giovedì 9 maggio 2019

Peppino Impastato, una vita contro la mafia.



(09 Maggio1978) Mentre l’Italia è inorridita per il ritrovamento a Roma del cadavere di Aldo Moro, a Cinisi, in Sicilia, Peppino Impastato, trent'anni, muore dilaniato dall’esplosione di una carica di tritolo posta sotto il suo corpo, in precedenza adagiato da mani vigliacche sui binari della ferrovia. La matrice mafiosa del delitto viene individuata grazie all'attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta, scomparsa nel 2004, che rompono pubblicamente con la parentela legata a Cosa Nostra. Ma anche grazie ai compagni di militanza e del Centro siciliano di documentazione di Palermo, fondato nel 1977 (e che dal 1980 è stato intitolato a Giuseppe Impastato). 

Sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate viene riaperta l'inchiesta giudiziaria.

Peppino Impastato nacque a Cinisi, nella provincia di Palermo, il 5 gennaio del 1948, in una famiglia mafiosa: il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, lo zio e altri parenti erano mafiosi. Il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella, ucciso nel 1963 in un agguato nella sua Alfa Romeo Giulietta imbottita di tritolo.

Dopo aver rotto con parte della famiglia, nel 1965 Peppino fonda il giornale "L'idea socialista" e aderisce al PSIUP. Dal 1968 in poi partecipa col ruolo di dirigente alle attività dei gruppi comunisti. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell'aeroporto di Palermo in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati.

Impastato si è sempre battuto contro la mafia, denunciandone i traffici illeciti e le indiscutibili (ed oggi provate) collusioni con la politica. A dare l’ordine di ucciderlo è il boss Gaetano Badalamenti, bersaglio preferito di Peppino in “Onda Pazza”, il programma di punta di Radio Aut, la Radio libera che lo stesso Impastato fondò a Cinisi nel 1977.

Nel 1998, nella Commissione parlamentare antimafia, si è costituito un Comitato sul caso Impastato, e il 6 dicembre del 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini. Nella commissione si rendono note le posizioni favorevoli all'ipotesi dell'attentato terroristico dei seguenti militari dell'Arma dei Carabinieri: il Maggiore Tito Baldo Honorati; il maggiore Antonio Subranni; il maresciallo Alfonso Travali. Il 5 marzo 2001 la Corte d'assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a trent'anni di reclusione. L'11 aprile 2002 anche Gaetano Badalamenti è stato riconosciuto colpevole e condannato all'ergastolo.

Un aspetto poco noto dell'attività giornalistica d'Impastato fu la sua inchiesta sulla strage di Alcamo Marina, in cui vennero uccisi due Carabinieri e della quale furono accusati cinque giovani del posto che, si scoprirà poi, furono torturati (e uno di loro forse ucciso in cella) per estorcere false confessioni. La strage era probabilmente legata tanto alla mafia quanto a elementi dell'Organizzazione Gladio collusi con gli stessi carabinieri. 

Non si sa cosa l'attivista di Democrazia Proletaria avesse scoperto sulla strage, poiché la cartella con i documenti su Alcamo Marina fu sequestrata dai Carabinieri nella casa della madre Felicia, poco dopo la morte di Peppino, e non fu più restituita a differenza degli altri documenti (come riferito dal fratello Giovanni).





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