venerdì 17 maggio 2019

(17 Maggio 1972) Un commando uccide Luigi Calabresi, vice capo della squadra politica della Mobile di Milano


(17 Maggio1972) Un commando composto da due militanti di Lotta continua uccide Luigi Calabresi, vice capo della squadra politica della Mobile di Milano. L’omicidio avviene al culmine di una lunga campagna condotta nei confronti del commissario e legata alla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra della questura di Milano, durante un interrogatorio sulla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Per l’omicidio del commissario Calabresi saranno condannati Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani come mandanti, e Ovidio Bompressi e Leonardo Marino, come esecutori materiali.

In seguito alla "Strage di Piazza Fontana" (di cui in seguito si accetteranno le responsabilità neofasciste, azione legata alla famigerata “strategia della tensione”, che intendeva creare uno stato d’insicurezza del paese in vista di una deriva autoritaria dello Stato) le indagini sull'attentato terroristico vennero orientate inizialmente nei confronti di tutti i gruppi in cui potevano esserci estremisti; furono fermate per accertamenti circa 80 persone, in particolare tre anarchici del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa.

Il giorno della strage vi fu tra i fermati un esponente dei movimenti anarchici milanesi: Giuseppe Pinelli, ferroviere che lavorava nella stazione di Porta Garibaldi, e con lui Pietro Valpreda (assolto dopo alcuni anni, come tutti gli altri imputati). Pinelli fu convocato in Questuraper accertamenti e qui si svolse un interrogatorio estenuante, per verificarne l'alibi, che all'inizio appariva impreciso.

Il 15 dicembre l'anarchico precipitò dalla finestra dell'ufficio del commissario Calabresi, uno tra gli incaricati delle indagini sul caso di piazza Fontana, morendo ore dopo all'ospedale Fatebenefratelli: Pinelli era stato trattenuto per ben tre giorni consecutivi, in evidente violazione dei limiti allora previsti dalla legge.

L'inchiesta sulla morte di Pinelli fu condotta dal magistrato Gerardo D'Ambrosio, che nell'ottobre del 1975 escluse sia l'ipotesi del suicidio – emersa nei primi tempi dalle testimonianze dei poliziotti, ma che si rivelò infondata quando si verificò la solidità dell'alibi di Pinelli – sia quella dell'omicidio. La sentenza definì la morte come accidentale, a causa di un malore che provocò uno slancio attivo e «l'improvvisa alterazione del centro di equilibrio».

Sempre nel dispositivo di sentenza, D'Ambrosio scrisse: «L'istruttoria lascia tranquillamente ritenere che il commissario Calabresi non era nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli». Il fatto che la sentenza escludesse la responsabilità delle forze dell'ordine suscitò reazioni polemiche di vario tono, principalmente nel mondo sociale, politico e culturale facente capo alla sinistra.

Il 17 maggio 1972 alle ore 9:15 il commissario Luigi Calabresi fu assassinato in via Francesco Cherubini, di fronte al civico nº 6, nei pressi della sua abitazione, mentre si avviava verso la sua auto per andare in ufficio. Il killer attese Calabresi sul marciapiedi fingendo di leggere il giornale, dunque prese  la pistola (una rivoltella a canna lunga Smith & Wesson, con proiettili calibro 38) sparando un colpo alla schiena e uno alla testa.

Secondo una perizia tecnica del 1999, è possibile che i proiettili provenissero da due pistole diverse. Calabresi fu soccorso ma venne dichiarato morto all'ospedale. Lasciò la moglie Gemma Capra, incinta, e due figli: Mario (che diventerà noto giornalista e scrittore e che ha raccontato la storia della sua famiglia nel libro “Spingendo la notte più in là”) e Paolo. Il terzo figlio, Luigi, nascerà pochi mesi dopo la sua morte




Nessun commento:

Posta un commento