, ma
che ha raggiunto livelli tali da provocare la dura reazione della
Giunta. Quando Francesco Pigliaru dice in Consiglio regionale che «non
cederemo di un passo» nella trattativa, fa riferimento a una partita
che finora sta costando alla Sardegna 684 milioni all'anno.
LA DEFINIZIONE Gli accantonamenti sono somme che spetterebbero alla
Regione, in base alle regole sulle sue entrate fiscali, ma che lo
Stato non trasferisce. Le trattiene per contribuire alla riduzione del
proprio debito pubblico. Avviene con tutte le regioni dal 2012, quando
il governo Monti resisteva ai rischi di default provocati dalla
speculazione internazionale. La Corte costituzionale disse che era
legittimo. Alla Sardegna fu imposto un sacrificio da 268 milioni,
salito in due anni a 578. Dal 2015 paga 97 milioni in più, regalo del
governo Renzi.

La cifra di 684 milioni è quella versata lo scorso anno e che sarà
versata nel 2017. Dovrebbe restare invariata nel 2018, ma qui si
inserisce la trattativa tra l'assessore al Bilancio, Raffaele Paci, e
il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianclaudio Bressa.
«Puntiamo a una drastica riduzione di quella somma», dice Paci: anche
se non quantifica, l'aggettivo drastica fa pensare alle centinaia di
milioni, non certo alle decine.

LA TRATTATIVA La speranza non è legata alla benevolenza del governo,
ma ad alcune buone ragioni. Lunedì 13 Paci sarà nuovamente a Roma da
Bressa, e gli consegnerà un dossier che illustra quanto gli
accantonamenti hanno pesato sull'economia sarda, già frenata
dall'insularità. I 684 milioni corrispondono più o meno al 2% del Pil
della Sardegna. Ma non solo: «È come se lo Stato avesse riscritto il
nostro Statuto speciale, senza seguire le rigide procedure previste,
togliendoci parte delle nostre entrate», obietta Paci. All'Isola, in
base all'accordo Soru-Prodi del 2006 sulle entrate, spettano i sette
decimi dell'Irpef riscossa nel territorio regionale. «Un decimo sono
circa 325 milioni», calcola l'assessore: «In pratica è come se
avessero modificato la norma, da sette decimi a cinque». E non si può
fare.

RICORSI E ci sono altre considerazioni. Circa 101 milioni di
accantonamenti riguardano la sanità: una sentenza della Consulta (per
la Val d'Aosta) lo giudica illegittimo per le regioni speciali, che si
pagano tutto il servizio sanitario. Per alcune voci, invece, vale un
altro dettato della Consulta: devono avere un limite temporale, ma non
è previsto. Materia per nuovi ricorsi, dopo che la Giunta ha già
impugnato, su questi temi. le ultime due leggi di stabilità.
Queste buone ragioni potrebbero convincere il governo a trovare un
accordo (quello del 2014 sul bilancio scade quest'anno, quindi va
comunque rivisto). «Se non accadrà, servirà la mobilitazione di tutte
le forze politiche e sociali», conclude Paci, che però sembra
ottimista. Il vertice di lunedì non sarà risolutivo, «ma l'importante
è trovare un'intesa prima della legge di stabilità del 2018. Abbiamo
iniziato a discutere per tempo: siamo fiduciosi». (g. m.)

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Federico Marini
skype: federico1970ca


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