mercoledì 6 giugno 2018

Rassegna stampa 06 Giugno 2018


Unione Sarda

Accoglienza migranti, in salita l'accordo tra i Paesi dell'Unione

La proposta per riformare il regolamento di Dublino «è morta». A dirlo senza mezze parole è stato Theo Francken, segretario di Stato belga responsabile delle Migrazioni e membro del partito nazionalista Alleanza neo-fiamminga, dopo il consiglio Affari esteri europeo a Lussemburgo. In ballo c'era la possibilità di una svolta sulla riforma del sistema che regola le competenze delle nazioni sulle domande di protezione internazionale presentate dai migranti. La ministra svedese Heléne Fritzon, all'arrivo, aveva dipinto la cornice di un «clima politico più difficile» legato alla «elezione delle destra in Europa», tra cui in Italia e Slovenia.

SALVINI A ROMA A Lussemburgo era assente il neo ministro all'Interno Matteo Salvini, rimasto a Roma per il voto di fiducia al nuovo governo. Ma già domenica, a Catania, aveva detto che la Sicilia non sarà più «il campo profughi d'Europa» e che «il governo italiano dirà no alla riforma del regolamento di Dublino e a nuove politiche di asilo», in vista del vertice del 28 e 29 giugno a Bruxelles. «Lo stato attuale dei negoziati non è accettabile», ha dichiarato Stephan Mayer, segretario di Stato tedesco, allineando così Berlino ai “no” alla proposta bulgara, tra cui quelli del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia) e dell'Austria.

CONTE: «RIVEDERE IL TRATTATO» Intanto, a Roma il neo premier Giuseppe Conte chiedeva «il superamento del regolamento di Dublino» e «sistemi automatici di ricollocamento obbligatorio dei richiedenti asilo», assieme a «dialogo» con l'Ue e che l'Italia non sia «lasciata sola».

«LA RIFORMA NON È MORTA» Sin dal mattino a Lussemburgo era parso improbabile si arrivasse a un «punto», anche nelle parole del commissario europeo alle Migrazioni, Dimitris Avramopoulos: «Se dovremo rinviare di alcune settimane, non sarà la fine del mondo». E in serata ha poi risposto a Francken, definendo «controproducenti» le sue parole: «La riforma del sistema d'asilo europeo non è morta, a meno che qualcuno non voglia ucciderla, e nessuno qui vorrebbe farlo».

GESTIONE DELLE EMERGENZE A dicembre i leader europei avevano stabilito di riveder il regolamento entro la fine di giugno, per creare un meccanismo permanente con cui gestire le emergenze. Al centro c'è l'obbligo per i Paesi di farsi carico dei richiedenti entrati nel loro territorio al primo ingresso, misura che pesa soprattutto su Italia, Grecia e Spagna. Il gruppo di Visegrad ha rifiutato di accogliere i rifugiati, dopo che l'Ue ha deciso le quote nel 2015 per redistribuirli.

MIGRANTI DA RICOLLOCARE Dei 160mila da ricollocare da Italia e Grecia in due anni, meno di 35mila lo sono effettivamente stati. La maggior parte dei profughi ha tentato di spostarsi verso i più 'ricchi' Paesi dell'Europa centro-settentrionale, Germania in primis, tanto che varie nazioni hanno ripristinato controlli ai confini anche in area Schengen. La proposta bulgara conteneva il tentativo di ridurre i movimenti secondari, e guardando a Roma e Atene prevedeva ricollocamenti obbligatori, ma come ultima risorsa e con la possibilità per i Paesi di avere flessibilità sui numeri.


Pd, i giovani in campo Ma spunta un piano B Alcuni esponenti sardi
starebbero pensando alla scissione

Mentre le correnti trattano per dare un futuro al Partito democratico,
qualcuno pensa a un piano B. Alcuni esponenti di spicco del Pd,
infatti, sarebbero tentati dall'ipotesi di far nascere un movimento
nuovo di zecca, solo sardo, abbandonando l'idea di una versione
federata dei Dem e anzi, staccandosi da questi ultimi.
Parallelamente c'è la nuova generazione che ribolle, tenta di spaccare
le correnti e aprire una nuova stagione. La deputata Romina Mura è una
delle testimonial, tanto che la sua esperienza con la corrente dei
popolari-riformisti sembra al capolinea. Con questo scenario il Pd si
prepara all'assemblea regionale, convocata lunedì prossimo alle 16.30,
all'hotel Su Baione di Abbasanta.

IL PROGETTO In una riunione ristretta a una parte dei
popolari-riformisti sarebbe maturata l'ipotesi che l'esperienza dentro
il Pd sia chiusa. Un incontro al quale ha partecipato la cerchia più
vicina all'area Cabras e che sostiene maggiormente il progetto del
Partito democratico federato, lanciato dall'ex senatore Silvio Lai.
Non a tutti piace questa ipotesi e comunque la strada da percorrere
per arrivare al referendum per gli iscritti è lunga. Per questo motivo
ci sarebbe la necessità di accelerare i tempi per un eventuale addio
di alcuni esponenti storici.

LO SCENARIO Così, la exit strategy in vista delle elezioni regionali
comincerebbe a delinearsi. Innanzitutto una forza democratica in
chiave sarda significherebbe maggiore libertà nella scelta di
programmi e alleanze, tendendo la mano a quei partiti che chiedono una
posizione più antagonista rispetto allo Stato centrale.

Di fatto si verificherebbe l'effetto “liberi tutti”, senza vincoli,
con la possibilità di decidere con la massima libertà di prendere
parte ai progetti che si stanno muovendo nell'Isola. Uno di questi è
rappresentato dal movimento civico ideato dal Partito dei sardi e
fondato sul concetto di convergenza nazionale. Una parte del Pd e
della sinistra, come Campo progressista, guarda con interesse a questa
iniziativa. Un tema che metterebbe in difficoltà il Partito
democratico, soprattutto quella parte più legata alle vicende romane.
Tutte ipotesi in fase di valutazione, perché è innegabile che una
scissione di questo tipo avrebbe conseguenze molto forti per i
protagonisti.

TRASVERSALI Il braccio di ferro tra le correnti non solo ha
paralizzato il Pd, ma comincia a causare molta insofferenza tra gli
iscritti e soprattutto tra i giovani. Nasce così un movimento delle
“seconde linee” pronto a sparigliare le carte e assumere la guida del
partito. L'autocandidatura di Dolores Lai, proveniente dall'area
popolare-riformista, è stato il primo segnale di un tentativo di
rottura. La proposta in campo è netta: «I partiti non nascono a
tavolino e non si inventano in un salotto di casa», dice Lai,
«riprendere in mano questo patrimonio e attualizzarlo è una sfida per
cui vale la pena mettersi in gioco».

Un'altra rottura è quella che ormai si sta consumando tra Romina Mura
e la stessa area Cabras-Fadda, come dimostra anche la posizione
espressa sul futuro del partito due sere fa, durante un incontro al
circolo Copernico di Cagliari. Contraria alla «soluzione del partito
federato», Mura è convinta che «senza un accordo e in balìa delle
divisioni sia meglio avviare il percorso per un congresso».

Al Copernico la deputata ha dialogato appunto con Dolores Lai, esprimendo
apprezzamento per la sua iniziativa fuori dagli schemi.
ASSEMBLEA Nel frattempo il Pd si prepara alla nuova riunione di lunedì
11. L'obiettivo è trovare un triumvirato in rappresentanza delle tre
aree per guidare il partito sino al congresso, ipotesi che non piace a
tutti: tanto che il vicesegretario Pietro Morittu potrebbe rinunciare.
Matteo Sau

Indipendentisti
Il movimento dei sindaci «Una rete tra Comuni»

«Amministratori locali indipendentisti, uniamoci in una rete per
lavorare per l'autodeterminazione dei sardi». È una lettera-appello
firmata da Davide Corriga Sanna, Maurizio Onnis e Marco Sideri,
sindaci di Bauladu, Villanovaforru e Ussaramanna, Maura Cossu,
vicesindaca di Bosa, e Angela Simula Cadoni, consigliera di Olmedo e
indirizzata ai circa 150 primi cittadini e amministratori che
firmarono l'appello per l'indipendenza della Catalogna. Già fissata la
data di un'assemblea: domenica 17 giugno dalle 10 alle 13 nella sala
convegni di Coworking 001 a Oristano, in via Garibaldi.

I cinque amministratori hanno scritto ai colleghi: «Siamo certi,
perché tu guidi la tua comunità e il territorio, che conosca lo stato
di disagio che affligge il nostro popolo, i paesi e le nostre città.
Sai bene i meccanismi di dipendenza economici, politici e culturali,
che impediscono alla nostra gente di sfruttare le proprie capacità. E
quanto sia urgente liberarsi di quei meccanismi per sostituirli con
libertà e consapevolezza».

La proposta: «Crediamo che gli
amministratori locali indipendentisti, unendosi in rete, possano
offrire ai cittadini nuovi strumenti e momenti di crescita. Tutto
viene fatto per il bene dei sardi e della Sardegna, oltre qualsiasi
appartenenza partitica o ideologica». A Oristano si discuterà
«dell'opportunità di creare la rete e dei suoi obiettivi», hanno
annunciato Corriga, Cossu, Onnis, Sideri e Simula, «se si deciderà di
procedere, nomineremo una segreteria organizzativa per approvare le
regole della rete».
Antonio Pintori

Riecco Renzi: «Premier non eletto, è un mio collega»
Brunetta guida l'opposizione azzurra, ma per ora la star di minoranza
è l'ex leader Pd

ROMA Il complimento più urticante glielo fa Matteo Renzi che lo
definisce «un collega», cioè un premier non eletto, come lui.
Ma ieri in Senato Giuseppe Conte si è sentito dire di peggio, da
sovranista in doppiopetto a megafono dei due diarchi seduti al suo
fianco, Di Maio a destra e Salvini a sinistra.

È andato meglio nel discorso dell'ora di pranzo che nelle risposte
consegnate ai senatori a tarda sera: ha mantenuto un aplomb quasi
british allorché è finito nel mirino di chi non ce l'ha con lui ma con
chi lo ha scelto per stare lì. Ha citato Dostoevskij, Conte, e
qualcuno (il pentastellato Morra) ha subito sottolineato il profilo
diverso rispetto a chi, nel giorno dell'insediamento, aveva scomodato
i Jalisse. Nel martedì di Conte protagonista, è Renzi a prevalere come
antagonista, a riappropriarsi del suo personaggio e - probabilmente -
del Partito Democratico.

Certo, non è l'unico duro nelle file dell'opposizione. L'azzurro
Renato Brunetta è una certezza: legge nel discorso-fiume del
presidente del Consiglio «un linguaggio giustizialista e autoritario»
che «fa ripiombare indietro il nostro paese agli anni bui dei regimi
antidemocratici». E Mario Monti, che alla fine si astiene, è severo
nel ricordare «con tutto il rispetto» ai colleghi di M5S e della Lega
che senza il suo governo «oggi avreste la Troika, sareste un governo
dimezzato, sareste ridotti ad agenti di un governo semicoloniale...».

Se per il capogruppo Pd al Senato Conte è «tutto chiacchiere e
distintivo», la sua collega forzista Mariastella Gelmini ha sentito un
discorso «pieno di luoghi comuni, di retorica, di slogan e, ahinoi, di
giustizialismo. Zero concretezza, solo propaganda: poche idee, ma
confuse. Altro che cambiamento». Ma è più sottile il senatore Dem
Antonio Misiani, che punta alla linea di faglia fra i due alleati: «Se
ne faccia una ragione il ministro Fontana: le famiglie arcobaleno
esistono, lo hanno riconosciuto anche i sindaci del Movimento 5
Stelle».

L'esecutivo incassa la fiducia con 171 voti, 10 più della maggioranza
«Populisti e per l'Europa»

Alla fine i sì sono 171,
dieci più della maggioranza assoluta: a Lega e M5S si affiancano due
ex pentastellati e due eletti all'estero. I 117 no sono di Pd, Forza
Italia e sinistra. Gli astenuti sono 25 tra i quali FdI.
Tutto come previsto per il presidente del Consiglio Giuseppe Conte,
che ottiene una fiducia chiesta col più lungo discorso d'esordio a
Palazzo Madama nella storia repubblicana, giurano i cronometristi che
ne hanno contato i 75 minuti. Di certo è il più applaudito con 61
battimani, quasi uno al minuto (fuori concorso l'applauso corale e
tripartisan per la senatrice a vita Liliana Segre, l'ultima italiana
scampata a un lager ancora in vita, che mette in guardia dalle leggi
speciali).

I VUOTI Un discorso comunque troppo breve - sottolineano gli
oppositori - per contenere un passaggio sulla cultura o
sull'istruzione, una riflessione sul Meridione, una parola di
chiarezza sui vaccini o sulla Tav. Ma d'altronde non ci sono nemmeno
molti temi che fino a ieri spaventavano molti elettori e troppe
cancellerie. Non c'è l'addio alla moneta unica («L'uscita dall'euro
non è in discussione, e non è un obiettivo che vogliamo perseguire»)
né alla Nato e all'amicizia con gli Usa.

Un discorso «che non ho scritto io», scherzava il premier all'uscita
dal Senato, alludendo a chi lo dipinge teleguidato dalla Casaleggio
Associati e commissariato dai due vicepremier Salvini e Di Maio.
I PIENI Chiunque l'abbia scritto, il discorso si fa notare soprattutto
per quel che contiene. Il carcere per i grandi evasori, ad esempio
(l'ultimo a parlarne con tanta convinzione era stato Prodi nella
campagna elettorale 2006, e secondo alcuni perse all'istante molto del
vantaggio che aveva su Berlusconi), ma anche il taglio alle pensioni
sopra i 5000 euro mensili «nella parte non coperta dai contributi
versati». C'è una notevolissima apertura alla Russia con
l'intendimento di rivedere le sanzioni e c'è un'imbronciata
rassicurazione sull'Europa, che «è casa nostra» però «deve essere più
equa».

«ANTISISTEMA? SÌ» In 24 pagine bastano poche righe - ma efficaci - per
replicare all'accusa di guidare un'alleanza populista e antisistema,
perché «se populismo è l'attitudine della classe dirigente ad
ascoltare i bisogni della gente, se anti-sistema significa mirare a
introdurre un nuovo sistema, che rimuova vecchi privilegi e
incrostazioni di potere, ebbene queste forze politiche meritano
entrambe queste qualificazioni». E quasi a chiarire subito che cosa
intende, Conte promette che il suo primo impegno pubblico sarà
visitare i cittadini dei luoghi colpiti dal terremoto.

Sul fronte più caldo, una rassicurazione molto applaudita e un
avvertimento molto asciutto: «Non siamo e non saremo mai razzisti» ma
«metteremo fine al business dell'immigrazione, cresciuto a dismisura
sotto il mantello di una finta solidarietà».

LE MISURE ECONOMICHE Poi il premier parla di flat tax e del reddito di
cittadinanza che «non è una misura di assistenzialismo sociale», ma
non della legge Fornero - che tanto spazio ha occupato in campagna
elettorale e nelle scorse settimane - né sulla sterilizzazione degli
aumenti dell'Iva. Nelle repliche, il premier si difende dalle accuse
di giustizialismo, «no, si tratta di certezza della pena e di dosare
gli equilibri», e di scarsa attenzione al Sud, «che detto a un
pugliese è pesante, ma noi al Sud abbiamo dedicato anche un ministro».
Sulle infrastrutture «lasciateci studiare i dossier aperti e
valuteremo quali realizzare» e per tutto il resto «dateci il tempo di
lavorare e di misurarci con tutta la complessità di questo compito. Lo
faremo con responsabilità e massimo impegno», promette.

«NO AUMENTI IVA» Quel che non dice - un po' perché non è nel
“contratto di governo”, un po' perché in un'ora e un quarto ci stanno
molte cose ma forse non tutte - e quel che non è chiaro lo dirà e lo
chiarirà di lì a un po' Matteo Salvini. Forse per rassicurare i
mercati, forse per rafforzare un'immagine da vicepremier-tutore che a
governo appena nato è già forte. E quindi: «Non siamo stati eletti per
aumentare l'Iva, quindi non aumenterà» e inoltre alla flat tax «si
lavora già da queste settimane, per prima cosa ci sarà la pace fiscale
per restituire vita e possibilità di lavorare e pagare le tasse agli
italiani ostaggio di Equitalia, poi con i soldi incassati incominciamo
a dare subito risposte a partite Iva, commercianti, artigiani e
piccole imprese e dai prossimi mesi anche alle famiglie».

I cronisti prendono nota mentre il premier si allontana da Palazzo
Madama e le agenzie informano che sarà lui e tenere la delega ai
Servizi segreti. Oggi si replica a Montecitorio, poi resta solo da
governare.

La Nuova

Entusiasmo tra i M5s sardi: è iniziato il cambiamento
il governo alle camere»le reazioni

di Alessandro Pirina
SASSARI
Entusiasmo a 5 stelle tra i banchi di Palazzo Madama. E anche a
Montecitorio, dove il premier arriverà questa mattina, Conte viene
promosso a pieni voti. La truppa grillina, 16 parlamentari sui 25
totali spettati alla Sardegna, non ha dubbi sul governo fatto in
condominio con la Lega: è il migliore che l'Italia possa avere. Nessun
mal di pancia sull'accordo con i padani, nessuna riserva sulle
politiche salviniane. A fare fede è il Contratto di governo. Tutto il
resto non conta. Ogni singola parola di Giuseppe Conte viene
apprezzata.

Il suo discorso lungo oltre un'ora, per i parlamentari 5
stelle, non ha ombre. «Giuseppe Conte ha dimostrato con le sue parole
di essere, prima di tutto, un cittadino tra i cittadini, un cittadino
al servizio dello Stato - dice il senatore Ettore Licheri -. Siamo
all'alba di una nuova Repubblica che Conte ha sapientemente paragonato
a un forte vento di riforma che soffia oltre gli slogan e i luoghi
comuni. Da questo punto di vista, ho molto apprezzato la sua esegesi
della parola "populismo".

È ora di comprendere che la politica
conserva il suo autentico significato solo se resta popolare, se resta
cioè nelle mani del popolo. Se essere populisti significa recuperare
un ruolo di parlamentare come interprete dei bisogni della gente,
ebbene sì, ci si chiami pure populisti». Oggi Conte andrà a chiedere
la fiducia alla Camera. Ma quella del deputato Nardo Marino la ha già
conquistata. «Le esigenze dei cittadini e di chi in tutti questi anni
ha perso i diritti e si è visto ridurre i salari sono finalmente
tornate al centro del discorso programmatico.

Certo, per ora si tratta
di dichiarazioni e noi aspettiamo i fatti, ma abbiamo un accordo a cui
daremo gambe, in cui crediamo fortissimamente. Sono contento di essere
qui e di poter fare la mia parte. Ho l'impressione che dal 4 marzo la
politica sia tornata prepotentemente nel cuore della gente. Ci stavamo
abituando al disinteresse, invece ora si riparla di politica e
contenuti. La politica va fatta dal basso perché altrimenti altri la
fanno per te». «Ottimo discorso - aggiunge la deputata Mara Lapia -.
Sono certa che tutti i punti del programma verranno sviluppati. Per me
sono molto importanti la sanità e la giustizia.

Ma anche la scuola e
gli insegnanti, un argomento che Conte ha solo sfiorato. Ma vorrei
rassicurare tutti che per il presidente e per il governo uno dei temi
centrali sarà proprio sarà la scuola: ci impegneremo per risolvere il
problema del precariato». Standing ovation virtuale anche da parte di
Paola Deiana. «Parole assolutamente positive - dice la deputata -, in
linea con i programmi del M5s e della Lega che non collidono. Mi ha
colpito molto l'intervento sul reddito di cittadinanza, uno dei
pilastri del nostro programma. È giusto che a ogni cittadino debba
essere garantito un reddito minimo di sopravvivenza». «Dichiarazioni
importanti in linea con la nostra visione di governo - aggiunge
Luciano Cadeddu, anche lui eletto a Montecitorio -.

Noi puntiamo molto
al cambiamento, basta con le pensioni d'oro, Abbiamo bisogno di opere
coraggiose fatte da persone capaci. C'è da prendere in mano tutto e,
dunque, c'è tanto da fare». Bene, benissimo Conte. Ma bene, benissimo
anche l'alleanza con Salvini. Tra i 5 stelle nessun imbarazzo per
l'accordo con la Lega. «Se fosse stata una alleanza non avremmo fatto
il contratto - precisa Marino -. La priorità delle due forze, che
restano alternative, è il contratto.

Il fatto che stiamo insieme è il
segno che stiamo attraversando una fase post ideologica. Oggi la
distinzione tra destra e sinistra non esiste più». «Ci vorrà un po' di
assestamento - ammette Lapia - ma troveremo una linea comune. Certo,
come in ogni tipo di rapporto ci potranno essere motivi di scontro, ma
da parte di entrambe le forze c'è la voglia di risollevare il Paese.
Questa determinazione penso che ci porterà a governare a lungo».
Fiducioso sull'asse 5 stelle-Lega anche Cadeddu. «Se si comporteranno
come si sono presentati faremo cose importanti». «Abbiamo un contratto
di governo con obiettivi ben precisi - conclude Deiana -. Quello sarà
il nostro faro, non sarà difficile né noi né per loro, ne sono
certa».

Giuseppe Conte affida il suo «elogio del populismo» al discorso
pronunciato da Fedor Michajlkovic Dostoevskij in onore di Puskin l'8
giugno del 1880 a Mosca. È la principale delle (poche) citazioni nel
lungo discorso del presidente del Consiglio al Senato. Le altre sono
dedicate ad alcuni dei sociologi e filosofi più importanti degli
ultimi anni: il filosofo Hans Jonas e i sociologi Ulrick Beck e Philip
Kotler. La prima citazione è nel capitolo dedicato a «Vecchie e nuove
categorie politiche».

«Se "populismo" è l'attitudine della classe
dirigente ad ascoltare i bisogni della gente, se "anti-sistema"
significa mirare a introdurre un nuovo sistema, che rimuova vecchi
privilegi e incrostazioni di potere, ebbene queste forze politiche
meritano entrambe queste qualificazioni», dice Conte dichiarando di
prendere spunto dalle riflessioni di Dostoevskij. La seconda citazione
è sempre nello stesso capitolo: «Se vogliamo restituire all'azione di
governo un più ampio orizzonte di senso, dobbiamo mostrarci capaci di
alzare lo sguardo, sforzandoci di perseguire i bisogni reali dei
cittadini in una prospettiva di medio-lungo periodo.

Diversamente la
politica perde di vista il "principio-responsabilità", che impone
diagire non solo guardando al bisogno immediato, che rischia di
tramutarsi in mero tornaconto, ma progettando anche la società che
vogliamo lasciare ai nostri figli e ai nostri nipoti». E qui il
premier fa riferimento al testo cardine del filosofo Hans Jonas,
pubblicato nel 1979: «Il principio di responsabilità».di Francesca
Chiriw ROMASi presenta come il garante del contratto di governo,
rivendica il tratto positivo del termine «populismo», apre a quanti
vorranno aderire al programma di governo.

Poi snocciola placido i
punti salienti del programma, dalla legittima difesa alla lotta alla
corruzione, dai dubbi sulle sanzioni alla Russia all'immigrazione.
Rassicurando sull'euro e annunciando la sintesi della rivoluzione
fiscale giallo-verde: una flat tax progressiva grazie ad un sistema di
deduzioni che la renderanno per questo aderente al dettame
costituzionale. E con una sola parola d'ordine: «cambiamento».
Giuseppe Conte incassa la fiducia al Senato con 171 sì, 117 no (quelli
di Pd e Forza Italia) e 25 astenuti, tra cui quelli di Fdi e dei
senatori a vita (i tre presenti, mentre Napolitano Rubbia e Piano
erano assenti).

Si presenta a Palazzo Madama per chiedere i voti non
solo «a favore di una squadra di governo ma di un progetto per il
cambiamento dell'Italia, formalizzato sotto forma di contratto» dice
nel suo discorso programmatico dove promette di voler svolgere
l'incarico «con umiltà» ma anche con «determinazione» e, dice,
«consapevolezza dei miei limiti ma anche con la passione e
l'abnegazione di chi comprende il peso delle altissime responsabilità
a me affidate».Compresa la difesa di un esecutivo da molti salutato
come populista: «Ci prendiamo la responsabilità di affermare che ci
sono politiche vantaggiose o svantaggiose per i cittadini. Le forze
politiche che sostengono la maggioranza di governo sono state accusate
di essere populiste e antisistema.

Se populismo è attitudine ad
ascoltare i bisogni della gente, allora lo rivendichiamo». Nella
«nuvola» delle parole più citate nel suo discorso i termini reiterati
sono quelli di «governo», «cittadini» e »Paese». Sono totem che non
sembrano bastare ad uno dei due «soci» del contratto che non perde
tempo per dare la sua versione del contratto che prenderà il via una
volta che il governo avrà il via libera. E i toni non sono certo
quelli di un'Aula che, nonostante «i toni da stadio» stigmatizzati
dalla Presidente Alberti Casellati, accoglie senza tensione la pur
aspra dialettica con l'opposizione.

Quella che si crea tra gli ex
alleati del centrodestra, quella che evoca Matteo Renzi quando chiama
i 5 Stelle alla presa di responsabilità quando dice: «Voi non siete lo
Stato, siete il potere, siete l'establishment. E non avete più alibi
rispetto a ciò che c'è da fare. Noi non vi faremo sconti». Quella
dell'ex premier Mario Monti che lancia l'allarme Troika e quella delle
standing ovation liberatorie: una per sostenere il premier Conte e una
rivolta alla senatrice a vita Liliana Segre che ringrazia il
presidente Mattarella per «aver scelto come senatrice a vita una
vecchia signora con i numeri di Auschwitz tatuati sul braccio».Matteo
Salvini, invece, non intende far scendere la temperatura del dibattito
neppure per la «grande occasione» della fiducia.

Mentre i senatori
stanno ancora svolgendo le dichiarazioni di voto chiama i giornalisti
in sala stampa e rintuzza sui migranti con parole che hanno già
suscitato indignazione: «Confermo che è strafinita la pacchia per chi
ha mangiato per anni, alle spalle del prossimo, troppo
abbondantemente: ci sono 170mila presunti profughi che stanno in
albergo a guardare al tv» dice e sminuisce l'allarme lanciato dalla
Segre definendo «infondato» il suo timore di leggi speciali contro Rom
e Sinti. Poi chiarisce misure che Conte aveva volutamente solo
accennato: «Non siamo stati eletti per aumentare tasse, accise ed Iva:
l'Iva non aumenterà». E Alitalia non sarà fatta a «pezzettini».

La ricetta di M5s e Lega:
stop austerity, più crescitaNo dei penalisti
«Ricette vecchie»

L'Anm non parla
Suscita reazioni contrapposte l'intervento di Conte al Senato, nel
quale è disegnato un programma giustizia cheannovera la riforma della
prescrizione, l'inasprimento delle pene per violenza sessuale e
corruzione, il potenziamento della legittima difesa e la costruzione
«dove necessario» di nuove carceri. E poi il daspo per corrotti e il
rafforzamento dell'agente sotto copertura. Un mosaico che non convince
le Camere penali. «Un discorso pessimo, siamo preoccupati - lo stronca
il presidente Beniamino Migliucci - Il premier si eradefinito avvocato
del popolo, ma se le proposte sono queste, sono ricette vecchie,
guardano al passato e non servono».

Un aumento della prescrizione o la
sua sospensione in primo grado, infatti «allungherebbe i processi e
metterebbe le persone per 20-25 anni sotto il potere di una procura».
Le pene più severe invece sono «una via per ottenere un consenso
facile» e allentare i vincoli della legittima difesa «è come se dallo
Stato arrivasse l'induzione a commettere un reato». Bocciata anche la
costruzione di nuove carceri che «non serve a nulla», mentre l'agente
sotto copertura è «un'idea di Davigo, come altre nel "contratto"». Ed
è proprio da Autonomia e Indipendenza, la corrente delle toghe che fa
capo all'ex presidente dell'Anm, Piercamillo Davigo, che arriva invece
un'apertura di credito: al nuovo esecutivo «bisogna dare fiducia:
vediamo cosa sono in grado di fare.

Per noi non ci sono governi amici
o nemici, dobbiamo valutarli sul campo». L'Anm invece per ora non si
sbilancia, ma il clima non è negativo. Uno dei temi caldi riguarda la
riforma Orlando delle intercettazioni, in vigore dal 12 luglio: le
toghe chiedono che slitti e sia rivista.ROMABasta austerità. La nuova
parola d'ordine è crescita, «stabile e sostenibile», da inserire in un
contesto europeo rinnovato e non fuori dall'euro. E ancora, salario
minimo, reddito di cittadinanza, pensioni dignitose, eliminando quelle
d'oro. Infine, e soprattutto, rivoluzione fiscale.

Nel discorso di
richiesta di fiducia alle Camere, Giuseppe Conte detta la sua ricetta
economica. Ricalca in gran parte, e rivendica, il contratto di governo
tra M5S e Lega, ma ridimensionando alcune aspettative ed omettendo
alcuni punti chiave: il Sud, l'Ilva, la Tav, l'Alitalia fino
all'aumento dell'Iva, temi questi ultimi su cui è stato Matteo Salvini
a colmare il vuoto. Il presidente del Consiglio è partito dai conti
pubblici, di fronte a quella che definisce «la speculazione
finanziaria» che «si nasconde dietro lo spread». Il debito «è oggi
pienamente sostenibile», ha assicurato.

Il governo vuole ridurlo, ma
con la crescita, «non con le misure di austerità che hanno contribuito
a farlo lievitare». Circondato a destra e a sinistra da Luigi Di Maio
e Matteo Salvini, con Paolo Savona seduto proprio davanti a lui, Conte
è tornato quindi sulla questione euro: «L'uscita dell'Italia non è mai
stata in discussione. Non è entrata nel contratto di governo e non è
un obiettivo che ci proponiamo in questa legislatura», ha scandito.
Nel corso della legislatura, ma non immediatamente, arriverà invece la
misura più attesa dagli elettori dei pentastellati, il reddito di
cittadinanza. Sarà commisurato alla composizione del nucleo familiare
e condizionato al reinserimento nel mondo del lavoro.

Proprio per
questo, il primo intervento sarà il potenziamento dei centri per
l'impiego, decisamente meno costoso. Di cittadinanza saranno anche le
pensioni, finanziate probabilmente con il taglio degli assegni
superiori a 5.000 euro, ma non tout court, solo «nella parte non
coperta dai contributi versati». Nessun accenno esplicito è arrivato
invece sulla revisione della legge Fornero, su cui però è intervenuto
Salvini, pronto a ribadire che la questione «è nel contratto». Dalla
bandiera dei 5S a quella della Lega, Conte ha quindi annunciato
«misure rivoluzionarie» sul fronte fiscale.

Dopo la frenata sui tempi
arrivata lunedì, la flat tax è diventata ora «l'obiettivo» e
soprattutto si rivela non tanto come aliquota piatta ed unica ma come
«riforma fiscale caratterizzata dall'introduzione di aliquote fisse,
con un sistema di deduzioni che possa garantirne la progressività»
prevista dalla Costituzione. A conti fatti potrebbe quindi
concretizzarsi in una revisione dell'Ires e dell'Irpef molto più
complessa e articolata di quanto finora emerso. Come la legge Fornero
sulle pensioni, sul fisco è il tema Iva ad essere assente nel
discorso.

Ed anche in questo caso è stato Salvini ad intervenire,
ribadendo che l'aliquota «non aumenterà». Insistendo ancora sul tema
fiscale, Conte ha ribadito la necessità di rifondare il rapporto tra
Stato e contribuenti, «all'insegna della buona fede e della reciproca
collaborazione». Tolleranza zero però per i grandi evasori: per loro
«occorre inasprire il quadro sanzionatorio la fine di assicurare il
carcere vero». Sul fronte lavoro, infine, la proposta è di «un nuovo
patto sociale» per dare voce ai giovani che non trovano lavoro e alle
donne «discriminate e meno pagate». Un ruolo attivo dovranno giocarlo
i sindacati, recuperando il dialogo sociale.

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Federico Marini
skype: federico1970ca


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