martedì 19 giugno 2018

Rassegna stampa 19 Giugno 2018


Vertice in Germania con Merkel, che lo sostiene. Negli Usa Onu (e Melania) contro Trump. «Si cambi o addio a Schengen» Il premier Conte: chi sbarca in Italia sta entrando in Europa.

Nasce l'asse italo-tedesco sulla gestione dei migranti. Ieri, nel corso di un vertice bilaterale a Berlino, il premier Giuseppe Conte e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno trovato una linea comune. «Le nostre frontiere sono quelle dell'Unione europea, non possiamo fare tutto da soli», ha detto Conte.

«L'Italia non può essere lasciata sola, servono adeguati meccanismi di solidarietà», ha chiarito il presidente del Consiglio secondo il quale «la proposta di riforma del regolamento di Dublino è ormai di fatto superata» in favore di un «nuovo approccio solidale, per cui chi mette piede in Italia mette piede in Europa. Dobbiamo operare tutti insieme in base a un approccio integrato multilivello», ha aggiunto Conte. «Occorre agire al meglio nei Paesi d'origine e di transito affinché qui avvengano le identificazioni e le richieste di asilo dei migranti».

IL SOSTEGNO TEDESCO Merkel, sotto pressione nel suo governo, sostiene la linea italiana. «Sappiamo che l'Italia ha moltissimi profughi e vogliamo venire incontro alla richiesta di una maggiore solidarietà cominciando a rafforzare la difesa delle frontiere esterne con Frontex». Del resto la cancelliera tedesca ha un grosso problema interno sul fronte dei migranti. Il ministro dell'Interno Horst Seehofer, alleato più a destra di lei, ha lanciato un ultimatum: trovare una soluzione europea alla sfida dell'immigrazione entro il Consiglio europeo dei prossimi 28 e 29 giugno, altrimenti da luglio avvierà i respingimenti di migranti che arrivino alle frontiere della Germania da un altro Paese Ue.

Merkel ha accolto la sfida: proverà a trovare una soluzione con i partner europei. Ma ha di fatto respinto l'ultimatum: in caso di mancato accordo Ue non ci sarebbe nessuna chiusura automatica delle frontiere da luglio, ha assicurato. Ricordando poi a Seehofer che è lei in definitiva a essere responsabile delle politiche del governo.

ONU CONTRO TRUMP Sui migranti c'è tensione anche negli Usa dopo la scoperta che dal 19 aprile al 31 maggio, quindi in sole sei settimane, sono circa 2mila i bambini che sono stati separati dai genitori fermati per essere entrati illegalmente negli Stati Uniti, in virtù della nuova tolleranza zero al confine tra Usa e Messico. L'Alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Ra'ad Al Hussein, ha esortato Washington a fermarsi definendo la politica della Casa Bianca «irragionevole». Persino Melania Trump ha fatto sapere che detesta il fatto di «vedere dei bambini separati dalle loro famiglie». Ma al tempo stesso ha ripreso l'argomentazione del marito, che attribuisce la responsabilità di tutto alla paralisi del Congresso.

ACCUSE ALL'EUROPA Il presidente Donald Trump non si è fatto intimidire ed ha rincarato la dose: «Gli Stati Uniti non saranno un campo per migranti», ha detto tirando poi in ballo l'Europa e la Germania: «Non vogliamo che quanto succede con l'immigrazione in Europa succeda anche da noi!», ha scritto su Twitter, definendo un «grande errore» da parte dell'Europa il fatto di «permettere l'ingresso a milioni di persone che hanno cambiato in modo così forte e violento la loro cultura».

La Conferenza episcopale sarda: no al dibattito rozzo, violento e astioso
Migranti, monito dei vescovi: «Sono fratelli da accogliere»

Sì all'accoglienza di «fratelli e sorelle che bussano alle nostre
porte, in fuga da situazioni di vita insostenibili per la guerra o la
fame». E sì anche ai corridoi umanitari «che regolano il flusso in
origine e assicurano condizioni di dignitosa integrazione per le
persone».

I vescovi sardi scendono in campo sul delicato tema dell'immigrazione
e ribadiscono la linea della Chiesa, che poi è quella tracciata da
Papa Francesco: «Il problema dei migranti è di urgente e drammatica
attualità, un autentico dramma epocale rispetto al quale nessuno di
noi può rimanere indifferente o far finta che riguardi altri»,
scrivono i vescovi riuniti sotto la presidenza del presidente della
Conferenza episcopale sarda Arrigo Miglio.

Il faro, per i cristiani, è il primo e omnicomprensivo comandamento
della carità, «un vero banco di prova dell'autenticità della propria
fede». Per i vescovi l'accoglienza deve essere «a cuore aperto, perché
occorre considerare le esigenze di tutti i membri dell'unica famiglia
umana e il bene di ciascuno di essi, in un contesto di solidarietà
internazionale».

DIBATTITO VIOLENTO Non sfugge all'attenzione dei vescovi il dibattito,
«spesso violento ed astioso», che contrappone chi è favorevole e chi è
contrario. Contrapposizioni tra schieramenti politici e tra gli stessi
governi nazionali, che hanno riflesso nei singoli cittadini, compresi
i credenti, tra i quali si riscontrano posizioni e sensibilità molto
differenti e distanti tra loro. Ne sono prova i dibattiti televisivi
e, soprattutto, «i rozzi e volgari attacchi personali sui social media
per chi osa prendere pubblica posizione su un versante o sull'altro».

PARROCCHIE MOBILITATE I vescovi continuano ad appoggiare le diverse
iniziative di accoglienza che sono state poste in essere in questi
anni, anche nelle diocesi e nelle parrocchie e, soprattutto, vedono
«un positivo approccio al problema nella pratica dei corridoi
umanitari, che regolano il flusso in origine e assicurano condizioni
di dignitosa integrazione per le persone».

Contestualmente i vescovi richiamano alla riflessione di tutti sardi,
il costante magistero di Papa Francesco: «Accogliere l'altro», scrive
il Papa, «richiede un impegno concreto, una catena di aiuti e di
benevolenza, un'attenzione vigilante e comprensiva, la gestione
responsabile di nuove situazioni complesse che, a volte, si aggiungono
ad altri e numerosi problemi già esistenti».

Francesco - ricorda la
Conferenza dei vescovi sardi - conosce le legittime paure fondate su
dubbi pienamente comprensibili da un punto di vista umano, ma sostiene
che i timori «non devono condizionare le nostre scelte, compromettere
il rispetto e la generosità né alimentare l'odio e il rifiuto».

DIGNITÀ E INTEGRAZIONE L'accoglienza ha due facce. Chi offre il suo
aiuto, governi compresi, «cerchi sempre di garantire concretamente
dignità e reale integrazione alle persone che vengono accolte», chi
viene accolto si impegni a «conoscere, riconoscere e rispettare le
leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi».


La Nuova

Pigliaru: "Ho preso la tessera del PD. Il PD ritrovi il suo ruolo:
basta liti, serve dialogo"

di Umberto Aime
CAGLIARI
Il segreto è riuscito a custodirlo per tre mesi abbondanti, anche se
l'indiscrezione era circolata subito dopo le elezioni del 4 marzo,
finite malissimo per il centrosinistra. Il governatore Francesco
Pigliaru s'è iscritto al Partito democratico. La tessera è la numero
20012018B00000141, sezione di riferimento la «Berlinguer»,
Cagliari.

Presidente, è accaduto prima o dopo la batosta?«Qualche
giorno dopo».Perché l'ha tenuto nascosto?«Nessun segreto. È stata una
scelta personale».Dunque, più dettata dal cuore che dalla mente?«È
stata dettata dalla mia valutazione, a caldo, della difficile
situazione vissuta oggi dalla politica italiana. Lo dico subito, però:
è una decisione che non cambierà in alcun modo il mio rapporto e la
mia lealtà verso gli altri partiti della maggioranza che sostiene la
giunta regionale».

Allora il suo è stato un atto di fede.«Ho sempre
votato Pd e dal Pd ho ricevuto la proposta di candidarmi per le
elezioni regionali del 2014. Poi non mi sono iscritto nei momenti
migliori, nonostante gli inviti a farlo sia a livello locale che
nazionale».

L'ha fatto invece nel momento peggiore, perché?«Per il
semplice motivo che quando si è in difficoltà, e il centrosinistra è
in grande difficoltà in Europa, in Italia, in Sardegna, ognuno deve
fare la sua parte in modo ancora più diretto».

Perché il centrosinistra
è stato travolto nei seggi?«Il centrosinistra è in difficoltà
dovunque, così come il centrodestra moderato. Spesso anche in
situazioni nelle quali ha governato bene. Per esempio, il governo
Gentiloni ha avuto un buon livello di apprezzamento, così come,
ovviamente, la presidenza Obama. Ma poi hanno vinto Salvini, Trump, la
sciagurata idea della Brexit».

Essere in compagnia, è
consolatorio?«Tanti anni di crisi economica profonda, insieme a una
globalizzazione che ha fatto scomparire molti posti di lavoro, e a una
tecnologia che distrugge lavori vecchi per crearne nuovi: sono queste
le condizioni perfette, come ha detto qualcuno, per generare
un'insicurezza diffusa cui evidentemente non abbiamo saputo dare
risposte adeguate, nonostante i molti tentativi fatti».La stagione di
Matteo Renzi è finita?«Renzi ha fatto molte cose buone, riforme di cui
l'Italia aveva un enorme bisogno e che però si pagano sul piano della
popolarità. Poi come succede a chiunque sia impegnato in attività di
governo, me compreso, ha fatto degli errori».

Quali? «Quando nel
passato ci sono stati cambiamenti epocali come la rivoluzione
industriale, la politica ha inventato interventi altrettanto epocali
per cercare di diffondere i benefici del cambiamento. L'istruzione
obbligatoria, per esempio, o la nascita del welfare. Di fronte alle
trasformazioni epocali che viviamo oggi servono quindi interventi di
quella grandezza. Sono questi gli unici capaci di includere e
tranquillizzare chi si sente minacciato, interventi che finora non
abbiamo fatto in tempo a costruire».

È innegabile: hanno stravinto i
partiti antisistema, Cinque stelle e Lega. Non crede che il Pd abbia
favorito quei due trionfi?«Le divisioni del centrosinistra e la
sensazione, corretta, che le nostre discussioni interne poco avessero
a che fare con i bisogni della gente, hanno sicuramente favorito il
voto verso altre forze politiche. Ma credo che abbia molto pesato
anche il carico negativo attribuito a chi ha avuto l'onere di
governare durante la peggiore crisi economica dal secondo
dopoguerra».

Poi i vincitori hanno firmato un contratto. Innaturale o
no che sia, durerà?«Mettere insieme flat tax e un ampio "reddito di
cittadinanza" è un'operazione enormemente rischiosa, come ha mostrato
Cottarelli dati alla mano. E con la flat tax le disuguaglianze
aumenteranno, tradendo le aspettative di chi ha votato sperando in una
maggiore equità. Tagliare le pensioni d'oro è doveroso per uno Stato
equo, far rientrare attraverso la flat tax molto più di quanto si ceda
con i tagli è un'ipocrisia. Ciò detto, vedremo quello che saranno in
grado di fare».

Ora il Pd deve scalare una montagna?«Oggi siamo
obbligati a capire come possiamo recuperare il dialogo con chi ha
perso fiducia nella nostra azione politica e di governo, compresa
naturalmente l'azione della Giunta di cui sono il principale
responsabile».Invece fino a poche settimane, almeno in Sardegna, i
democratici hanno continuato ad avvitarsi nelle faide.«È inutile
contrapporsi ancora tra noi sulla base di antiche e sempre meno
accettabili divisioni, basate più sulla gestione del potere che sul
confronto di idee e proposte».

Le solite liti, o reciproci fallacci di
frustrazione?«Parlarsi addosso, contarsi continuamente per capire chi
comanda, farlo senza mai trovare lo spazio per parlare di problemi
reali, delle persone e delle soluzioni che abbiamo in mente, significa
isolarsi, diventare incomprensibili e irrilevanti, condannarsi alla
perdita di consenso».

Tre correnti, in Sardegna, con quale si
schiererà? «A me mai è interessato e non interessa far parte di
correnti, né mi sono iscritto per occuparmi di poltrone mie o altrui.
Oggi per me l'urgenza non è dividersi sul "chi", ma cercare di unirsi
sul "cosa". E che può nascere solo se ci sarà il tempo per una
riflessione non frettolosa e realmente collettiva».

È sicuro che il
centrosinistra non sia rimasto un pachiderma anche dopo la
legnata?«Serve una scossa. Oggi dobbiamo riprendere a discutere molto
e a impegnarci tanto fra la gente su come possiamo contrastare il
crescente consenso raccolto da altri. Sono quei partiti che propongono
di difendere i più deboli con avventurose chiusure e protezionismi,
con soluzioni demagogiche, irrealizzabili. Lo ripeto: gli annunciati
enormi sconti fiscali aumenteranno disuguaglianze già
insostenibili».

Però il centrosinistra vive da troppo tempo una forte
crisi d'identità. «Appunto ed è per questo che oggi m'interessa capire
se invece siamo ancora convinti delle scelte a favore di una società
aperta alle idee, all'innovazione tecnologica, alla competizione
basata su reali pari opportunità, tutte cose essenziali per creare
sviluppo e lavoro».

Ipotizza una sorta di seduta psicanalitica
collettiva?«No, però mi chiedo soprattutto se siamo o no in grado di
arricchire la scelta di cui ho parlato prima, con progetti credibili,
dovranno essere più efficaci di quelli messi in campo finora, per
combattere le crescenti disuguaglianze».

Di cui soprattutto il Pd
nazionale s'è dimenticato quando era al governo.«Di sicuro, e per
questo oggi dobbiamo ritornare a difendere i moltissimi che si sentono
deboli e in pericolo. Dobbiamo essere di nuovo noi a proporre le
soluzioni, il più possibile equilibrate, di fronte a uno sviluppo
tecnologico che ha messo in crisi soprattutto il
Mezzogiorno».

Presidente, non rischia di essere fin troppo
ottimista?«Non credo. Invece spero che il Pd ritorni a essere il luogo
in cui è possibile elaborare una proposta capace di coniugare, molto
meglio del passato, la flessibilità che serve alle imprese con il
sostegno attivo alle persone più deboli e insicure, al loro reddito,
alla loro ricerca di nuovo lavoro, in qualunque territorio vivano,
qualunque sia la condizione di svantaggio nella quale si trovano
oggi».

Ma oggi il Pd è schiacciato se non impopolare.«Lo ripeto. Il
partito deve ritornare a essere quel luogo in cui, noi progressisti,
dobbiamo contribuire a mettere ordine nella nostra casa comune,
l'Italia. A cominciare dalle confuse relazioni tra Stato e Regione che
oggi limitano seriamente l'esercizio pieno e lo sviluppo della nostra
autonomia, come dimostra, tra i molti esempi possibili, la vicenda di
accantonamenti imposti unilateralmente con regole opache».

Sa però che,
in Sardegna, è forte la spinta indipendentista. Spaccherà in due il
centrosinistra?«In una Sardegna che vogliamo sempre più capace di
autogoverno virtuoso, dobbiamo occuparci molto d'Italia e di quale
forma di stato scegliere. Soprattutto, dobbiamo contribuire a
sconfiggere definitivamente, anche dentro il Pd, quanti pensano che
invece di perfezionare il federalismo imperfetto e frettoloso del
2001, lo si debba abbandonare a favore di un inefficace, imperfetto,
illusorio centralismo statale».

È un iscritto: voterà per l'elezione
immediata del segretario regionale, o invece sta con chi pretende il
congresso straordinario? «Come ho detto, l'unica cosa che auspico è un
dibattito sulle ragioni di una sconfitta e su come ripartire per
riconquistare la fiducia del nostro elettorato. Un dibattito serio,
ampio, diffuso nei territori, nelle sedi del Pd e dei circoli che
hanno a cuore le sorti del centrosinistra. Lontano invece, in questa
fase, che può e deve essere rapida, dai luoghi in cui i dibattiti si
trasformano inevitabilmente in scontri non fra idee ma fra
schieramenti precostituiti e inossidabili. Prima di un eventuale
congresso mi piacerebbe vedere una discussione libera e partecipata,
senza l'ossessione dell'appartenenza a questa o quella componente».

Sì o no a un Pd completamente o molto più autonomo da Roma?«È esattamente
questa una di quelle scelte che dovrebbero semmai seguire e non
anticipare un'analisi attenta delle nostre attuali difficoltà».

La conclusione di un neo iscritto al Pd è?«Che c'è ancora molto da
lavorare dentro il partito. In Sardegna servono forse meno riunioni di
Direzione e molti più incontri territoriali per condividere, con la
nostra base, problemi, idee, soluzioni. Se si vorrà prendere questa
strada, io ci sarò».

Ultime tre domande. Per il centrosinistra le
elezioni regionali del 2019 sono compromesse?«Non credo proprio. Il
voto è molto mobile di questi tempi. Se avrà una voce forte, chiara,
credibile, può ancora candidarsi a un ruolo importante».In coalizione
con chi?«Le coalizioni si costruiscono sui contenuti, e di contenuti è
urgente parlare ora».L'ultimissima. Presidente, si ricandiderà?«Per me
questo è l'ultimo dei problemi. M'interessa la vittoria della mia
parte politica, non quello che andrò a fare da marzo 2019 in poi».

Unione Sarda

Il segretario dimissionario Cucca sui mali del partito: troppi pensano ai posti
«Nel Pd si avvelenano i pozzi Impossibile garantire l'unità»

Una settimana per metabolizzare l'addio alla segreteria del Pd, dopo
quasi un anno e mezzo. Giuseppe Luigi Cucca ha lasciato dopo 407
giorni, vissuti tra le difficoltà, «in un clima difficile e di
contrasto nei miei confronti». Dalla debacle alle elezioni sono
passati tre mesi, vissuti sperando di «vedere un atteggiamento più
collaborativo piuttosto che un costante pregiudizio sulla mia
persona».

Come si sta da ex segretario?
«Ho la coscienza a posto. So di aver fatto quello che era giusto fare».
Però ha aspettato tre mesi prima di dimettersi.
«Sono sempre stato contrario al motto togliti tu che mi ci metto io».
Cosa ha cercato di fare in questo tempo?
«Mantenere il partito unito, aspettando che le persone che predicavano
unità facessero seguire alle parole i fatti».
Invece cosa è successo?

«È stata una corsa per occupare un posto. Così il partito non va avanti».
Si sente il capro espiatorio del crollo verticale del Pd?
«No, anche se qualcuno ha voluto far passare questo messaggio».
Ha l'occasione di fare nomi e cognomi. Ne approfitta?
«In questo momento non ha senso. Servirebbe solo ad acuire tensioni,
mentre noi le vogliamo superare. Chi è stato se ne assumerà le proprie
responsabilità».

Il segretario è un po' come l'allenatore: se non va bene la squadra, si cambia.
«Sì, ma cercando di cambiare in meglio. In questo caso si è trattato
di posizioni strumentali, giusto per liberare un posto».
Dietro la richiesta di rinnovamento pensa ci sia la volontà di
qualcuno di riposizionarsi?

«È evidente ma anche umanamente comprensibile. Quello che non va bene
è che per individuare la nuova guida serve coesione e non
personalismi».

Ha cercato di far passare questo concetto in questo periodo?
«Ho forzato la mano ma non mi hanno consentito di fare nulla. Il
partito era ingessato e lo è ancora. Ho convocato una segreteria alla
quale non si è presentato nessuno».

Dall'inizio ci sono stati problemi?
«Ho iniziato in un clima difficile. Qualcuno ha lavorato per
avvelenare i pozzi o mettere polvere negli ingranaggi».
Inutile chiederle i nomi?
«Le risponderei come prima».

Si parla sempre di unità e coesione. Sono sentimenti diffusi?
«In segreteria ci sono stati svariati tentativi ma c'era sempre
qualche ostacolo alla gestione collettiva e condivisa».
Qual è stato il momento più difficile?
«Ce ne sono stati tanti. Sicuramente quello della scelta delle
candidature per le politiche, visto i malumori che ha scatenato».
Come quelli per la candidatura del segretario in posizione blindata.
«Qualcuno non ha voluto accettare questa cosa. È sempre accaduto così,
19 segretari su 20 sono stati candidati capolista».

Che rapporto ha avuto con il presidente Pigliaru e la Giunta?
«Ottimo. Abbiamo lavorato in silenzio senza grossi proclami».
Stessa cosa per il gruppo del Consiglio regionale?
«Forse no. Speravo ci fosse una migliore gestione. Il capogruppo non
ha mai partecipato a una riunione di segreteria, pur avendone diritto.
Non posso, però, rimproverarglielo perché comprendo che ci sono tanti
impegni e il tempo libero è davvero ridotto».

Le mancherà fare il segretario?
«No».

Tornando indietro, lo rifarebbe?
«Chi mi ha scelto sa quanta riluttanza avevo. Alla fine l'ho fatto
perché è necessario mettersi a disposizione del partito».

Come vede il futuro del Pd?
«Ce lo costruiamo noi, con le nostre scelte. Come quella positiva
fatta per il candidato sindaco di Iglesias, un giovane e capace».
Si è sorpreso per l'autocandidatura di Dolores Lai alla segreteria?
«Sono scelte personali e delicatezze che ognuno valuta. Non siamo
tutti uguali. Se qualcuno pensa di avere le carte in regola per
guidare il partito e vincere fa bene a proporsi».

Cucca lascia la ribalta?
«Nessuno mi sta mettendo né in cassaforte e neppure in un cassonetto
della spazzatura. Con buona pace di tutti continuerò a fare attività
politica».

Una dichiarazione d'amore per il Pd.
«Sì. Un partito che mi ha regalato molte soddisfazioni, ma anche molti dolori».
Matteo Sau

La Nuova

I sindaci indipendentisti: uniamoci
Del gruppo fanno parte amministratori locali di tutta la Sardegna

ORISTANO
Gli amministratori locali indipendentisti decidono di costituire un
gruppo comune. Una trentina tra sindaci, assessori e consiglieri si è
riunita a Oristano. I promotori dell'iniziativa sono Davide Corriga,
sindaco di Bauladu, Maura Cossu, vicesindaca di Bosa, Maurizio Onnis,
primo cittadino di Villanovaforru, Marco Sideri, sindaco di
Ussaramanna, Angela Simula, consigliera di Olmedo. Sono arrivati anche
da Cagliari, Mogoro, Santa Teresa, Tertenia Aglientu, Gairo, Serrenti.

«È opportuno, è utile, è maturato il tempo di creare una rete tra
amministratori locali indipendentisti - dicono i promotori -. Una rete
in cui ciascun amministratore, al di là dell'appartenenza partitica,
porti le proprie esperienze di consigliere, assessore, sindaco, la sua
visione della Sardegna, le sue idee sul cammino da intraprendere per
condurre la nostra politica e le nostre istituzioni a svincolarsi dal
controllo romano.

Scambio di esperienze, formazione interna,
elaborazione di posizioni comuni sui problemi del territorio, capacità
di pesare sulla politica sarda: questi saranno i compiti principali
della rete». L'incontro si è concluso con la nomina di un gruppo di
lavoro di otto amministratori, che presto proporrà una bozza di
documento organizzativo, utile a dare l'impianto su cui la rete sarà
chiamata a lavorare.

Unione Sarda

COMUNE.
Quartu - Torru: «Forza Italia qui è finita Ora cerchiamo altri orizzonti»
Con la mossa dell'ex azzurro si allarga l'area sardista in Consiglio

Cresce la famiglia sardista in Comune e nasce il più grande gruppo
della maggioranza. Lucio Torru torna, lascia l'opposizione e si
riunisce con Tonino Lobina, ma la squadra è cambiata e i due azzurri
ora vestono la casacca dei Quattro mori. A loro si dovrebbe unire
Marco Ghiani, entrato in Consiglio col Centro democratico che poi lo
ha cacciato.

Poco più di un anno fa non c'era traccia del Psd'Az in
Consiglio comunale, poi il capogruppo di Forza Italia Tonino Lobina
era passato ai sardisti, conquistando un posto nel Consiglio
metropolitano e ricevendo dal sindaco Massimo Zedda la delega alle
Politiche sociali. La gestione del segretario nazionale Christian
Solinas era andata contro la sezione locale del Psd'Az dando inizio al
nuovo corso che ha portato, ad aprile 2017, l'ex Forza Italia di
Monserrato Tiziana Terrana a trovar spazio nella Giunta Delunas con la
delega all'Ambiente.

«A Quartu Forza Italia non esiste più: Cappellacci ha chiuso l'ufficio
di via Dante subito dopo le elezioni - denuncia Torru - ora cerchiamo
nuovi orizzonti, voglio avere una casa e un partito alle spalle che
non si veda solo a ridosso delle elezioni».

L'ormai ex azzurro non ha
ancora formalizzato il suo passaggio ma dopo le consultazioni col
sindaco aveva detto di non gradire la prospettiva di un anno con la
città in mano a un commissario. «Ci sono tante cose da fare e anche
impegni come le Regionali», ammette Torru senza confermare una sua
eventuale candidatura col Psd'Az, un posto ambito da molti che con la
Lega al Governo confidano in un grande risultato dei sardisti
nell'Isola.

«Ho una sorta di preaccordo con Tonino Lobina e c'è la trattativa con
Marco Ghiani per dare vita a un gruppo consiliare a tre, il più
numeroso della maggioranza», spiega Torru che fino a poche settimane
fa si autoproclamava capogruppo di Forza Italia, contendendo la fascia
da capitano a Martino Sarritzu, «il sindaco ha chiesto aiuto e noi lo
abbiamo dato. Io assessore? Non ne abbiamo discusso».

A Stefano Delunas questa non sembra la soluzione ideale: «Non credo
che vorrà dimettersi da consigliere anche perché ha dimostrato di
essere un bravo consigliere - commenta il sindaco - che, pur con i
suoi metodi, ha sollevato problemi in Aula tesi alla trasparenza degli
atti e delle delibere».

Il primo cittadino ha intenzione di mettere
mano alla sua squadra, manca ancora un'assessora, e non è escluso uno
scambio di deleghe tra gli attuali componenti. «Gli assessori li
sceglie il sindaco- conclude Delunas - perché sono suoi diretti
collaboratori di estrema fiducia».
Marcello Zasso

Rom, linea dura di Salvini: «Censimento». Poi smentisce
Il Pd: così evoca la pulizia etnica. Cabras (Cinquestelle): parole inaccettabili

ROMA Un'anagrafe, «una ricognizione sui rom in Italia per vedere chi,
come, quanti sono». È quanto ha detto ieri, durante un'intervista a
TeleLombardia, il ministro dell'Interno Matteo Salvini. «Mi sto
facendo preparare un dossier, perché dopo Maroni non si è fatto più
nulla, ed è il caos». Gli stranieri irregolari andranno «espulsi» con
accordi fra Stati, ma «i rom italiani purtroppo te li devi tenere a casa».

LA POLEMICA Parole che hanno dato fuoco alla polemica politica con la
presa di posizione del Pd che, tramite il senatore Franco Mirabelli,
ha parlato di «richiamo alla pulizia etnica». Con Salvini, ha scritto
Laura Boldrini di LeU, «disumanità al potere». E l'ex premier Paolo
Gentiloni: «Oggi i rom, domani le pistole per tutti». Il deputato
sardo dei 5 Stelle Pino Cabras ha parlato di «parole inaccettabili e
da condannare senza mezzi termini». E a Salvini ricorda: «Hai giurato
sulla Costituzione e ad essa ti devi sempre attenere, evitando
posizioni che hanno il sapore di una discriminazione etnica e
razziale».

«SOLO UNA RICOGNIZIONE» Nel pomeriggio la replica del ministro
dell'Interno che ha voluto precisare il suo pensiero: «Non è nostra
intenzione schedare o prendere le impronte digitali a nessuno, nostro
obiettivo è una ricognizione della situazione dei campi rom.
Intendiamo tutelare prima di tutto migliaia di bambini ai quali non è
permesso frequentare la scuola regolarmente perché si preferisce
introdurli alla delinquenza. Vogliamo anche controllare come vengono
spesi i milioni di euro che arrivano dai fondi europei».

«BENE SMENTITA» Sul tema è intervenuto anche il ministro dello
Sviluppo Luigi Di Maio: «Mi fa piacere che Salvini abbia smentito
qualsiasi ipotesi di censimento, registrazione o schedatura degli
immigrati perché se una cosa non è costituzionale non si può fare».

Il ministro dell'Interno Salvini ha parlato anche di altre espulsioni.
«Stiamo lavorando pure sulla espulsione dei detenuti stranieri che
sono in Italia, ma serve l'accordo con il Paese che se li deve
riprendere. Bisogna lavorare con Romania, Albania e Tunisia, che sono
ahimè tra i principali Paesi per presenze in galera».

I DIRITTI Il presidente dell'Associazione 21 luglio, Carlo Stasolla,
che si occupa di diritti umani e discriminazione contro le comunità
rom, sinti e caminanti ha scritto su Facebook: «Dopo i migranti ecco
la volta dei rom. C'era da aspettarselo. Salvini - ha scritto Stasolla
- sembra non sapere che in Italia un censimento su base etnica non è
consentito dalla legge, che esistono già dati e numeri sulle persone
presenti negli insediamenti formali e informali; che i pochi rom
irregolari sono apolidi di fatto, quindi inespellibili; che i rom
italiani sono presenti nel nostro Paese da almeno mezzo secolo e sono
per certi versi “più italiani” di tanti nostri concittadini».

Federico Marini

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