mercoledì 15 maggio 2019

Vittorio Emanuele III e le sue scelte infami. Autore Prof. Francesco Casula



Anche oggi sull'Unione sarda una lettera dell'ultimo (?) nostalgico dei tiranni sabaudi che ne esalta uno dei peggiori: Sciaboletta. Ecco le 4 maggiori infamie di cui si macchiò ignominiosamente e indelebilmente il suddetto tiranno.

1. Vittorio Emanuele III e la Prima Guerra mondiale.

La decisione di entrare in guerra fu presa esclusivamente dal sovrano, in collaborazione con il primo ministro Salandra, desideroso com'era di completare la cosiddetta “unità nazionale” con la conquista di Trento e Trieste, ancora in mano austriaca. Il conflitto fu, come noto, tremendo per le forze armate italiane, che andarono incontro ad una spaventosa carneficina, tra il fango, la neve delle trincee e tra indicibili stragi e sofferenze. Fu lo stesso Papa Benedetto XV a definire quella guerra una inutile strage. Ma in una enciclica del 1914 Ad Beatissimi Apostolorum Principis lo stesso papa era stato ancora più duro definendola una gigantesca carneficina. 

Sarà il sardo Emilio Lussu, in una suggestiva testimonianza storica e letteraria come Un anno sull’altopiano a descrivere gli orrori di quella guerra. Egli infatti al fronte sperimenterà sulla propria pelle l’assurdità e l’insensatezza della guerra: con la protervia e la stupidità dei generali che mandano al macello sicuro i soldati; con i miliardi di pidocchi, la polvere e il fumo, i tascapani sventrati, i fucili spezzati, i reticolati rotti, i sacrifici inutili. 

Una guerra che comportò oltre a immani risorse (e sprechi) economici e finanziari, lutti, con decine di migliaia di morti, feriti, mutilati e dispersi. A pagare i costi maggiori fu la Sardegna:
“Pro difender sa patria italiana/distrutta s’est sa Sardigna intrea, cantavano i mulattieri salendo i difficili sentieri verso le trincee, ha scritto Camillo Bellieni, ufficiale della Brigata” (Brigaglia, Mastino, Ortu, Storia della Sardegna, Editori Laterza, 2002, pagina 9).

Infatti alla fine del conflitto la Sardegna avrebbe contato bel 13.602 morti (più i dispersi nelle giornate di Caporetto, mai tornati nelle loro case). Una media di 138,6 caduti ogni mille chiamati alle armi, contro una media “nazionale” di 104,9. E a “crepare” saranno migliaia di pastori, contadini, braccianti chiamati alle armi: i figli dei borghesi, proprio quelli che la guerra la propagandavano come “gesto esemplare” alla D’Annunzio o, cinicamente, come “igiene del mondo” alla futurista, alla guerra non ci sono andati. In cambio delle migliaia di morti ci sarà il retoricume delle medaglie, dei ciondoli, delle patacche. Ma la gloria delle trincee – sosterrà lo storico sardo Carta- Raspi – non sfamava la Sardegna.

2. Vittorio Emanuele III, il Fascismo e le leggi razziali.

Una delle massime responsabilità storiche di Vittorio Emanuele III fu l’aver favorito l’avvento e l’affermarsi del Fascismo. In seguito alla cosiddetta Marcia su Roma infatti, incaricò Benito Mussolini di formare il nuovo governo. Avrebbe potuto far intervenire l’esercito per combattere e disperdere gli “insorti”, invece, mentre le forze armate si preparavano a fronteggiare “le camicie nere”, Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto di stato d’assedio, di fatto aprendo la strada al fascismo e alle leggi razziali.

Poco interessa oggi sapere se lo abbia fatto per viltà, opportunismo e calcolo politico:
fu comunque il re a nominare Mussolini capo del Governo, dando il via alla tragedia ventennale di quel regime la cui maggiore infamia furono le leggi razziali del 1938. Esse saranno firmate da un sovrano che accettava l’antisemitismo e la furia xenofoba dell’alleato tedesco, fiero di un Mussolini che l’aveva fatto re d’Albania ed imperatore d’Etiopia!

3. Vittorio Emanuele e la seconda guerra mondiale

La seconda guerra mondiale rappresenterà l’evento più drammatico che mai si sia verificato nella storia dell’umanità. Ma c’entra il re con la seconda guerra mondiale? Certo che sì: ecco come icasticamente si esprime nella bella Commedia s’Istranzu avventuradu, Bastià Pirisi: su Re nostru hat dadu manu libera ai cuddu ciacciarone de teracazzu de s'anticristu fuidu dae s'inferru... Sincapat qui sa corona de imperadore l'hat frazigadu su car¬veddu

Lo storico Franco della Peruta facendo una analisi complessiva scriverà:”Il bilancio del conflitto appariva sconvolgente perché la guerra, l’ecatombe più micidiale degli annali del genere umano, tre volte superiore a quella della grande guerra, aveva fatto 50 milioni di vittime fra militari e civili… Alle perdite umane si sommarono quelle materiali”. (Franco Della Paruta, Storia del Novecento, Le Monnier, Firenze, 1991, pagine 249-250).

Anche la Sardegna pagò un grande tributo. Subirà infatti “numerosi bombardamenti dapprima di lieve entità, ma poi, dopo lo sbarco americano nell’Africa settentrionale, frequentissimi e massicci. Furono danneggiati circa 25 comuni, fra cui Alghero, Carloforte, Carbonia, La Maddalena, Sant’Antioco, Palmas Suergiu, Setzu, Olbia, Oristano, Milis e, più gravemente degli altri, Gonnosfanadiga, dove si ebbero 114 morti e 135 feriti. Presa di mira fu soprattutto Cagliari.

Le tristi giornate del 17, 26, 28 febbraio 1943 e quella del 13 maggio (per citare le più terribili) non saranno mai dimenticate dai Cagliaritani, che hanno visto la furia devastatrice venire dal cielo e distruggere la loro città, sventrando interi rioni, sconvolgendo le vie, lasciandosi dietro una scia di cadaveri e di feriti nelle strade e nelle macerie. Migliaia di morti (che alcuni fanno ascendere a 7.00 e il 75% dei fabbricati distrutti o resi inabitabili, furono il tragico bilancio di quei giorni. (Natale Sanna, Il cammino dei Sardi, volume terzo, Editrice Sardegna, Cagliari, 1986, pagine 487-488).

4. Vittorio Emanuele III e la fuga a Brindisi.

Persa ormai la guerra e convinto ormai che il disastroso esito del conflitto potesse segnare non solo la fine del regime fascista ma anche quello della monarchia, Vittorio Emanuele arresta Mussolini (25 luglio 1943) e nomina nuovo capo del Governo il maresciallo Badoglio.
Il giorno dopo l’Armistizio, il 9 settembre, insieme a Badoglio stesso abbandona Roma e fugge prima a Pescara e poi a Brindisi, nella zona occupata dagli alleati. L’ignominiosa fuga avrà conseguenze devastanti.

E la Sardegna pagherà un altissimo tributo a questa fuga: 12.000 mila i soldati sardi IMI (fra i 750-800 mila militari italiani fatti prigionieri dai tedeschi dopo l’armistizio) verranno rinchiusi nei lager nazisti. Per spiegare un numero così alto di militari sardi deportati occorre capire la situazione in cui si trovarono nei fronti di guerra (Grecia, Albania, Slovenia, Dalmazia) dopo l’8 settembre.

Con la difficoltà di tornare in Sardegna e sbandati, – non esistendo più una unità di comando e di direzione – essi furono posti di fronte all’alternativa di aderire alla RSI (Repubblica sociale di Salò) o di diventare prigionieri dei tedeschi e dunque di essere imprigionati nei lager. Abbandonati da Badoglio, quasi nessuno aderì alla RSI e dunque il loro destino fu segnato.

Prof. Francesco Casula
Storico, autore de “Carlo Felice ed i tiranni sabaudi”

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